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Il focus

L’acqua, la Puglia e la grande guerra per l’oro blu

La nuova legge per il controllo di AQP, il "caso dissalatore" a Taranto

Il Consiglio regionale pugliese sul caso Acqua

Il Consiglio regionale pugliese sul caso Acqua

La prossima guerra sarà per l’acqua. Acqua pubblica - ma appetiti privati più o meno nascosti. Le parole pronunciate nel novembre del 2019 e, ancora prima, da Papa Francesco e i diversi report delle Nazioni Unite che testimoniano come diversi conflitti già aperti nel mondo siano causati proprio da rivendicazioni in merito all’oro blu danno il senso di quanto questo sia un tema cruciale. Ovunque - e quindi anche da noi, in Puglia; ed a Taranto in particolare, visto che nei pressi del fiume Tara è prevista la costruzione del dissalatore più grande d’Italia, la cui entrata in funzione è fissata per il 2026, con fondi stanziati per novanta milioni di euro.

Intanto, in Consiglio regionale è stata approvata a maggioranza una nuova legge su “Disposizioni per la gestione unitaria ed efficiente delle funzioni afferenti al Servizio Idrico Integrato”. Voto contrario è stato espresso da parte dei consiglieri regionali di FdI e FI, favorevole dai consiglieri della Lega, astensione per La Puglia Domani ed il consigliere Napoleone Cera. Il testo approvato dall’Aula è frutto di emendamenti presentati dal governo regionale apportati al testo originariamente presentato dai consiglieri regionali del Gruppo di Azione, di cui è primo firmatario Fabiano Amati.

Ma cosa prevede il provvedimento? Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, lo spiega così: «Il Consiglio regionale della Puglia ha approvato una legge che consentirà all’acqua pugliese di rimanere pubblica. Due volte pubblica. Innanzitutto perché l’acqua è di tutti. Noi pugliesi che l’andiamo a prendere dall’altra parte delle montagne, in parte la paghiamo ai nostri fratelli della Campania e della Basilicata, siamo ovviamente grati per questo dono. Pubblica perché distribuita da Acquedotto Pugliese che sarà alleato dei comuni di tutta la Puglia. Quindi acqua garantita a prezzi assolutamente bassi, tra i più bassi d’Italia, nonostante l’impiego dell’energia e degli impianti che servono per trasportarla qui in Puglia. Grazie a quei pugliesi straordinari che fondarono l’Acquedotto Pugliese oltre un secolo fa. Grazie al Consiglio regionale della Puglia per avere votato questa legge, e grazie soprattutto a tutti gli uomini e le donne dell’Acquedotto Pugliese che ci hanno aiutato a scrivere questa pagina di storia».

Michele Emiliano 

«Una tappa storica con cui proteggiamo una grande realtà industriale di livello europeo come Acquedotto Pugliese, il suo know how, gli investimenti che sta realizzando per rimodernare la rete idrica e fognaria più grande d’Europa e per tutelare il nostro mare potenziando i depuratori, il valore dell’acqua bene pubblico confermato da oltre 26 milioni di italiani nel referendum popolare del 2011» ha detto l’assessore regionale alla Risorse Idriche, Raffaele Piemontese, che ha guidato dai banchi del governo il denso dibattito che ha portato all’approvazione della legge regionale.

In pratica, l’Autorità Idrica Pugliese AIP, soggetto rappresentativo dei Comuni pugliesi per il governo pubblico dell’acqua, potrà affidare la gestione dei servizi idrici alla società pubblica AQP. La legge approvata dal Consiglio regionale pugliese è stata definita «storica». Da parte sua Piemontese, nell’esortare a completare il procedimento legislativo, ha richiamato la necessità di affrontare tempestivamente la situazione che si determinerà alla scadenza della concessione per legge della gestione del Servizio Idrico Integrato in capo ad Acquedotto Pugliese SpA, prevista per il 31 dicembre 2025 e ormai improcrastinabile.

