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La Storia

Destra contro sinistra: quando lo scontro è comunale

Le vicende del dopoguerra nel capoluogo e a San Giorgio Jonico: una lettura attuale

Un'antica foto del Palazzo di Città di Taranto

Un'antica foto del Palazzo di Città di Taranto

Luciano Canfora nei giorni scorsi (durante la manifestazione di solidarietà con il sindaco Decaro) ha sottolineato come anche in altri momenti storici il governo dei comuni sia stato l’epicentro dello scontro politico tra destra e sinistra. D’altro canto l’Italia più di qualunque altro paese al mondo, prima di essere una nazione, prima di essere l’Italia è un insieme di città, siamo tarantini, milanesi, napoletani prima che italiani.

Infine il governo delle città è l’istanza più democratica della architettura dello stato quella dove più ravvicinato è il rapporto tra il cittadino rappresentato ed il suo rappresentante. Il fascismo per questo, diede un sanguinoso assalto ai municipi, poi sostituì i sindaci espressione della comunità locale con i podestà emanazione del potere centrale. Ma anche nel secondo dopoguerra il controllo delle amministrazioni comunali, fu l’epicentro di un conflitto aspro che non risparmiò colpi bassi e scorrettezze. Alcuni episodi avvenuti nella provincia di Taranto alla fine degli anni ’40 hanno per altro una singolare analogia con la cronaca dell’oggi. Il clima politico del dopoguerra dopo la rottura del patto antifascista e l’uscita di socialisti e comunisti dal governo de Paese era, di nuovo, quello di una forte discriminazione nei confronti dei partiti e degli uomini, della sinistra che si attua nelle fabbriche dalle quali molti lavoratori politicizzati furono espulsi. Un costante attacco politico veniva riservato alle amministrazioni comunali “rosse” che costituivano le roccaforti dell’insediamento operaio vengono nuovamente sottoposte a forti pressioni e si cercava di smantellarle, come era avvenuto agli esordi del ventennio.

Questa volta, mutato il clima e la situazione politiche non vi sono le squadracce ad assaltare le amministrazioni ma le si sottopone ad un occhiuto controllo, ed una asfissiante contestazione degli atti amministrativi, sia da parte dei prefetti, sia da parte dei tribunali. Lo scontro pur riguardando essenzialmente la cronaca locale è fortemente indicativo del clima generale in cui versava del Paese. I municipi come dicevamo i sono da sempre l’elemento base della democrazia e dell’assetto dello stato. Sono quell pezzo di stato conosciuto anche dale categorie dei cittadini più umili ed ignoranti. Sono quell’istituzione a cui ci si rivolgeva se la carestia aveva alzato il Prezzo del pane, che curava la poca istruzione elementare data gratuitamente, che registrava insieme alle parrocchie nascite, morti e matrimoni, che interveniva con gli scarsi mezzi a disposizione in favore dei cittadini meno abbienti, che teneva pulita e vivibile la città, che provvedeva alla fornitura dell’acqua che nel Mezzogiorno non arrivava in tutte le case.

Nel dopoguerra con i generi alimentari contingentati, con la borsa nera, con la disoccupazione crescente i comuni intervenivano. come potevano sui bisogni, spesso al di là degli strumenti che gli usi e le leggi prevedevano. Gli interventi nel sociale creavano o disfacevano il consenso delle amministrazioni comunali e per questo lo scontro politico e la repression avvenne ancora una volta qui oltre che nelle fabbriche. Molti amministratori subirono processi e condanne soprattutto a seguito di iniziative di assistenza nei confronti dei cittadini più bisognosi. Inevitabilmente questi aspetti ebbero dei riverberi in parlamento dove i rappresentanti delle forze socialcomuniste facevano il possibile per difendere le amministrazioni popolari. Tra le vicende legate alle amministrazioni comunali della provincia di Taranto due in particolare, ebbero un particolare rilievo. La prima quella relativa al sindaco di San Giorgio Jonico che fu portata dal parlamentare della sinistra jonica Giuseppe Latorre (comunista) all’attenzione del parlamento. Il 28 novembre 1948 la Camera discusse dei fatti di S. Giorgio.

