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Savinuccio Parisi: «Nessun messaggio mafioso, ho solo parlato con la mia famiglia»

L'ex capoclan respinge l’uso di comunicazioni cifrate e minimizza il proprio ruolo nelle dispute interne

Avvocati in aula

Avvocati in aula

BARI - Nel panorama criminale di Bari la figura di Savinuccio Parisi appare sempre più controversa. Il presunto capo dell’omonimo clan ha dichiarato di non aver impiegato alcun linguaggio criptico durante le videochiamate effettuate dal carcere di Terni, sostenendo che i suoi scambi, avuti con i familiari, avevano esclusivamente natura domestica.

Durante un colloquio in videoconferenza con il Gip Giuseppe De Salvatore, Parisi ha spiegato che le conversazioni intercettate non miravano a trasmettere messaggi all’esterno né a risolvere controversie interne all’organizzazione criminale. In tale sede ha sottolineato di non essere stato informato di tutte le dinamiche che animano il clan.

L’interrogatorio, condotto con l’assistenza del legale Rubio Di Ronzo, si inserisce nel procedimento abbreviato che vede coinvolte 108 persone nell’ambito dell’inchiesta nota come Codice Interno. Le indagini hanno infatti evidenziato presunti legami tra la mafia, il mondo politico e l’imprenditoria nel tessuto sociale di Bari.

Le accuse mosse contro il boss includono il presunto coinvolgimento in uno scambio elettorale avvenuto nel 2019, operazione che avrebbe favorito l’insediamento politico dell’ex consigliere regionale pugliese Giacomo Olivieri, detenuto dal 26 febbraio in concomitanza con 130 arresti effettuati durante l’operazione. In sede di interrogatorio, Parisi ha ribadito di non avere alcun ruolo in tali manovre.

Il leader del clan ha poi voluto chiarire il suo approccio nei confronti del figlio Tommaso, noto nel mondo della musica neomelodica come Tommy Parisi e anch’egli coinvolto nel medesimo procedimento giudiziario. Secondo l’indagato, ha sempre cercato di tenere il giovane lontano dalle attività criminali, tanto che, al termine dell’udienza, ha inviato saluti affettuosi e compiuto un gesto simbolico, diretto proprio a lui, gesto che è stato ripreso dalla magistratura. Nel contempo, la Dda ha richiesto nei suoi confronti una pena di 20 anni di reclusione.

Le indagini hanno inoltre ricostruito come, nel 2019, l’ex consigliere Olivieri avrebbe erogato compensi a esponenti dei clan Parisi, Strisciuglio e Montani per favorire l’elezione della moglie, Maria Carmen Lorusso, al consiglio comunale. Pur negando qualsiasi legame diretto con tali gruppi, durante il proprio interrogatorio Olivieri ha ammesso di aver concesso buoni pasto e benzina, precisando che il suo intento non era sostenere la candidatura della moglie, ma piuttosto indebolire il centrodestra, in accordo con il governatore pugliese Michele Emiliano, il quale ha poi sporto querela nei suoi confronti.

Le operazioni di polizia, che hanno portato a numerosi arresti, hanno convinto il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, a istituire una commissione per esaminare possibili infiltrazioni mafiose nell’amministrazione comunale. Pur optando per non sciogliere il Comune, il Viminale ha adottato misure restrittive, intervenendo su due società municipalizzate e sanzionando alcuni funzionari pubblici.

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