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"L’olio italiano ha bisogno di un futuro certo: serve un Piano Olivicolo strategico e ambizioso"

Il presidente di Italia Olivicola Gennaro Sicolo rilancia: non bastano nuovi uliveti, bisogna garantire redditività e mercato al prodotto. Allarme prezzi e modello Spagna da evitare

Gennaro Sicolo

Gennaro Sicolo

BARI - L’Italia dell’olio extravergine non può più limitarsi a immaginare nuovi impianti e varietà da coltivare. Serve una visione ampia, concreta, capace di tenere insieme le sfide immediate e le prospettive future. A lanciare l’allarme e a proporre una svolta è Gennaro Sicolo, presidente di Italia Olivicola e vicepresidente nazionale della CIA Agricoltori Italiani, che interviene nel dibattito sul nuovo Piano Olivicolo Nazionale.

L’obiettivo, secondo Sicolo, deve essere quello di costruire un futuro sostenibile e competitivo per la filiera, tenendo conto non solo di quanto si pianterà nei campi ma anche di come e a quali condizioni verrà venduto il prodotto. Il tavolo tecnico chiamato a definire le linee strategiche del piano non può accontentarsi di soluzioni a breve termine. «Occorre avere un orizzonte di almeno 10 anni, capace di tenere insieme sviluppo produttivo, innovazione e mercati», afferma il presidente di Italia Olivicola.

Un Piano Olivicolo realmente efficace, dunque, deve partire dal campo ma arrivare fino al consumatore, passando attraverso una progettazione che tenga conto dei molteplici fattori che oggi rendono fragile l’economia dell’olio italiano. In questo scenario, il modello spagnolo – spesso citato come esempio virtuoso – va guardato con cautela.

«In Spagna – spiega Sicolo – l’espansione delle superfici olivicole ha coinciso con un crollo dei prezzi dell’olio, oggi spesso inferiori ai costi di produzione. E ciò nonostante la forte organizzazione del settore, con cooperative e associazioni che gestiscono oltre il 70% della produzione. Il rischio ora è l’abbandono dell’olivicoltura tradizionale». Una lezione da cui trarre insegnamento, evitando scelte affrettate o slegate da una visione economica d’insieme.

Italia Olivicola propone perciò un Piano Integrato che coinvolga tutta la filiera, rilanciando il ruolo delle Organizzazioni di Produttori (OP), strumento indispensabile non solo per gestire stoccaggi e crisi temporanee, ma anche per definire strategie commerciali sostenibili nel medio e lungo periodo. Un aspetto particolarmente delicato riguarda il rapporto con la Grande Distribuzione Organizzata, che spesso penalizza l’olio italiano utilizzandolo come prodotto civetta a basso costo per attirare i consumatori, compromettendo la redditività per i produttori.

«L’olio extravergine di oliva non può essere svenduto, deve essere valorizzato», sottolinea Sicolo, indicando la necessità di rivedere con urgenza la normativa sul sottocosto e aprire un dialogo vero con i grandi gruppi della distribuzione per arrivare a un accordo condiviso, basato su interesse reciproco e qualità.

Per dare concretezza a questa visione, però, non basta la volontà politica. Serve un piano finanziario pluriennale, capace di sostenere investimenti a lungo termine, proteggere i piccoli e medi produttori e garantire continuità all’intera filiera olivicola italiana. Una filiera che oggi si trova stretta tra la crisi climatica, la concorrenza internazionale, le emergenze fitosanitarie – la Xylella su tutte – e le sfide legate all’innovazione tecnologica.

«Il settore non può più essere lasciato a sé stesso – conclude Sicolo –. Serve un piano ambizioso, concreto e ben finanziato, che restituisca fiducia agli operatori e renda l’olio italiano una vera eccellenza, riconosciuta e remunerata anche sul mercato internazionale».

L’appello di Italia Olivicola è chiaro: non si può parlare di rilancio senza parlare di mercato, di redditività e di visione sistemica. Il rischio, altrimenti, è quello di trasformare anche i migliori impianti in cattedrali nel deserto, con un prodotto di altissima qualità ma senza la dignità economica che dovrebbe accompagnarlo. E in un Paese come l’Italia, dove l’olio è cultura prima ancora che economia, questa sarebbe la sconfitta peggiore.

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