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Bari
23 Giugno 2025 - 08:52
Amianto e lavoro
BARI – Ha lavorato per oltre tre decenni in ambienti contaminati, senza alcuna protezione, a pochi passi dallo stabilimento Fibronit, epicentro barese della produzione in cemento-amianto. Oggi, a 82 anni, dopo una lunga battaglia giudiziaria, il signor F.V., ex tecnico Telecom, ha ottenuto il riconoscimento della malattia professionale da esposizione all’amianto con conseguente condanna dell’INAIL al pagamento di una rendita mensile.
La decisione è arrivata dal Tribunale del Lavoro di Bari, e restituisce dignità e giustizia a un uomo colpito da placche pleuriche calcifiche bilaterali, generate dall’inalazione prolungata di fibre di amianto durante il suo servizio nella sede di via Caldarola. Qui F.V. ha lavorato per 31 anni come assistente tecnico e coordinatore di squadra, operando in prima linea tra sopralluoghi, controlli e collaudi sulla rete telefonica, maneggiando materiali coibentati e utilizzando teli ignifughi contenenti crisotilo, una delle forme più pericolose di amianto.
L’esposizione è stata continua e diretta, senza che, ha stabilito il giudice, l’azienda fornisse alcun presidio di sicurezza individuale, nonostante la vicinanza – appena 50 metri – con lo stabilimento Fibronit, da tempo riconosciuto come sito ad alto rischio ambientale.
La richiesta di tutela era stata inizialmente respinta dall’INAIL nel 2020, spingendo l’ex tecnico a rivolgersi alla magistratura con l’assistenza dell’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto. È stato proprio Bonanni a commentare la sentenza come “una nuova conferma del disastro umano e sanitario causato dall’amianto in Italia, dove migliaia di lavoratori sono stati impiegati in condizioni insalubri, privi di tutele e abbandonati al proprio destino”.
Il legale annuncia che ora si procederà anche per ottenere il risarcimento integrale dei danni e la maggiorazione della pensione INPS spettante alla vittima.
“L’amianto è una tragedia che continua a colpire – ha dichiarato Bonanni – e non può essere archiviata come un problema del passato. È tempo di riconoscere le responsabilità istituzionali e aziendali di questa lunga strage silenziosa. Ogni lavoratore ha diritto a sicurezza, ma anche a verità e risarcimento”.
Il caso del signor F.V. si aggiunge così alla lunga lista di procedimenti che testimoniano il prezzo umano pagato da chi, per anni, ha lavorato ignaro del pericolo o senza strumenti per proteggersi, in ambienti dove la fibra killer era presente ovunque. Un capitolo doloroso della storia del lavoro in Italia che, ancora oggi, chiede giustizia.
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