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L'intervista
29 Maggio 2025 - 11:14
Raffaele Bagnardi
A pochi giorni dai Referendum su Lavoro e Cittadinanza, abbiamo voluto sentire il parere di Raffaele Bagnardi, docente di Sociologia del Lavoro e della Organizzazione, ex Sindaco di Grottaglie e Costituente nazionale del Partito Democratico.
Il lavoro al centro del progresso e dello sviluppo.
Nell'attuale dibattito economico, si tende a considerare molto numeri e bilanci. Lei, però, propone una prospettiva diversa, ponendo il lavoro al centro dei modelli di Progresso e Sviluppo. Perché il lavoro è così cruciale? E come si differenzia la sua visione da quella dominante che lo considera spesso un costo da tagliare?
«Il lavoro non va considerato un costo, bensì un investimento sulla qualità a lungo termine. L'attuale visione, a mio parere, è miope, se non addirittura dannosa. I licenziamenti, le delocalizzazioni, la precarizzazione e la perdita di occupabilità hanno effetti socialmente devastanti e distruggono il valore umano accumulato: le reti di conoscenza, le competenze, le motivazioni e la fiducia nelle organizzazioni.
Proteggere il lavoro significa riconoscere che l'occupazione è una risorsa preziosa, frutto di anni di formazione, addestramento ed esperienza. Ogni lavoratore qualificato detiene la memoria operativa e il potenziale innovativo di un'azienda e, per estensione, dell'intero Paese. Perdere tutto questo non è un semplice costo contabile, ma un depauperamento totale con conseguenze durature».
Il lavoro come motore del cambiamento.
Di frequente, nelle crisi economiche si assiste a tagli e a sacrifici, imposti per primi agli occupati. Lei suggerisce invece che il lavoro possa essere un motore del cambiamento. Può spiegarci meglio questo concetto?
«Nei periodi di recessione, il lavoro può diventare un importante segnale di avanguardia, permettendo di leggere il futuro con tempestività. Invece di chiederci "quanto" tagliare, dovremmo concentrarci su "come" riqualificare e riadattare il personale e su "come" stimolare l'imprenditorialità verso l'innovazione.
Se protetto e valorizzato, il lavoro si trasforma in un laboratorio sociale; permette la sperimentazione di nuove forme organizzative; promuove la solidarietà e stimola la ricerca di soluzioni innovative. Le crisi possono essere fucina di grande creatività, purché le persone abbiano la fiducia di base e la sicurezza per esplorare nuove strade. Questa visione risuona con il concetto di "distruzione creatrice" nella letteratura delle organizzazioni (Schumpeter), purché tale rigenerazione sia accompagnata da una protezione sociale che permetta ai lavoratori di partecipare attivamente ai processi innovativi, anziché esserne vittime».
Protezione del lavoro: un imperativo strategico.
Lei afferma che la protezione del lavoro non va interpretata sempre alla stregua di "assistenzialismo", ma deve essere intesa e compresa come un imperativo strategico. Quali sono le implicazioni di questa affermazione per la società nel suo complesso?
«Assolutamente sì! Una società con alti livelli di disoccupazione e diffusa precarietà genera incertezze, disordini e crescenti disuguaglianze, alimentando potenziali conflitti sociali. Una forza lavoro demoralizzata non produce né si proietta verso prospettive future.
Al contrario, le politiche che mirano a proteggere il reddito (con ammortizzatori sociali robusti), a riqualificare i lavoratori (con formazione e addestramento continui) e a sostenere l'occupazione (con incentivi mirati) non solo mitigano le sofferenze individuali, ma mantengono viva la domanda interna, stabilizzano i consumi e preparano il terreno per la ripartenza. In questo modo, il lavoro dignitoso e stabile, lontano dall'essere un'affermazione moralista, diventa la base per la creazione di concreti valori economici e sociali. Questa visione, profondamente radicata nelle impostazioni keynesiane, considera la stabilità del lavoro e la domanda aggregata indispensabili per superare le crisi recessive e garantire una prosperità economica espansiva».
I Referendum di giugno e il "Patto Sociale"
Parlando dei prossimi referendum di giugno, lei vede in questo voto un'opportunità per rinnovare il "Patto Sociale". Cosa intende con questa espressione e quali sono le sue aspettative a riguardo?
