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Taranto

Biometano al posto del gas: Legambiente sfida il Governo sulla rigassificazione del siderurgico

Il circolo tarantino dell’associazione ambientalista boccia l’ipotesi della nave rigassificatrice: “Serve volontà politica per una vera transizione. Le alternative al gas fossile esistono già”

1 Rigassificatore Olt-2

Nave rigassificatore - archivio

TARANTO - Mentre il dibattito sulla decarbonizzazione dell’ex Ilva torna ad accendersi, Legambiente Taranto lancia un duro affondo contro la scelta del Governo di puntare su una nave rigassificatrice nel porto ionico. Il circolo cittadino contesta la narrazione ufficiale, sottolineando l’assenza di dati certi sulla reale quantità di gas necessaria, sull’anno in cui servirà e sulla durata del fabbisogno.

Non solo. Gli ambientalisti rilevano come non sia mai stato chiarito perché non si possa utilizzare il metano già disponibile attraverso il gasdotto TAP, attivo in Puglia, e lamentano la totale assenza di riferimenti all’idrogeno verde, una tecnologia prevista in passato ma ora sparita anche dai documenti normativi.

Ma l’alternativa al gas esiste già, sostiene Legambiente. Si chiama biometano, ed è una fonte rinnovabile prodotta attraverso la digestione anaerobica di scarti organici e reflui agricoli. A differenza del metano fossile, questa risorsa ha impatto ambientale ridotto e rappresenta uno strumento strategico per la transizione ecologica e il contrasto al cambiamento climatico.

Secondo quanto riportato dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), l’Italia entro il 2030 dovrà arrivare a produrre 5,7 miliardi di metri cubi all’anno di biometano, pari a circa l’8% del consumo nazionale di gas. Ad oggi, grazie ai bandi previsti dai decreti ministeriali del 2018 e 2022, sono stati già incentivati impianti per 2,1 miliardi di metri cubi all’anno, di cui 750 milioni già operativi. I dati di Snam aggiornati a settembre 2024 indicano 114 punti di immissione in rete attivi, per 514 milioni di metri cubi all’anno, e 285 in attivazione, per un’ulteriore capacità di 1,2 miliardi. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede inoltre 680 nuovi interventi in 18 regioni, con 2,2 miliardi di metri cubi annui attesi entro il 2026.

Tutto questo – secondo Legambiente – basterebbe da solo a coprire il fabbisogno energetico del futuro impianto DRI di Taranto. Il consumo stimato per produrre 2,5 milioni di tonnellate di preridotto è inferiore a 1 miliardo di metri cubi all’anno, un traguardo energetico che sarà ampiamente raggiungibile con il solo biometano entro il 2030.

A sostegno di questa tesi, Legambiente richiama le nuove strategie industriali basate su forni elettrici ad arco (EAF) alimentati da rottami e DRI, e chiede che la produzione venga da subito alimentata con energia da fonti rinnovabili, ponendo le basi per l’utilizzo futuro dell’idrogeno verde.

Non ci sarebbero ostacoli tecnici a un abbandono anticipato di altoforni e cokerie, osserva l’associazione, che però accusa le istituzioni di mancanza di coraggio politico e inerzia sugli investimenti strutturali. “Serve un cambio di rotta deciso – affermano gli attivisti – per coniugare ambiente, salute e lavoro, evitando di sacrificare ancora una volta il futuro per rispondere a esigenze produttive contingenti”.

L’insistenza sull’impianto di rigassificazione a Taranto, secondo Legambiente, risponderebbe più alla strategia governativa di trasformare l’Italia in un hub del gas che a una reale necessità del sito siderurgico. L’associazione denuncia inoltre un forte rallentamento nell’approvazione dei progetti per le energie rinnovabili, che restano la via primaria per una decarbonizzazione efficace e duratura.

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