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Trani
21 Giugno 2025 - 11:57
Lo scrittore Rino Negrogno
TRANI – La vita, a volte, bussa alle porte del pronto soccorso con tutta la forza del dolore umano. Rino Negrogno, volto esperto del 118 in servizio al Pta di Trani, conosce bene quella linea sottile tra l’urgenza e l’umanità che attraversa ogni turno in ambulanza. Ma in questa occasione ha scelto di mettere da parte la sirena per impugnare la penna, quella stessa penna che ha già commosso i lettori in libri come Il Miracolo, Codice Rosso o Controra.
Il suo racconto questa volta è una storia realmente accaduta venerdì 20 luglio, quando un uomo anziano si è presentato con la propria auto davanti alla sede del 118: sul sedile posteriore, il fratello privo di sensi, appena colpito da un malore dopo aver saputo della morte della moglie. Una scena silenziosa e lacerante, che Rino ha trasformato in memoria viva e condivisa. E l'ha affidata ad un post sul suo profilo social. Un testo che val la pena di essere letto e meditato:
«È morta mia moglie (non la mia ovviamente).
Ad un tratto arriva un’auto suonando il clacson, ci dirigiamo all’esterno, è certamente qualcuno che ha bisogno di aiuto, un tempo, quando non esisteva il 118, accadeva più sovente che arrivassero auto strombazzando, con il fazzoletto fuori dal finestrino, oggi accade più raramente, ma accade. Mi avvicino, nell’auto ci sono due anziani signori, quello alla guida è un po’ meno in avanti con l’età, quello seduto nel vano passeggeri è accasciato, ha gli occhi chiusi, sembrerebbe privo di coscienza, apro lo sportello per accertarmi delle sue condizioni, respira, chiedo all’accompagnatore cosa sia successo, scrolla le spalle, esita a rispondere, osserva il parente, che scopriamo poi essere suo fratello, è svenuto, dice, ma l’esanime socchiude finalmente gli occhi, dai quali, come se alfine liberata dalle palpebre, fuoriesce una lacrima, e sussurra: è morta mia moglie, poi li richiude singhiozzando, e simula, o forse no, di svenire ancora.
Chiedo ai miei collaboratori di avvicinare una sedia a rotelle mentre poggio una mano sulle spalle del signore presumibilmente risvenuto, e intanto mi torna in mente Eduardo in Natale in casa Cupiello, quando la moglie sviene e lui dice: Pascalì è morta mia moglie, accendi le candele alla Madonna, tutte le candele per Concetta, e quando Concetta riapre gli occhi: stuta, Pascalì, stuta, sta meglio.
Lo tiriamo fuori dall’auto a peso morto, lo portiamo dentro e lo adagiamo sulla lettiga. Il fratello ci spiega che è morta sua moglie, e lui quando l’ha vista morta, è svenuto e non si è più ripreso, dunque lo hanno messo in macchina e lo ha portato qui.
I parametri sono buoni, strizza gli occhi, si passa una mano sulle labbra, apre gli occhi, volta il capo da una parte e poi dall’altra, ci scruta con un’aria di perplessità, chiede dove sia. Sei in ospedale, gli risponde la mia collega, non ricordi cosa è accaduto? No, risponde lui, e rivolgendosi al fratello chiede: cosa è successo? Come non ricordi, risponde il fratello, ti sei sentito male. Non ricordo, risponde lui, comunque va bene, ora sto bene, sorride. Da quel sorriso ci rendiamo conto che ha completamente rimosso l’evento che gli ha provocato il malore, la morte di sua moglie. Andiamo a casa, esclama volgendosi al fratello perplesso quanto noi.
Non ricordi proprio perché sei qui? bisbiglio titubante, consapevole del fatto che nessuno di noi troverà il coraggio di riferirgli il motivo del suo trovarsi in quel luogo, circondato da noi e da suo fratello. Non mi ricordo nulla, risponde lui serenamente, avrò avuto un malore, ma ora sto bene.
Il fratello ci chiama in disparte, secondo lui bisogna dirglielo, altrimenti quando sarebbe tornato a casa avrebbe accusato di nuovo un malore. Ci guardiamo, nessuno di noi vuole dirglielo, ridargli un nuovo dolore, che sarebbe il primo, giacché pare aver rimosso il precedente, ha solo fretta di tornare a casa, presumibilmente dalla moglie che lo attende trepidante, invece è morta, e noi ci volgiamo tutti verso il fratello, come se avessimo preso accordi, e quegli accordi avessero stabilito che fosse solo e soltanto suo dovere annunziare il triste accadimento, il fratello, improvvisamente investito dal pesante fardello, si volta verso lui, ma intanto, quasi per alleviarlo, faccio un ultimo tentativo: cosa stavi facendo prima di sentirti male, chiedo irresoluto. Ero a casa, forse faceva troppo caldo.
Non c’è speranza. La rimozione posta in essere dalla mente come meccanismo di difesa inconscio è stata più che efficace. Mi chiedo, nella condizione di quiete raggiunta per la consapevolezza del fatto che non sarò io a rendere noto il funesto ragguaglio, avendo noi tacitamente condannato all’onere il fratello, quanto vi fosse amore tra i due vecchietti, quanta sana abitudine, il telegiornale, il quiz in televisione, un bicchiere di vino, e il letto nuziale, barocco di legno buono, la cifoniera con gli specchi, con sopra l’albero di Natale da rimontare per i nipotini, la cassettiera di compensato per i farmaci, quanta vita volata via.
Sei qui perché è morta tua moglie e ti sei sentito male, taglia corto il fratello come se volesse al più presto liberarsi dell’enorme incombenza. Cosa hai detto, chiede esitante il vedovo, ma ha compreso benissimo, cosa hai detto, domanda ancora, e il fratello, mentre noi attoniti restiamo muti, è morta tua moglie.
E lui prorompe in lacrime, proprio come se lo avesse appena saputo, eppure era stato lui il primo a comunicarcelo. Che mistero è la mente umana».
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Testata: Buonasera
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