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Il caso
02 Aprile 2025 - 17:44
Corsia di ospedale - archivio
TARANTO – Una telefonata surreale ha riaperto una ferita mai chiusa per Cristina, vedova di Antonio, ex operaio dell’Ilva scomparso a 45 anni nel 2024 per un tumore al duodeno.
“Signora, è arrivato il momento dell’intervento”, le hanno detto al telefono. Ma quell’intervento Antonio non potrà più riceverlo: è morto da oltre un anno.
“Credevo fosse uno scherzo di pessimo gusto”, ha raccontato la donna. “Mi hanno chiesto se avevamo risolto, ho risposto che mio marito era morto da mesi”. La vicenda, ripresa dall'Ansa, ha generato indignazione e interrogativi sull’efficienza delle liste d’attesa e sul coordinamento tra strutture sanitarie.
La replica della Asl di Taranto non si è fatta attendere. In una nota ufficiale l’azienda sanitaria ha precisato di non avere alcuna responsabilità nella convocazione tardiva, specificando che il paziente non era in cura presso le sue strutture. Secondo quanto ricostruito dalla direzione sanitaria, Antonio era seguito da oltre due anni da una diversa struttura pugliese, non collegata alla Asl ionica, presso la quale era stato preso in carico per il monitoraggio della sua patologia.
Con l'aggravarsi delle condizioni di salute, era sorta l’indicazione per un intervento alla cataratta e, di conseguenza, il tentativo di prenotare presso la stessa struttura che lo aveva in cura. Ma le liste di attesa erano troppo lunghe. Da qui la decisione di cercare disponibilità altrove, compresa l’Asl Taranto.
Proprio in questa fase, a causa di un disallineamento del sistema Cup, era stata proposta una data fuori dai limiti temporali previsti per legge. La Asl ha tenuto a sottolineare che per i casi urgenti di cataratta esiste un canale prioritario, con accesso diretto alle strutture oftalmologiche territoriali, e che interventi ad alta priorità vengono effettuati in tempi rapidi, secondo le valutazioni cliniche.
Il calvario di Antonio era cominciato nel 2022 con forti dolori addominali curati inizialmente con fermenti lattici dal medico di base, mentre la vera diagnosi – un linfoma non Hodgkin a cellule T – sarebbe arrivata solo mesi dopo, quando ormai le sue condizioni erano gravemente compromesse. Dopo una trafila di ecografie, TAC, visite specialistiche e una biopsia chirurgica al Santissima Annunziata, l’uomo aveva avviato la chemioterapia. Ma il tempo si era ormai esaurito.
La beffa della chiamata per l’intervento, a distanza di un anno dal decesso, è arrivata come l’ultima ingiustizia. “È stato come ricevere una pugnalata”, ha detto la moglie. “Antonio ha lottato fino alla fine, ma nessuno ha mai davvero ascoltato il suo dolore”.
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