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Il caso
05 Dicembre 2024 - 09:00
Un medico originario di Taranto è indagato dalla Procura della Repubblica di Padova, a cui gli atti sono stati trasmessi per competenza territoriale, a causa di un post ritenuto diffamatorio pubblicato su Facebook.
A sporgere la denuncia che ha aperto il caso è stata la vedova di un collega del medico, deceduto a Taranto in circostanze tragiche nel giugno scorso, precipitando dal balcone della sua abitazione.
Nel post finito sotto accusa, secondo la vedova del medico deceduto, si attribuirebbe la tragica fine dell’uomo, a cui il medico autore del post idealmente si rivolge, all’azione dell’ex moglie, che si è sentita identificata in uno dei “demoni terreni” a cui si fa riferimento nel post. In particolare – almeno questa è l’interpretazione dell’autrice della denuncia – in quelle frasi pubblicate sul social network si ravviserebbe l’accusa di aver spinto il marito alla morte a causa di “accuse infamanti” mosse nei confronti dell’uomo. In effetti, a carico del defunto pendeva un procedimento penale nato, però, da una querela per danneggiamento presentata contro ignoti dall’ex moglie dopo che la stessa, per ben due volte, aveva ritrovato in frantumi il parabrezza della propria auto, parcheggiata in una strada del centro di Taranto nei pressi della sua abitazione. Acquisendo il filmato delle telecamere di sorveglianza, gli inquirenti avevano identificato nell’autore del gesto proprio l’ex marito, che, sentito dagli inquirenti, aveva confessato. Queste dichiarazioni, unite alle testimonianze dei vicini di casa su comportamenti tenuti dall’uomo nei confronti dei congiunti, avevano portato all’imputazione dello stesso per i reati di atti persecutori e maltrattamenti in famiglia nei confronti della figlia minore e della moglie, senza che la stessa presentasse ulteriori querele o integrazioni.
Il post ritenuto diffamatorio è stato oggetto di numerosi “like” e condivisioni da numerosi utenti del social network la cui posizione sarebbe al vaglio degli inquirenti potendo essere considerati concorrenti nel reato. Non va mai dimenticato, infatti, che anche un gesto superficiale e frettoloso come un click su un social network può essere penalmente rilevante, oltre che altamente lesivo nei confronti di soggetti che si sentono ingiustamente diffamati e come anche un post di sfogo possa ferire profondamente chi legge parole considerate lesive sul proprio conto, arrivando, come per i soggetti coinvolti, ad aggiungere ulteriore dolore a quello già patito per la tragica fine di un marito e padre. Naturalmente saranno ora i magistrati a valutare il caso.
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