«Auspicando il raggiungimento del quorum e la maggioranza dei cinque "Sì", l'abrogazione proposta può rispondere alle sfide lanciate da certe politiche eccessivamente liberiste e può consentirci di affrontare al meglio le attuali congiunture economiche, riconciliando l'efficienza competitiva con la tutela e la coesione sociali. È tempo di superare la logica del profitto immediato e del guadagno finanziario, proprio per costruire un futuro sostenibile, dove l'efficacia economica si concili con l'interesse collettivo.
Ciò significa pianificare e porre il lavoro come fattore essenziale. È necessario ridisegnare le relazioni, puntando su una contrattazione collettiva più tempestiva, trasparente ed equilibrata. Il dialogo tra datori di lavoro e lavoratori deve diventare una solida partnership, capace di coniugare le esigenze produttive con i principi di eguaglianza ed equità. Questo rinnova il progetto di "Patto Sociale", a garanzia di un più funzionale equilibrio tra diritti e doveri».
Valorizzare il lavoro oltre la quantità
Oltre alla contrattazione collettiva, quali altri aspetti ritiene fondamentali per valorizzare il lavoro?
«Dobbiamo riconoscere il valore reale del lavoro, andando oltre la quantità. Impegno, passione e creatività devono essere considerati e premiati. Solo così l'economia potrà diventare uno strumento di emancipazione personale e collettiva, migliorando concretamente il "benvivere" di tutti.
La stabilità e la sicurezza sono pilastri irrinunciabili. È fondamentale adottare misure strutturali contro la precarietà, garantendo continuità e protezione attraverso politiche di sicurezza sociale che rafforzino il sistema operativo e le opportunità individuali. Qui si inseriscono le economie sociali, che pongono l'accento sulla cultura imprenditoriale, in sintonia con le vocazioni e le attitudini delle comunità territoriali. Molti hanno sottolineato come la mercificazione del lavoro possa portare a gravi crisi sociali, rimarcando la necessità di "reincorporazione" dell'economia nella società, per raggiungere un ordine proponibile e regolabile».
Cittadinanza e inclusione
Infine, in un quesito referendario si menziona l'importanza di semplificare l'iter per l'ottenimento della cittadinanza nazionale per chi vive, studia e lavora in Italia. Come si inserisce questo aspetto nella sua visione complessiva del lavoro e della società?
«L'introduzione di un iter più semplice per l'ottenimento della cittadinanza nazionale per chi vive, studia e lavora in Italia è un passo, a dir poco, doveroso. Allineandoci agli standard europei, incentiveremmo una maggiore integrazione sociale e amplieremmo la partecipazione democratica nel nostro Paese; elementi determinanti per una società aperta, globalizzata e demograficamente più sana. Questa prospettiva, inoltre, ci permetterebbe di allargare la platea dei lavoratori "profilati". Di conseguenza, non solo si arricchirebbe la "gamma" prestazionale disponibile per le imprese, introducendo nuove possibilità di cosiddetta "intelligenza anticipatoria" dei mestieri e delle professioni (azioni proattive), ma, in caso di assunzione dipendente, si assicurerebbe anche un maggior gettito a vantaggio del sistema previdenziale e pensionistico».
Per chiudere. In un periodo di crisi economica, non possiamo pretendere che solo i lavoratori si facciano carico della flessibilità. È necessaria una collaborazione sinergica tra istituzioni, associazioni datoriali e sindacati, meglio se in coordinamento internazionale europeo. Solo con un impegno condiviso potremo costruire un progresso reale e uno sviluppo concreto. Dobbiamo operare una conversione di prospettive, passando dal considerare il lavoro un costo variabile e sacrificabile al riconoscerlo quale investimento strategico sull'umano e sul sociale. Proteggere il lavoro significa investire nella resilienza della società e nella sua capacità di miglioramento. Questa visione è perfettamente in linea con le contemporanee teorie sull'integrazione e sulla coesione dei popoli, anche nell'ordine etico, che riconoscono il particolare contributo degli immigrati al benessere economico e sociale.
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Testata: Buonasera
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