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Taranto
15 Giugno 2025 - 06:35
Le forze dell'ordine
TARANTO – È un attacco duro e senza mezzi termini quello lanciato da Domenico Pianese, segretario generale del sindacato di polizia Coisp, dopo l’iscrizione nel registro degli indagati dei due agenti che hanno partecipato al blitz in cui è rimasto ucciso Michele Mastropietro, l’uomo armato che aveva da poco assassinato il brigadiere Carlo Legrottaglie.
Secondo il Coisp, l’indagine per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi rappresenta una ferita per chi ogni giorno si espone al pericolo per garantire la sicurezza dei cittadini. “È uno schiaffo alla realtà, alla logica e al lavoro delle forze dell’ordine”, ha dichiarato Pianese, esprimendo solidarietà ai colleghi coinvolti nell’operazione avvenuta nelle campagne tra Francavilla Fontana e Grottaglie.
Per il sindacato, quanto sta accadendo ha del paradossale: chi ha fermato un uomo armato e pericoloso, dopo che aveva già sparato e ucciso un carabiniere, si ritrova ora sotto accusa e rischia di dover affrontare anche le spese legali di un processo. “Chi aggredisce lo Stato non può godere di più tutele di chi lo difende”, ha ribadito Pianese, denunciando un vero e proprio cortocircuito normativo.
Il Coisp chiede che venga applicato senza ulteriori ritardi il decreto sicurezza, approvato da pochi giorni, che prevede un fondo economico per coprire i costi legali degli operatori delle forze dell’ordine indagati per fatti di servizio. “È già legge, e va applicata immediatamente – ha detto Pianese – altrimenti interverremo noi come sindacato per sostenere i colleghi”.
Il segretario del Coisp ha concluso l’intervento con un appello al Dipartimento della Pubblica Sicurezza e alle istituzioni: “Non possiamo permettere che la burocrazia si trasformi in un dramma economico per chi ha agito solo per dovere. Non resteremo a guardare”.
Dello stesso tenore le parole del Segretario generale regione Puglia di Unarma, Nicola Magno: «I nostri colleghi sono intervenuti nell’adempimento di un dovere previsto per legge. E oggi, per aver fatto semplicemente ciò che lo Stato impone loro, si ritrovano come premio un avviso di garanzia, che comporterà un procedimento penale allo stesso titolo di chi ha seminato violenza e morte. Questa non è giustizia. È una profonda ingiustizia travestita da “atto dovuto”, perché un sistema che mette sullo stesso piano i servitori dello Stato e i delinquenti che lo sfidano non è solo inadeguato, è inaccettabile. Dietro l’alibi delle procedure obbligatorie si nasconde una grave carenza normativa. Non si può più tollerare che ogni intervento operativo finisca sotto inchiesta, alimentando il sospetto su chi agisce nel rispetto della legge. Non si può chiedere a un operatore di polizia di rischiare la vita sapendo che, se sopravvive, potrebbe essere trattato come un imputato. A tutto questo si aggiunge un elemento ancor più doloroso: la freddezza con cui vengono notificati questi atti, senza alcuna considerazione per il momento umano, per il lutto, per il sacrificio».
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