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L'intervento
25 Giugno 2024 - 07:27
Guerra in Ucraina
Forse ci eravamo frettolosamente illusi che dopo il secondo conflitto mondiale, e ancor più con la caduta del muro di Berlino, si fosse allontanato per sempre dall’Europa il tragico spettro delle guerre; purtroppo oggi siamo nel mezzo di scenari drammatici e assurdi per dimensioni e conseguenze, e ci ritroviamo a riflettere su certe pessimistiche premesse di illustri storici, il cui sguardo sugli eventi umani appariva già sotto una luce sconsolata.
Ci eravamo quasi convinti che l’età dei ‘lumi’ fosse il vero spartiacque tra il ‘prima e il dopo’ e che il ‘dopo’ potesse, ispirandoci ad una riconsiderazione razionale degli umani comportamenti, essere traghettato verso epoche finalmente felici e prospere, ma felicità e prosperità si sono rivelati concetti difficilmente integrabili, spesso conflittuali sul piano antropologico, cioè della competitività. Di recente abbiamo pure pensato che il vento della globalizzazione potesse tradursi in un concetto nobile per tutto il pianeta, a sostegno del benessere cui tutti i popoli hanno diritto; invece prendiamo atto che la sana ‘competitività’ commerciale, culturale, sociale viene inquinata ogni giorno di più dalla commistione con cattive intenzioni, con derive sopraffattrici che esaltano il clima della ‘competizione’ tout court fra stati e nazioni. Naturalmente non se ne fa solo una questione semantica, ma la ‘competitività’ racchiude la capacità di ‘competere’, cioè di ‘tendere insieme’ verso obbiettivi più alti che non siano quelli di una vantata superiorità politica o scientifica, la quale spesso nasconde con altri mezzi (le armi) le ambizioni ad un’egemonia che vuol dire potere, prevaricazione, ricorso alla violenza, acquisizione ingiustificata di più larghi confini territoriali! Subiamo così lo spettacolo di conflitti scatenati da Paesi che, non avendo ancora maturato lo status di piena democrazia perché soggiogati per secoli da regimi assolutistici (e ancora incapaci di rivendicare gli umani diritti), o perché oppressi da regimi ideologico-religiosi, responsabili di ogni nefandezza in nome di una fede ottusa e sanguinaria che offende ogni altro ‘credo’ fondato invece sui valori di amicizia e tolleranza, esportano di fatto prepotenza, odio e crudeltà ai danni di popolazioni civili spesso inermi o poco difese.
Ci tocca rileggere con umiltà il pensiero del nostro Machiavelli che riteneva l’uomo inguaribile ripetitore di storici errori a conferma della sua indole per molti versi miope, incorreggibile. E’ evidente, infatti, che un’atavica tara condiziona l’umanità fino a commetterne di veramente tragici, facendo così ogni volta arretrare l’orologio della storia e corrompere i concetti di progresso, scienza sociale e coscienza morale. Noi diciamo convintamente che i popoli del pianeta portatori di civiltà e di pace sono delusi dall’atteggiamento, imposto con la minaccia delle armi, di nazioni che spendono la loro potenza materiale in violenze e distruzioni per affermare surrettiziamente una presunta superiorità ideologico-politica, fondata sul tornaconto, che mira a conquistare o riconquistare territori e risorse un tempo già illecitamente assoggettati, ignorando il significato moderno di ‘competitività’. Così appare la pretestuosa invasione dell’Ucraina da parte della Russia che, ormai da oltre due anni dilania un Paese che non aveva altra colpa (ma qualche responsabilità sì nel ritardato rispetto di certe regole pattuite) che l’essersi sganciato a buon diritto dalla soggezione all’ex Unione sovietica, ribattezzatasi troppo in fretta come Repubblica di Russia.
Ci facciamo due domande: 1) al di là dei mascheramenti tattico-politici (denazificazione, liberazione di presunte minoranze russofone, minacce della NATO all’integrità dei confini) che cosa ha spinto a questa sciagurata e non dichiarata invasione? 2) Come mai all’interno della nazione russa, malgrado la perdita di oltre centomila soldati e lo spreco di ingenti risorse militari, non si è percepito nessun sentore di qualsivoglia dissenso o la richiesta di apertura di un pubblico dibattito, a parte qualche minimo tentativo di emarginate frange stroncato sul nascere? Per darci risposte bisogna rivolgere il cannocchiale della storia all’indietro, e panoramicamente constatare che la cosiddetta Madre di tutte le Russie ha da sempre mostrato un solo volto: quello del regime zarista assoluto padrone di una vastissima servitù della gleba, di un’asservita e colpevolmente silenziosa Chiesa ortodossa, nonché geloso custode di uno splendido isolamento, rotto di quando in quando da conflitti condotti agli sterminati confini in grazia di stravaganti alleanze con qualche potenza occidentale o contro di essa.
