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Ugento
25 Maggio 2025 - 07:49
I carabinieri di Lecce
LECCE - Una scena raccapricciante si è presentata all’alba di sabato 24 maggio davanti ai cancelli del cimitero comunale di Ugento, in provincia di Lecce: una testa di maiale mozzata, infilata tra le grate del portone d’ingresso, accompagnata da un biglietto intimidatorio con il volto e il nome di un 34enne di Ugento già noto alle forze dell’ordine.
A fare la scoperta è stato il custode del camposanto, intorno alle 7 del mattino, orario di apertura del cimitero. L’uomo ha immediatamente allertato le forze dell’ordine. Sul posto sono intervenuti i carabinieri della stazione locale, affiancati dal Nucleo operativo e radiomobile della compagnia di Casarano e dalla sezione Investigazioni scientifiche, che hanno repertato e sequestrato tutto il materiale per sottoporlo alle analisi tecniche.
Accanto al macabro reperto, gli autori del gesto hanno lasciato un foglio plastificato, fissato con una fascetta da elettricista, sul quale era riportata una frase in dialetto salentino priva di punteggiatura, indirizzata direttamente al 34enne: “A ddhru fiju te puttana tu ... rimani sempre nu lurdu infame vigliacco farai la stessa fine questa e la tua prossima casa”, che tradotto significa: “A quel figlio di puttana di ..., resti sempre un infame vigliacco, farai la stessa fine, questa è la tua prossima casa”.
L’episodio ha immediatamente fatto ipotizzare un chiaro messaggio mafioso, sia per la simbologia utilizzata che per il contesto in cui si è verificato. L'uomo, attualmente affidato in prova ai servizi sociali, è finito in passato al centro di indagini giudiziarie legate al mondo degli stupefacenti. Solo pochi mesi fa è stato coinvolto nell’inchiesta “Fuori Gioco”, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce e condotta dalla Guardia di Finanza, che ha smantellato un presunto traffico di cocaina tra Lecce e Brindisi, gestito dal clan Soleti della Sacra Corona Unita.
Secondo gli inquirenti, il gruppo avrebbe imposto il proprio monopolio sulla droga, importata da Calabria e Olanda, utilizzando violenze e minacce per costringere gli spacciatori locali ad approvvigionarsi solo dal clan. L’attività del sodalizio, secondo l’accusa, si sarebbe estesa anche ad altri settori, come il gaming, la complicità con imprenditori e il business degli oli esausti.
I carabinieri hanno già provveduto ad ascoltarlo, per valutare eventuali collegamenti tra l’atto intimidatorio e le recenti inchieste giudiziarie, oppure per capire se il messaggio possa riferirsi a vecchi contrasti personali o criminali. Al centro delle indagini ci sono anche le immagini delle telecamere di sorveglianza presenti nella zona, che potrebbero offrire elementi utili all’identificazione degli autori del gesto.
Il caso è seguito con la massima attenzione dagli investigatori, che non escludono alcuna pista, ma che fin dalle prime ore di ieri hanno ricondotto l’intimidazione a un rituale tipico dell’universo mafioso, concepito per colpire psicologicamente e lanciare un avvertimento inequivocabile.
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