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Fede e tradizioni
28 Marzo 2024 - 07:07
Nello scatto di Luca Tocci, il pellegrinaggio di una coppia di “perdune”
Rientrata nel primo pomeriggio del Venerdì Santo l’Addolorata nella chiesa di San Domenico, inizia l’attesa per quest’altro atto della tradizione: la processione dei Misteri, a cura dell’arciconfraternita del Carmine.
Un’attesa che non dura così tanto. Infatti puntualmente alle ore 17 la “troccola” fa riecheggiare in piazza Giovanni XXIII il suo caratteristico suono. Il “troccolante”, dopo un breve permanere sulla soglia della chiesa, lentamente raggiunge il centro della piazza, permettendo così l’uscita del Gonfalone e della Croce dei Misteri. E via, quindi, con la prima marcia eseguita dalla banda “Lemma”, posta in testa alla processione come avviene ormai da decenni. Tantissima gente è al di là delle transenne, con non poche mamme in attesa di vedere il proprio figlio sotto le “sdanghe”, cui poco prima hanno affidato le loro intenzioni di preghiera. Lentamente prendono possesso della piazze le coppie di confratelli a piedi nudi, con i camici svolazzanti per il vento, mentre la folla aumenta notevolmente. Nel frattempo il padre spirituale della confraternita mons. Marco Gerardo effettua meditazioni sulla Passione e Morte, non mancando di far riferimenti a fatti di cronaca. Il tutto, intervallato dalle esecuzioni delle varie marce funebri. Via via escono tutti gli altri simboli: Cristo all’orto, la Colonna, l’Ecce Homo, la Cascata, il Crocifisso, la Sacra Sindone. Sotto l’incessante luce dei flash dei fotografi, quando ormai è sera inoltrata, appare la stupenda immagine di Gesù Morto (accompagnata dall’”Inno a Cristo Morto” di Cacace) con ai lati i quattro “cavalieri”, nel ricordo dell’antica partecipazione di rappresentanti della nobile famiglia Calò, che fu iniziatrice dei Riti tradizionali.
Quindi, fa la sua comparsa l’Addolorata, dietro alla quale prende posto l’orchestra di fiati “Santa Cecilia-Città di Taranto”, reduce dalla processione rientrata poco prima in San Domenico, in un autentico tour de force. In tutto (oltre alle bande “Giuseppe Chimienti di Montemesola e di Francavilla Fontana) sono quattro i complessi bandistici che sottolineano con le loro musiche le “nazzecate” dei confratelli. Lentamente, molto lentamente la processione percorre via D’Aquino per poi giungere a sera inoltrata in piazza Immacolata. La stanchezza dei portatori non tarda a farsi avvertire. Così inizia a risuonare con frequenza il grido di “Furcè!”: è il segnale per i portatori, che chiamano in loro aiuto i portatori delle forcelle, sottraendosi per qualche istante al peso delle statue e dare così sollievo alle spalle indolenzite. Quindi, dopo un po’, risuona il “Nguè!”: è tempo di rimettersi sotto le sdanghe e riprendere il cammino doloroso. La processione s’inoltra per via Di Palma, nonostante l’ora tarda molto affollata, e raggiunge a notte alta via Regina Elena e la chiesa di San Francesco di Paola per la consueta pausa ristoratrice. Dopo un’ora ci si rimette in strada per prendere la via del ritorno.
Da un pezzo è ormai cominciato il Sabato Santo. Molti tarantini abbandonano anzitempo il tepore delle coltri per assistere alla processione. Via Anfiteatro, sarà per la stanchezza, per i “perdune” appare lunga, troppo lunga per percorrerla fino al rientro. Proprio mentre la stanchezza sembra avere la meglio, ecco lo spuntare della stella del mattino e i primi chiarori dell’alba che illuminano delicatamente le statue e donano nuovo vigore ai confratelli. E più ci si inoltra nell’orario e più le bande davanti il meglio nelle esecuzioni, interpretando le musiche più col cuore che facendo affidamento sullo spartito. Intanto ai balconi, su invito dei commercianti della zona, appaiono candidi drappi, in segno di partecipazione al lutto per la morte di Nostro Signore. Man mano che ci si avvicina a via Massari, la stanchezza scompare quasi completamente e si rallenta ulteriormente il passo: non si vorrebbe più rientrare, ma i “mazzieri” invitano a non attardarsi. Ma è dura obbedire. Si raggiunge infine piazza Giovanni XXIII, che appare esageratamente affollata, più della sera precedente.
Il “troccolante” si ferma davanti al portone e attende che la banda termini di suonare la marcia (solitamente “A mio padre” di Davide Latagliata). Quindi si appresta a oltrepassare la soglia della chiesa dopo circa quindici ore di “nazzecate”. Si vorrebbe prolungare oltremisura quei momenti. Ma non si può. “Avanti, fratè!” è l’ulteriore invito degli assistenti. Poi, calato il silenzio in piazza, risuonano i tre colpi di bastone sul portone del Carmine: la Settimana Santa tarantina si approssima alla conclusione. Il portone lentamente si apre e il confratello, entrato in chiesa, solleva il cappuccio e si offre all’abbraccio generale. Si piange in chiesa, in piazza. Ma sono lacrime di tenerezza per una città che riscopre le sue radici, il filo conduttore con le generazioni passate costituito proprio dai Riti, e si presenta nel suo volto migliore. Dovrebbe essere sempre Settimana Santa! Ad attardarsi davanti al Carmine restano le statue di Gesù Morto e dell’Addolorata, i cui portatori attendono l’esecuzione dell’ultima marcia: la “Jone” di Petrella. Come tradizione, gli ultimi tetri accordi intervallati dai rulli dei tamburi accompagnano solennemente il rientro in chiesa della Beata Vergine.
Poi, a portone chiuso, l’esplosione di note del finale del brano fra il festoso garrire di rondini in cielo, quasi in un annuncio dell’ormai imminente Resurrezione. In chiesa fra i “perdune” è tutto un grande abbraccio, con la promessa, se Dio vorrà, di rivedersi sempre lì il prossimo anno, quando i Misteri ritorneranno in Città vecchia.
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Testata: Buonasera
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