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La Storia

Quel Vangelo nelle gravine

I sessant’anni di una delle opere più famose di Pier Paolo Pasolini ed uno sguardo inedito al Mezzogiorno d’Italia

Quel Vangelo nelle gravine

Quel Vangelo nelle gravine

Et ego dico tibi “Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam” (Vangelo secondo Matteo 16/18) Cristo pensoso palpito / astro incantato nelle umane tenebre / fratello che ti immoli perennemente / per riedificare umanamente l’uomo” (G. Ungaretti, “Pro fiume anche tu” da “Il dolore”, 1943-44)

Caro direttore, il prossimo anno, 2025, sarà il cinquantesimo dalla morte di Pierpaolo Pasolini, uno scrittore che, anno dopo anno, ha conquistato il palcoscenico culturale come scrive un suo critico, Guido Santato; un posto anche nella cultura europea. “Poesia del mito e della realtà, della passione e della ideologia, della tradizione e della rivolta. Personalità di alto e qualificato spessore, da forte e riconosciuto creativo valore”. Pasolini oggi è presente in un libro di Guido Santato dal titolo “Pasolini oggi: studi e letture” editore Carocci, 2024. D’altra parte proprio il critico Santato ha lungamente scritto di Pasolini nel “Dizionario critico della letteratura italiana”, Utet, Torino, volume III, 1986. Ma, al di là del prossimo 2025, oggi, caro direttore, siamo nel 2024 e sono sessant’anni esatti dall’uscita del film “Il Vangelo secondo Matteo” (1964).

Sulla via di quel lavoro originale composto come ebbe a scrivere il critico Franco Fortini (se ben rammento) ne vennero fuori altri due come ispirati a quello: “Teorema” (1968) e “Medea” (1970). Per quale motivo, perché il dissidio intimo tra sacro e profano, tra meditazione sul divino e collocazione del presente sotto realtà e società fu un’insonne passione per lo scrittore e poeta Pierpaolo Pasolini; e il suo dissidio non si risolverà se non attraverso una precaria intellettualità che tuttavia non mai depresse il valore della concezione artistica. Il “Vangelo secondo Matteo” nasce da uno stringente e categorico dubbio: Pasolini disse: “Sebbene io sia un nostalgico del sacro, tuttavia non credo nella divinità del Cristo. Non sono un militante cristiano”.

Tuttavia non si comprende quel film del 1964 senza operare una revisione dell’entroterra spiritualmente travagliato e al tempo stesso culturale e politico di Pasolini. Quel film ebbe vita proprio dieci anni prima della sua violenta e tragica morte. Tuttavia lo scrittore e poeta aveva già realizzato, anche se non adeguatamente composto, un primo problema affettivo che era quello del ritorno poetico a Casarsa e poco dopo, attraverso il poemetto “Le ceneri di Gramsci”, e in quel dissidio del tutto intimo era in termini precisi la passione dell’artista tra il sacro e quello che egli aveva definito “un mito” che era poi il contrasto tra divino e profano, tra passione metastorica e tristezza per la vita di tanti ragazzi violenti sempre vittime di una colpevole società. Un dissidio tuttavia che non si compose mai ma dal quale uscirono lavori di pensiero alti, meditati, solenni. Da tutto questo mondo travagliato e permeato di una obliqua intensità spirituale nasce “Il Vangelo secondo Matteo”; nasce da uno stringente e categorico dubbio. Pasolini ripeté: “Sebbene io non sia vicino al sacro quel sacro per me è diventato “mito”.

Quel “Vangelo” è mito proprio nel termine antico greco che voleva significare “racconto”, ma un racconto sul quale riflettere e di conseguenza anche operare in una società ove le forze del male spesso vincevano sulle forze del bene, meglio, sui diritti dell’uomo. In questa atmosfera si configura l’immagine del Cristo. Pasolini si rifece non solo al Vangelo di Matteo, che per lui era quanto più vicino alla comprensione degli uomini, ma era anche quello che vedeva nel Cristo, figlio di Dio, l’epifonema del mito consacrato proprio ad un certo divino. Quanto alle parole evangeliche in Pasolini vi erano tuttavia due grandi nomi della cultura europea che andavano al di là della Fede non come religione consacrata ma come eterna espressione di quel divino che era già nella forma illuministica relativa alla ragione. Era Kant con il suo saggio sull’intelletto che è preludio al raziocinio intellettuale e l’altro grande era il filosofo Hegel proprio con il suo “Vita di Gesù” (ma il titolo fu dato da altri) che è un preciso rimando ai Vangeli e soprattutto a quello di Matteo sul quale Pasolini ambienta e crea il suo lavoro filmico. Nella sua vicenda storica, meglio umana, Gesù viene presentato come Maestro di virtù sublime che unisce nella sua esistenza profetica sino al martirio in croce l’interiorizzazione della legge morale nel faticoso vivere degli uomini.

