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L'analisi

La "psicopolitica" di Donald Trump

Quella del Presidente Usa non si è limitata ai confini nazionali, ma si è estesa a una dimensione planetaria, configurandosi come una vera e propria "geo-psicopolitica"

Donald Trump, eletto per la seconda volta presidente degli Stati Uniti

Donald Trump

Professor Bagnardi, il filosofo B. C. Han ha teorizzato la "psicopolitica". In che modo questo concetto ci aiuta a capire meglio le strategie di Donald Trump?
"Il concetto di 'psicopolitica' di Han è fondamentale per decifrare l'operato di Trump. Non si tratta solo della consueta propaganda politica, ma di una manipolazione più sottile e profonda delle emozioni e delle percezioni collettive. Trump ha dimostrato una capacità straordinaria di agire direttamente sulle labilità della coscienza collettiva, per generare un particolare rapporto quasi di sorveglianza nei confronti dei suoi sostenitori. Una sorta di disciplina imposta e pretesa oltre i confini di ogni privatezza."

 

La California è emersa come un "archetipo negativo" nella retorica trumpiana. Può spiegarci perché proprio la California?
"La California, con la sua identità progressista, l'economia trainata dall'innovazione, la pluralità etnica e le politiche ambientaliste, rappresenta l'esatto opposto di ciò che la politica trumpiana vuole ottenere. È stata sistematicamente dipinta come il covo dell'establishment, dei liberal e dei globalisti. Per i sostenitori di Trump, la California è diventata una proiezione delle ansie legate alla mondializzazione umana, al politicamente corretto e ai cambiamenti demografici e culturali, definiti come fossero una minaccia. Le politiche del Presidente sull'immigrazione, sui diritti di genere e sull'ambiente vengono piuttosto usate per stereotipare l'America sbagliata, 'che sta perdendo la sua grandezza'. Questo rafforza enormemente la dicotomia del 'noi contro loro', alimentando gli slogan del 'Make America Great Again'."

 

Trump ha spesso attaccato le economie della Silicon Valley e di Hollywood. Qual è stato il motivo di un tale atteggiamento?
"Trump accusa quei distretti di 'cospirazione elitaria', innescando un meccanismo psicopolitico estremamente efficace. E con ciò canalizza i risentimenti verso continue e mobtanti richieste di maggior controllo. La ricchezza e l'influenza di queste industrie, simbolo del successo californiano, sono state presentate come la prova di un complotto contro la 'vera America'. Un'abile manipolazione dei fatti, che ha spinto l'opinione comune verso l'esasperazione interpretativa, utile solo a certi scopi narrativi (di regime?). Di certo, Trump è riuscito a creare un bersaglio chiaro per le frustrazioni popolari."

 

Parliamo delle proteste. Come ha sfruttato Trump le manifestazioni di Los Angeles e di San Francisco?
"Le proteste, in particolare quelle legate a istanze sociali e razziali, hanno offerto a Trump un'opportunità quasi perfetta. Invece di riconoscere le problematiche reali, ha sistematicamente amplificato gli aspetti del disordine, del vandalismo e della violenza. In una sorta di iperstimolazione emotiva, alimentata da immagini e video di scontri, ha generato un diffuso senso di emergenza e pericolo. Ha fatto leva sulle paure latenti di disgregazione sociale. In un contesto vissuto nel caos, la popolazione ha preteso certezze ed è stata indotta a cercare la 'figura forte' e autoritaria, mentre i manifestanti venivano presentati come 'teppisti' o 'terroristi interni' e le proteste come 'sovversione' o 'anarchia'. E Trump si è detto unico in grado di ristabilire la 'normalità' e la 'sicurezza'. Questo ha rafforzato il suo ruolo di protettore e ha giustificato l'idea che la forza fosse la sola risposta legittima."