Latorre in quella occasione denunciò il nuovo clima repressivo nei confronti delle amministrazioni di sinistra: “un certo clima politico che si va istaurando in Italia da un po’ di tempo a questa parte, clima che il fatto di arbitri e di violazioni patenti della legge e della Costituzione, clima che tende a far sentire il peso della maggioranza democristiana scaturita dalle elezioni del 18 aprile su tutti quei comuni che, secondo voi, onorevoli colleghi della maggioranza, hanno avuto la disgrazia di non essere retti’ da amministrazioni democristiane. Questo clima, che forse non è dettato dall’alto, si è creato soprattutto alla periferia per l’andazzo stesso delle cose; il Governo ha lasciato che le cose andassero così e ciò ha dato ai prefetti “la certezza d’essere autorizzati ad agire in un certo modo. Forse è per questo che anche il prefetto di Taranto sente la necessità di adeguarsi a questo clima; e come vi si adegua! ...” “Ora, di che cosa è colpevole, o meglio di che cosa era colpevole il sindaco di San Giorgio Jonico ? Questo sindaco, come tutti i sindaci dei comuni italiani ai quali è affidata la buona amministrazione dei rispettivi comuni, si è preoccupato, nelle immediate vicinanze della Pasqua di quest’anno, di venire un po’ incontro alla miseria della popolazione, di lenire un po’ le miserie dei molti affamati di San Giorgio Jonico.

Pertanto, egli ha nominato una Commissione, alla. testa della quale era lui stesso, che ha girato il paese ed è riuscita a raggranellare e a mettere da parte una certa quantità di farina e di grano che ha fatto molire e pastificare e che, in occasione della Pasqua, ha distribuito ’ai poveri del comune. Di questa merce ne è avanzata un po’ ed è stata ulteriormente distribuita, sempre ai poveri del comune, nella giornata del 1 maggio.” Tale iniziativa di solidarietà aveva portato alla sospensione del sindaco dalle sue funzioni ed il suo rinvio a giudizio per accaparramento di beni contingentati. Latorre lamentava per altro la irritualità del comportamento del prefetto che aveva sanzionato la sospensione prima ancora che vi fosse il rinvio a giudizio del sindaco. L’iniziativa del prefetto, che lo stesso sottosegretario agli interni definisce, nella risposta a Latorre, un errore, e che interveniva in un clima già acceso nel comune ed in un consiglio comunale nel quale vi erano già stati incresciosi precedenti, finì con il determinare una situazione particolarmente confusa. Il sindaco Alberto Rizzo iscritto al PCI, venne sostituito dall’assessore anziano, per il periodo della sospensione.

Trattandosi di un assessore di diverso partito politico, su indicazione del PCI Rizzo si dimise, per consentire l’elezione di un nuovo sindaco comunista. Il consiglio comunale, dopo aver accolto le dimissioni di Rizzo, elesse il nuovo sindaco: Vincenzo Savoia. E’ una situazione difficile e confusa , ma come se non bastasse, ad aumentare la confusione, qualche settimana dopo, a cose già fatte , Rizzo ritira le sue dimissioni, sostenendo di essere stato forzato e presentarle e chiede l’annullamento degli atti successivi; cosa che il prefetto prontamente accoglie, annullando la delibera di accettazione delle dimissioni e conseguentemente l’elezione del nuovo sindaco. Il dibattito fu acceso nei toni, anche in parlamento.L’interrogativo che poneva Latorre era questo: chi ha esercitato pressioni su Rizzo il PCI perchè si dimettesse la prefettura o non piuttosto la minoranza ne aveva suggerito la revoca su suggerimento dell’on. monarchico Aginulfo Caramia (che pur essendo stato sindaco di Taranto era cittadino di S. Giorgio). Latorre tornerà ad affrontare il tema in una successiva interrogazione che svolgerà a marzo del 1950. Una vicenda analoga avvenne a Taranto dove il prefetto si adoperava e premeva per determinare lo scioglimento del consiglio retto dalla amministrazione di sinistra.

La amministrazione di Taranto il cui sindaco era in quel frangente il comunista Carlo Di Donna, (già calciatore della squadra cittadina) si era adoperata nell’assumere iniziative tese ad alleggerire la situazione di disagio dei cittadini più deboli: era stato creato un fondo straordinario per le azioni di beneficenza e solidarietà, operato assunzioni temporanee di salariati,e concesso a neo licenziati e disoccupati, anche con il consenso e la partecipazione del sindacato, licenze temporanee per il commercio ambulante. Su questo si era innescato uno scontro politico serrato con la minoranza del consiglio, sostenuta dalla prefettura, che riteneva irregolari tali provvedimenti. La prefettura aveva ordinato due successive ispezioni sull’attività dell’amministrazione. Lo scontro tra l’opposizione e la maggioranza politica che reggeva il comune precipitò nel febbraio del 1950 , a pochi mesi dalla data naturale della consiliatura e quindi delle elezioni amministrative. Si concretizzò nelle dimissioni di tutti e 22 i consiglieri della minoranza che comprendeva democristiani, liberali, monarchici e qualunquisti. Il consiglio ridotto a 24 consiglieri (ne aveva persi altri 4 in precedenza) sui 50 assegnati si trovava quindi nella impossibilità di operare.