Il Gesù di Pasolini è il “missus” esemplare che ama i suoi poveri seguaci, poi discepoli, che va incontro alle folle pur sapendo che il suo destino sarà quello di essere tradito e di morire in Croce, con due malfattori, sul colle detto Calvario. Ma in Pasolini c’è anche un’altra grande figura di illustre poeta che egli aveva seguito e studiato non solo per il sistema metrico della poesia rivista proprio nelle “Ceneri di Gramsci” ma quel poeta lo aveva seguito anche intorno al concetto del Cristianesimo che in Cristo aveva il suo maestro e predicatore. Era Giovanni Pascoli, in più sue liriche, come quelle sul “Piccolo Vangelo” ad aver visto nella figura del Cristo, non solo la figura del martire incolpevole posto in Croce ma l’Uomo che saliva il Calvario per salvare l’umanità dal peccato originale. Era il grande Predicatore che voleva la pace e non la guerra, la fratellanza e non la schiavitù e che, proprio l’universo, gli apparteneva in una visione cosmica dalla quale proprio il suo Vangelo risultava essere il principale libro ed ammonimento per la buona novella. E non dimentichiamo che nel 1956 proprio un ante cristiano si era convertito al Cattolicesimo; era Giovanni Papini con la sua monumentale “Storia di Cristo”.

“Il Vangelo secondo Matteo” nasce al di là e al di sopra di tutte le diatribe culturali e politiche del tempo pasoliniano; nasce da tali condizionamenti che non sono coinvolgimenti ma esperienze proprio del suo mondo spirituale e direi anche del calvario esistenziale dell’ormai mitico Pasolini. Nasce anche quel film come un misto illuminato di luce artistica e lirica di un “militante cristiano” nel momento in cui proprio Pasolini ripeteva a sé e agli altri di non credere nella divinità del Cristo, che rimaneva un personaggio mitico e quella pellicola era l’espressione di una “nostalgia” che voleva grecamente dire un ritorno ad una umanità più buona del suo aspetto interiore e più alta nei suoi valori morali. Volle scegliere Matera come sede del suo lavoro, i famosi Sassi erano proprio quelli della lontana terra del Cristo predicatore e vincitore sul male; scelse gente del luogo come poveri seguaci della parola del Maestro; scelse persino sua madre come volto della Madre di Gesù; e scelse Enrique Irazoqui, un giovane come lo era il Cristo della predicazione e del Vangelo, dell’attesa e della morte crudele.

E dedicò la sua pellicola “alla cara, lieta e familiare memoria di Giovanni XXIII”. Era il 1964, anno nel quale si chiudeva il Concilio Vaticano con quel Pontefice la religione evangelica andava incontro alla modernità del vivere nell’estrema esaltazione della sacralità che scendeva fra i dolori e le necessità della vita terrena, che esaltava le virtù, difendeva i poveri, annullava la malvagità. Fu “Il Vangelo secondo Matteo” un’opera profondamente religiosa e laica seguendo la pagina crociana del “perché non possiamo dirci cristiani”. Era veramente un’opera di un’umile ed esaltante voce come realizzazione di una vita, che era quella del Cristo, venuto al mondo per ristabilire pace sugli uomini di buona volontà. Era la realizzazione anche di un dantesco patrimonio della vita morale contro ogni visione allotria del Cristianesimo. Era la forma filmica di quello che Dante aveva scritto nel Paradiso, XXIV canto, nel quale Pietro chiede a Dante il perché della sua fede e di quale fede o per quale fede egli continua a vivere. Era, in ultima analisi, quel film un preciso riconoscimento attuale sempre, liricamente composto, di una eterna rivoluzione tra il bene ed il male, di fraterno amore tra gli esseri tutti; era un mito o una religione? L’opera di Pasolini era tutto questo ed è a ferma dimostrazione di un uomo, di uno scrittore che oggi è vivo al di là delle linee nazionali per aver raggiunto quelle della visione europea e la letteratura mondiale. In ultima analisi quel Vangelo guarda noi contemporanei e bussa al nostro petto come a dire a noi stessi: cosa siamo? Cosa vogliamo? La vita è tra la terra e il cielo e tuttavia il cielo domina sulla terra.

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