Isolamento che è stato solo apparentemente edulcorato dall’emulazione dell’arte e della cultura europee e poi ‘purgato’ dall’avvento dei regimi leninisti o comunisti o staliniani, ma di fatto tuttora coltivato come segno di una nuova cultura economico-politica che neppure col deflagrare della seconda guerra mondiale ha però mai favorito una reale emancipazione delle sue masse, poi sempre soggette al poliziesco controllo della famigerata ‘nomenklatura’. Lo spirito di quell’isolamento (o parziale solitudine che dir si voglia o dittatura del proletariato o ‘demokratura’) sembra permanere tutt’oggi e disporre a piacimento della finta partecipazione del popolo ai processi decisionali che, come prima, sono di esclusiva competenza del vertice politico: in pratica si tratta di un ‘baco’ socio-culturale che, simile a una droga, limita e condiziona alla base la coscienza della società russa (diremmo perciò ‘ancora’ sovietica) che ‘pare’ immobile e insensibile alle conseguenze di una guerra che solo il potere centrale gestisce e che al momento un’azione eversiva soltanto potrebbe interrompere; ma parliamo di pura dottrina politica che certo porterebbe ad altro sacrificio umano, compreso il ricorso all’estrema ratio del ‘regicidio’. Allora di quale democrazia parliamo se lì al comando resta sempre un solo uomo o al massimo l’ipocrita alternanza fra due medesime figure? Cosa mai può fare la diplomazia se sul fondo si staglia ancora il secolare contrasto oriente asiatico-occidente europeo e se si ha bisogno della deterrente presenza di un organismo come la NATO per scongiurare scenari apocalittici? O forse pure questo va ripensato in funzione dei poco mutabili rapporti fra stati? Non meno pessimistiche appaiono le prospettive di vera pace nello scacchiere mediorientale dove si assiste ancora ad una sanguinosissima guerra dettata dallo scontro fra religioni diverse che vorremmo stigmatizzare come anacronistica conseguenza di una questione territoriale, ma che è di fatto il segno di intenzioni omicide frutto di un odio che produrrà altro odio e perpetuerà purtroppo il clima di intollerante reciproca vendetta a cavallo di labili linee di confine.
Sempre per dirla con Machiavelli, l’errore perdura e sta tutto in una malintesa idea di religione che dopo secoli divide ancora, e peggio, istituzioni e uomini dentro i quali scorre non per caso lo stesso sangue. Ci andrebbe di gridare con un filo di imparziale ma tragica ironia le famose parole di quel grande della storia: ‘Usque tandem Catilina abutere patientia nostra?’, però convinti che non di pazienza si tratta ma di una stortura etico-intellettuale da cui si potrà guarire solo dopo lunghissima auto-educazione, e non per interventi mediati. Ci chiediamo se sia mai possibile che esista un Dio capace di assistere impassibile allo scempio di vite umane e accetti di essere invocato da parti diverse come ispiratore di odio e perversità! Siamo convinti che i popoli islamici e il mondo ebraico vivono ciascuno il proprio fondamentalismo lasciandosi ciecamente guidare dai loro sacri Libri in nome di storici ‘complessi’, di presunta superiorità per i primi (Allah è grande) e quello di persecuzione per il secondo (‘occhio per occhio’), il cui denominatore comune è una reazione a dir poco sproporzionata. E’ inaccettabile che in entrambi i casi soccombano popolazioni inermi cui si nega diritto alla vita, alla casa, al soccorso ecc. Non si tratta più di ‘competitività’, ma di spietata crudele ‘competizione’ tra opposte visioni della vita che si nutrono di crimini contro l’umanità. E ci sembra che lo stato israeliano stia cinicamente passando da perseguitato a persecutore, il che non fa bene ai conti aperti con la storia. Per chiarire, già da molto tempo la psicologia ci ha spiegato che bisogna distinguere fra una ‘competitività’ positiva e una negativa: positiva se si tende a superare i propri limiti e migliorare le proprie qualità; negativa se si cerca in modo ostinato e palesemente offensivo la ‘competizione’ con gli altri.
La ‘competitività’ deve invece diventare la capacità di affrontare gli avversari, o la concorrenza, nell’ambito in cui si sta agendo (scuola, sport, lavoro, economia) per ricavarne soddisfazione e autostima. Neanche la supremazia economica può ovviamente fondarsi su quella politica e bellica, ma semplicemente esprimere quel tasso di produttività che riesca a generare crescita e conseguentemente reddito e benessere, dimostrando di stare al passo con la concorrenza e qualificando il proprio spirito di rivalità nel senso di un sano confronto sul piano dei mercati e delle relazioni reciproche, senza però sfidare il cosiddetto rating di legalità, ma solo concorrendo sul piano della sostenibilità. Dobbiamo, se vogliamo ‘cooperare’ internazionalmente, difendere la ‘competitività’ come valore e norma sociale, se è vero, e lo è, che già nel contesto macro-economico, essa è l’indicatore il cui scopo è di valutare il livello di sviluppo che un determinato territorio ha espresso o esprimerà in proiezione.
La guerra ai nostri giorni non giova a nessuno, è soltanto il segno di perduta (se mai la si è avuta) innocenza-maturità, di belligerante infantilismo, di incoscienza civile, culturale e purtroppo di assai modesta intellettualità. Quel che di più angoscia è che nessuna pace conseguita ora in questi infuocati scacchieri del mondo sarà immune da ricadute: l’odio non si può cancellare con un colpo di spugna e la pace che ne può derivare non è impossibile, forse è inutile, se provvisoria.
Ruggiero Stefanelli
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