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Il caso

Siamo tutti giornalai

A proposito di balconi vietati in Città Vecchia. Perché per denigrare i giornalisti si usa come insulto un lavoro onesto e glorioso?

Siamo tutti giornalai

L’ultima a restarne vittima in ordine di tempo è stata una collega di Telenorba, “colpevole” di essere l’autrice di un servizio nel quale, correttamente e senza enfasi, si dava notizia dell’ordinanza comunale con la quale di fatto si vietano i sovraffollamenti sui balconi in Città Vecchia al passare delle processioni della Settimana Santa. Provvedimento ragionevole, seppure tardivo e poco pubblicizzato, vista la condizione non del tutto rassicurante di una parte degli stabili della Città Vecchia. In sostanza: affollarsi su balconi non proprio robusti può essere un rischio, quindi meglio evitare. Fatto sta che alla messa in onda di quel servizio televisivo si è scatenata la solita tempesta sui social. La giornalista tacciata di essere “giornalaia”, colpevole di aver leso l’onore della patria (in questo caso la Città Vecchia), di aver deturpato con le sue parole e con quelle immagini le bellezze di Taranto. E in un servizio in cui si parla di balconi a rischio cosa avrebbe dovuto far vedere? Il Museo? Il Castello Aragonese? Il ponte girevole? Le fioriere di Via D’Aquino? Naturalmente non è mancato chi ha evocato il complotto barese per danneggiare la Città dei Due Mari. Arma, quella complottista, sempre pronta a essere dissotterrata in virtù di quella comoda via d’uscita del vittimismo per la quale è sempre nella cinica crudeltà altrui la responsabilità dei propri fallimenti. E allora dagli addosso alla “giornalaia”, per di più tarantina e quindi doppiamente traditrice dell’amor patrio. “Shit storm”, direbbero quelli bravi. Condanna senza appello dai giudici del web che, anche in questa occasione, si sono trasformati in maestri di giornalismo, esperti in tecniche di comunicazione, virtuosi della deontologia professionale. Allo stesso modo in cui, a seconda delle stagioni e dei “trend topic” - direbbero ancora quelli bravi - ci si trasforma in virologi o esperti di politica estera, di strategie militari, di politica economica. I laureati all’università della vita ne sanno sempre più della Treccani. I danni dell’uno vale uno.

Eppure, a proposito di Treccani, non risulta ancora che il sostantivo “giornalaio” sia stato trasformato in un epiteto. Usato come insulto per denigrare i giornalisti, sempre colpevoli di qualcosa, a prescindere. Orbene, pur essendo quella dei giornalisti indubbiamente la peggiore categoria del pianeta (peggio dei preti pedofili, dei magistrati corrotti, dei politici mazzettari, dei sindacalisti venduti al padrone e dei perditempo del web) ciò che non si comprende è perché per denigrare questi immondi professionisti delle bufale si faccia ricorso al termine “giornalai”, così offendendo un mestiere glorioso e dignitoso e purtroppo in estinzione come quello del giornalaio. Un lavoro onesto usato come insulto. Perché? Forse solo i professori dei social esperti in comunicazione sarebbero in grado di darci una risposta.

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