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La Storia

Evviva la radio!

Il primo mass medium davvero globale compie cento anni

Una radio Anni '20

Una radio Anni '20

Cent’anni fa, il 6 ottobre 1924, iniziava in Italia la regolare radiodiffusione di programmi; noi per brevità per parlare del broadcasting radiofonico (la “semina larga”, la trasmissione di un messaggio, qui con il medium radiofonico, da-uno-a-molti) parliamo di “radio” e basta, e infatti si sta celebrando in questi giorni il “centenario della radio”.

 

Ma la “radio” nasce - brevetto di Guglielmo Marconi, 1896, dopo i suoi primi esperimenti del 1894 - come radiotelegrafia, la telegrafia senza fili (nel 1901 Marconi realizza la prima trasmissione transatlantica di segnali radio, fra l’Europa e l’America). E tale resterà fino all’invenzione del triodo, la valvola termoionica, nel 1906, che consentì la trasmissione “senza fili” non più soltanto di segnali elettrici brevi o lunghi (i punti e le linee del telegrafo Morse) ma anche della voce umana e dei suoni. Nel 1910 fu proprio l’inventore del triodo, Lee De Forest, a realizzare negli Usa la prima trasmissione via radio di un concerto di Caruso, in diretta dall’OperaHouse di New York. Nasceva, non più radiotelegrafia, la radiofonia. Nel 1920, battendo sul tempo i quotidiani, fu la radio ad annunciare i risultati delle elezioni presidenziali americane. E’ dopo la guerra mondiale che la diffusione della radio “esplode”.

 

Negli Usa nel 1921 sono censiti 50mila radioamatori; nel 1922 sono 600mila (e le stazioni radio che trasmettono programmi sono già 187); nel 1925 4 milioni; nel 1927 6 milioni. Decisamente, ormai un mass medium. I primi apparecchi radio non erano dei “ricevitori” di messaggi da-uno-a-molti ma erano ricetrasmittenti; erano interattivi, costituivano già una prefigurazione (sulla scorta delle reti telegrafiche, ma con localizzazione in private abitazioni, non in appositi uffici) della Rete. Erano quello che in seguito sarebbe diventato il fenomeno di nicchia dei radioamatori, i cui apparati ricetrasmittenti sono sempre stati guardati con sospetto dai poteri statali e sottoposti a limitazioni che li han fatti oscillare sui confini della legalità.

 

Ben presto, però la radio divenne sinonimo di radiodiffusione da-uno-a-molti, e prendendo a pretesto la limitatezza delle frequenze disponibili si trasformò in un monopolio, o semi-monopolio, di concessionari pubblici, presto diventi veri e propri enti pubblici, o di pochi gruppi privati. In Europa prevalse il monopolio pubblico; negli Usa si affermò un modico pluralismo di grosse concentrazioni private. Nella costituzione delle compagnie di radiofonia (spesso con interessi incrociati con le aziende che fabbricavano gli apparecchi riceventi e gli impianti di radiodiffusione) giocò un rilevante ruolo iniziale la galassia di società che facevano a riferimento a Guglielmo Marconi. E la Marconi company troviamo fra i soggetti che diedero vita, nel 1924, alla prima compagnia di radiofonia italiana, l’U.R.I. Unione radiofonica italiana; una compagnia “privata” che agiva però quale concessionaria (presto in regime di monopolio) di un bene pubblico: le frequenze.

 

Il 6 ottobre 1924, con un certo ritardo sull’avvio di programmi di radiodiffusione (da ora in poi parleremo più semplicemente di “radio”) dei principali Paesi occidentali (Germania, Francia, Regno Unito, Stati Uniti d’America), presero il via i programmi dell’U.R.I., con la trasmissione di un concerto. Nella fase fondativa dell’U.R.I. c’è il tentativo di inserimento di uno dei pionieri della radio, l’Araldo Telefonico, una società che, sulla scorta di un analogo servizio di telefonia circolare avviato a Budapest, aveva realizzato in Italia (a Roma, Milano e Bologna) un servizio di trasmissione da-uno-a-molti attraverso i cavi telefonici di concerti, rappresentazioni teatrali in onda da vari teatri o “recitate” nell’auditorium dell’Araldo stesso, notizie, quotazioni di borsa e, a regolari intervalli, il segnale orario (che sarà a lungo uno dei più apprezzati servizi della futura radio via etere). Già nel 1922 l’Araldo Telefonico aveva dato vita al Radio Araldo, con un palinsesto che replicava, con maggiore spazio alla musica, quello dell’Araldo Telefonico.

 

E Radio Araldo tentò di inserirsi nel gruppo di imprese che diede vita nel 1924 all’U.R.I.: ma per debolezza economica, e per aver sottovalutato le implicazioni “politiche” della radio (intesa sia come radiodiffusione che come produzione e vendita di apparecchi riceventi e di impianto di trasmissione) il Radio Araldo venne escluso. Il 27 agosto 1924 nasce ufficialmente l’U.R.I., con una forte presenza del gruppo Marconi, di imprese telefoniche, di compagnie elettriche, di imprese costruttrici di apparecchi (italiane ma soprattutto americane) e della Fiat.

 

Il 6 ottobre, cent’anni fa, appunto, prendevano il via ufficialmente le trasmissioni. L’U.R.I. sarebbe poi stata sostanzialmente “nazionalizzata” nel 1927 e trasformata in EIAR, Ente italiano audizioni radiofoniche (anche se nell’assetto societario figuravano rappresentanze industriali e di gruppi finanziari, in un sistema di economia mista). Nel 1930 partono i giornali radio. Nel 1935, in un quadro peraltro di potenziamento dei programmi ed ampliamento dell’ascolto, i programmi radiofonici passano sotto il controllo diretto del neo-costituito ministero per la Stampa e propaganda (dal 1937 ministero della Cultura popolare). Col crollo del regime fascista, nel 1943 (25 luglio), e con la resa dell’Italia agli Alleati (8 settembre) la radio si divide, come l’Italia, in due. La Repubblica sociale italiana trasferisce la sede legale dell’EIAR a Torino, e trasmette da emittenti del Centro-Nord (poi del solo Nord). Nel Regno delle quattro province, come verrà ironicamente chiamato (Brindisi, dove c’è la capitale, Lecce, Taranto e Bari) sarà Radio Bari, sotto il diretto controllo del P.W.B. alleato, a dar voce alla prima radio “democratica”.

 

Nell’ottobre 1944 il troncone sud dell’EIAR, che è sotto gestione commissariale dopo la liberazione di Roma dall’occupazione nazista (4 giugno 1944), cambia il proprio nome in RAI, Radio Audizioni Italia. Una sigla che diventa presto un nome proprio (nel linguaggio odierno si direbbe un brand), che resterà inalterato anche dopo la nascita della televisione (avvio ufficiale dei programmi nel 1954), anche se verrà declinato come Radiotelevisione Italiana. Ma la televisione non darà il colpo di grazia alla radio (colpirà più duramente, alla lunga, la stampa quotidiana; che però riceverà una mazzata quasi fatale dal Web), che con i transistor e con la realizzazione di pile sempre più piccole e potenti risalirà la china, fra radioline portatili ed autoradio.

 

Ed oggi, dopo essere sbarcata anche in tv, dopo la goliardica profezia anni ’70 di Renzo Arbore sulla “radio a colori”, la radio trasmette a platee effettivamente globali attraverso la Rete. Buon compleanno, e lunga vita, radio!

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