 

Dopo l'esercizio di forza, la violenza?
"Certo. La condanna selettiva delle proteste – punire i manifestanti ma tollerare, o persino incitare, la violenza dei suoi – ha avuto un impatto psicopolitico profondo. Ha veicolato il messaggio che la violenza può essere un mezzo accettabile per gli scopi politici, specialmente se è 'violenza buona' (quella di Stato o dei 'veri americani') contro la 'violenza cattiva' (quella dei 'nemici della Patria'). Questo ha contribuito a un clima di radicalizzazione in cui la violenza stessa viene normalizzata. Parallelamente, la costante delegittimazione delle istituzioni – i media etichettati come 'fake news', i giudici come 'liberal' – ha creato un dannoso 'vuoto cognitivo di massa'. Se i media mainstream e le istituzioni democratiche non sono affidabili, allora l'originale 'verità' non può che essere quella fornita dal leader assoluto. Per i suoi sostenitori, le proteste in California non sono un grido di dolore del popolo, ma l'espressione di una eversione contro l'America. Questa 'verità' ha trovato ampia dialettica nella retorica dominante."

 

Professor Bagnardi, per Trump esiste anche una "geo-psicopolitica" nel dialogo con il mondo?
"Sì! La "psicopolitica" di Trump non si è limitata ai confini nazionali, ma si è estesa a una dimensione planetaria, configurandosi come una vera e propria "geo-psicopolitica". Trump ha applicato le stesse tattiche di manipolazione emotiva e polarizzazione a livello internazionale. Basti pensare al suo rapporto con la Cina, dipinta in termini aggressivi di antagonismo economico e militare, o all'Unione Europea, attaccata per la sua macchinosità burocratica e per la presunta critica anti-americana. Trump ha usato la retorica del conflitto e della contesa esterna per galvanizzare i consensi e presentarsi come il difensore degli interessi degli Stati Uniti nel mondo. Ha saputo sfruttare le paure globali legate alle fragilità economiche e finanziarie e alla difesa dei territori. In questo senso, la sua politica estera è stata molto spesso un'estensione della politica interna, mirata a rafforzare una condotta in dirittura "tecno-feudale" e a consolidare il proprio ruolo dominante e invadente. L'ideologia "America First" è diventata uno strumento psicopolitico assai potente, che gestisce soprattutto il senso di disorientamento per ottenere la conduzione quasi totale del sentimento pubblico."

 

Infine, il "culto della personalità".
"La proposta di usare Guantanamo per la deportazione e la detenzione dei migranti irregolari, sebbene non direttamente legata alle dimostrazioni di piazza in California, è emblematica dell'uso della forza coniugata all'ordine' o addirittura confusa in esso. Trump ha veicolato un messaggio psicopolitico chiaro: 'sono pronto a essere spietato per proteggere la nazione e il mio popolo', rassicurando chi teme l'immigrazione incontrollata e rappresentando un avvertimento per chiunque osasse sfidare l'autorità del Tycoon. Il culto della personalità di Trump raggiunge l'apice proprio quando esprime la propensione alla trasgressione delle regole e la volontà di allontanamento dal 'politicamente corretto'. L'idea che Trump fosse un 'autentico' e 'non un politico di rango' ha trovato estesi consensi e varie risonanze tra chi si sentiva soffocato dalle norme sociali di comportamento delle élite. Paradossalmente, questa 'libertà' delle masse – di esprimere i pregiudizi e ignorare le convenzioni – è diventata una forma di auto-asservimento all'autorità e al comando. La California, in questo senso, è apparsa un palcoscenico simbolico su cui plagiare le apprensioni e plasmare le emozioni, onde ottenere devozione incondizionata. Mentre lo schema di fondo è confermare il ruolo salvifico del 'capopolo'; aumentare l'odio verso il 'nonpopolo', e, vieppiù, costruire un legame di indissolubile sudditanza con il 'popolo' riconosciuto."

Prof. Raffaele Bagnardi
Docente di Sociologia del Lavoro e della Organizzazione
Ex Sindaco di Grottaglie

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