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Bari
16 Aprile 2025 - 07:24
Il Consiglio regionale pugliese
BARI – Dopo anni di rinvii, contrasti e commissariamenti, la Regione Puglia approva finalmente l'inserimento della doppia preferenza di genere nella propria legge elettorale. Ma la norma, accolta in aula con soddisfazione da una larga parte della maggioranza, lascia aperto un fronte polemico: la mancata introduzione dell'inammissibilità per le liste che non rispettano l'equilibrio minimo di rappresentanza tra uomini e donne.
A sottolineare l'importanza dell'approvazione è stato Francesco Boccia, presidente dei senatori del Partito Democratico, che ha ricordato come proprio dal suo incarico di ministro per gli Affari regionali nel 2020 fosse stato necessario ricorrere ai poteri sostitutivi per sbloccare l'impasse. “Oggi la Puglia si allinea alle altre 15 regioni italiane che già prevedono la doppia preferenza”, ha dichiarato, evidenziando come il Partito Democratico abbia svolto un ruolo centrale nel raggiungimento del traguardo, pur ammettendo che “avremmo voluto l’esclusione delle liste non conformi, ma senza una maggioranza solida su questo punto rischiavamo di perdere tutto”.
Non mancano però voci critiche. Il Movimento Convenzione per Bari 2024 ha bollato l’intera operazione come un atto di autoconservazione, puntando il dito contro la maggioranza regionale che, pur approvando la legge, ha evitato di sanzionare severamente chi non rispetta la soglia del 60/40 nella composizione delle liste. “Solo una multa, nessuna esclusione. Un segnale di degrado istituzionale”, si legge nella nota.
Ancora più netta la posizione del consigliere regionale Michele Mazzarano, che ha parlato di occasione mancata: “La legge è stata svuotata del suo significato. Servivano sanzioni vere, non misure simboliche”. Secondo Mazzarano, si sarebbe potuta introdurre la decadenza automatica dei candidati in eccesso, come previsto in altre regioni, per rendere la norma realmente vincolante.
Di segno opposto le parole della consigliera PD Lucia Parchitelli, che ha rivendicato con orgoglio la paternità della proposta, costruita in sinergia con Loredana Capone, presidente del Consiglio regionale, e con l’alleanza delle Donne Costituenti. “È un primo passo per una politica più inclusiva, ma continueremo a lottare per rendere obbligatorio il rispetto della soglia 60/40 nelle liste”, ha dichiarato.
Sulla stessa linea il capogruppo PD Paolo Campo, che ha definito la legge “una conquista di civiltà”, sottolineando come il partito abbia scelto di modificare il testo originario per trovare una mediazione con l’opposizione e garantire l’approvazione della norma”.
Ma la tensione in aula è stata evidente, con Fratelli d’Italia che ha accusato il centrosinistra e il M5S di “caos e ipocrisia”. “Il presidente Emiliano ha votato contro l’emendamento sanzionatorio frutto di un accordo bipartisan”, hanno denunciato i consiglieri Renato Perrini, Dino Basile, Luigi Caroli, Giannicola De Leonardis, Tommaso Scatigna e Tonia Spina, denunciando l’ennesima spaccatura nella maggioranza.
Il Movimento 5 Stelle, infine, ha spiegato il proprio voto contrario, parlando di “una legge svuotata nella sostanza per salvare la forma”. Secondo i pentastellati, “senza l’inammissibilità delle liste non c’è alcuna reale garanzia di parità. È solo un compromesso politico al ribasso”. E con tono polemico hanno concluso: “Ci dicono che siamo allineati al resto d’Italia. Peccato che avremmo potuto essere i primi a cambiare davvero passo”.
La legge è stata approvata, ma il dibattito resta aperto. E con le elezioni regionali all’orizzonte, la battaglia politica sulla parità di genere sembra tutt’altro che conclusa.
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