Era del tutto chiaro che si voleva impedire alla amministrazione di giungere alle elezioni essendo in carica, mentre la nomina di un Commissario avrebbe portato ad una gestione più vicina alle posizioni governative, il sindaco tentò comunque di portare avanti l’azione amministrativa sino alla scadenza naturale. Nella città si sviluppò un dibattito serrato tra le forze politiche tra la posizione della sinistra che proponeva l’indizione di una elezione suppletive lasciando la Giunta in carica, mentre le opposizioni puntavano sullo scioglimento del Consiglio. Il dibattito fu serrato e condito di pareri giuridici che comparvero sulla stampa locale, sia da parte di esponenti locali che da parte di luminari nazionali. Il 3 maggio infine, si procedette con decreto prefettizio allo scioglimento del consiglio comunale ed alla sostituzione della giunta con un commissario. La data era stata scelta con attenzione dopo il primo maggio per evitare che le iniziative sindacali di quella giornata si trasformassero in agitazioni politiche, ma l’esecuzione del decreto fu piuttosto eclatante, tant’è che le successive interrogazioni di Guadalupi (socialista) e Latorre (comunista) poterono parlare di occupazione del comune “manu militari”.

“Ora, di che cosa è colpevole, o meglio di che cosa era colpevole il sindaco di San Giorgio Jonico? Questo sindaco, come tutti i sindaci dei comuni itaIiani ai quali è affidata la buona amministrazione dei rispettivi comuni, si è preoccupato, nelle immediate vicinanze della Pasqua di quest’anno, di venire un po’ incontro alla miseria della popolazione, di lenire un po’ le miserie dei molti affamati di San Giorgio Jonico. Pertanto, egli ha nominato una Commissione, alla. testa della quale era lui stesso, che ha girato il paese ed è riuscita a raggranellare e a mettere da parte una certa quantità di farina e di grano che ha fatto molire e pastificare e che, in occasione della Pasqua, ha distribuito ’ai poveri del comune. Di questa merce ne è avanzata un po’ ed è stata ulteriormente distribuita, sempre ai poveri del comune, nella giornata del 1 maggio.”28 “Latorre interrogazione per conoscere il motivo per cui all’alba del 3 maggio un gruppo di agenti di pubblica sicurezza della celere), in pieno assetto di guerra, occupava l’atrio del palazzo di città di Taranto; e per sapere‘se, in base alla situazione venutasi a creare in quella amministrazione comunale dopo le dimissioni rassegnate dai 22 consiglieri di minoranza, intenda applicare ad essa la legge n. 1085 sulla proroga delle Amministrazioni comunali, o se non crede opportuno, procedere, a norma dell’articolo 280 della legge comunale e provinciale del 1915, a regolari elezioni suppletive”. Il quesito oltre a porre la questione dei termini eclatanti della iniziativa della “celere” poneva il quesito della data delle nuove elezioni.

L’indizione delle suppletive accorciava i tempi del commissariamento, il Governo, invece argomentando sulla maggior spesa era orientato per la permanenza più lunga di un funzionario governativo. Guadalupi inoltre in aula ci tenne a riportare le parole del vicesindaco suo compagno di partito, che andando via dal municipio aveva sottolineato che lo scioglimento avveniva esclusivamente per motivi politici, per l’azione incrociata tra prefetto e minoranze e non per violazioni amministrative. A testimonianza si questo citava due elementi:
• il primo che nel decreto di scioglimento si faceva riferimento esclusivamente al numero di consiglieri dimissionari, e non ad altro;
• il secondo richiamava l’articolo comparso sul Corriere del Giorno, quotidiano formalmente indipendente ma vicino alla democrazia Cristiana, che presentava la decisione di scioglimento come una decisione di partito. Infine i due parlamentari contestavano la scelta del commissario con un passato Legato al regime fascista.

Mario Pennuzzi

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