Una concessione che dura da oltre cento anni e rappresenta un unicum nel panorama quanto meno nazionale, legato evidentemente alla scarsità atavica della risorsa “acqua” che da sempre affligge i territori e la popolazione pugliese. In particolare, l’articolato normativo proposto pone l’importante tema della necessità della cessione ai Comuni di una parte delle azioni di AQP, attualmente detenute al 100% dalla Regione Puglia, per predisporre le condizioni affinché l’AIP possa scegliere “la soluzione migliore nell’esclusivo interesse dei cittadini pugliesi”, compresa quella dell’affidamento a società in house partecipata, appunto, dagli enti locali, preservando la totale natura pubblica della gestione dei sevizi idrici. La legge disciplina incentivi ai comuni pugliesi per la costituzione di una società nel rispetto di quanto previsto nel decreto legislativo 23 dicembre 2022 n. 201, con la finalità di assicurare l’esercizio unitario ed efficiente delle funzioni comunali afferenti alla gestione del Servizio Idrico Integrato nell’Ambito Territoriale Unico regionale, istituito con legge regionale n. 28 del 6 settembre 1999, ma anche con la finalità di creare le condizioni affinché l’Autorità Idrica Pugliese possa, nell’esercizio delle proprie competenze, individuare la modalità di affidamento del Servizio Idrico Integrato che riterrà più opportuna, tra quelle previste dal D.lgs. 23 dicembre 2022 n. 201 e dal D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152.

«Crediamo fortemente nell’acqua pubblica e auspichiamo che tale resti anche la sua gestione: per questo abbiamo sostenuto l’ingresso dei Comuni nel capitale sociale di Acquedotto Pugliese, al fianco della Regione, approvando in consiglio regionale una norma decisiva per il servizio idrico integrato in Puglia» le parole del capogruppo del M5S Marco Galante. «Quella dell’assemblea legislativa pugliese è una legge che non obbliga- continua Galante - ma traccia la strada, incentiva i comuni ad intraprenderla e li mette nelle condizioni, tramite l’Autorità Idrica Pugliese, di avere effettivamente anche l’in house tra le opzioni da scegliere. Per noi è la soluzione migliore. Crediamo lo sarà anche per i comuni che ora dovranno costituire la società veicolo per entrare nel capitale sociale di Aqp al fianco della Regione. Saremo al loro fianco, perché siamo parte di quanti credono nell’acqua pubblica».

Critica invece la voce dei consiglieri regionali del gruppo di Forza Italia Paride Mazzotta, Paolo Dell’Erba e Massimiliano Di Cuia: «Abbiamo votato contro la proposta di legge per la Costituzione del Comitato per il controllo di Acquedotto Pugliese: l’abbiamo fatto perché, per come è scritta la norma, sembra che qualcuno voglia cogliere l’occasione per istituire un nuovo carrozzone, con nuove nomine e nuove poltrone. Non ci stiamo: l’acqua è un bene pubblico da tutelare, non un ulteriore strumento per il consenso utile al centrosinistra. Un iter a dir poco farraginoso per giungere all’affidamento in house providing: obiettivo che potrebbe essere perseguito anche (e semplicemente) dando ai Comuni le quote da trasferire, senza investire risorse regionali e senza ulteriori enti mangia-soldi. E ancora: non c’è un piano economico- finanziario della “società veicolo”, che nasce grazie ad un finanziamento iniziale da parte della Regione. Ergo, la Regione finanzia una società di cui non farà parte. A che titolo? Altra domanda a cui non abbiamo avuto risposta: chi pagherà gli stipendi dei dipendenti della società e le retribuzioni dei vertici? Nessuno lo sa! Inoltre, da qui, partirebbe il tour de force a carico dei Comuni chiamati ad approvare lo statuto societario in fretta e furia, per poi arrivare all’approvazione finale in Consiglio regionale. Più di una ragione, quindi, a fondamento della nostra decisione di oggi: non possiamo condividere un’impostazione poco chiara dal punto di vista dell’opportunità politica e non in linea con il criterio dell’economicità».

Per Paolo Pagliaro e Antonio Paolo Scalera (La Puglia Domani), «bene che i Comuni pugliesi possano diventare azionisti di Acquedotto Pugliese, perché questo ne rafforza la proprietà pubblica, ma ci sfugge l’utilità di costituire una Società Veicolo per giungere all’affidamento in house providing. Non sarebbe bastato trasferire le quote ai Comuni, senza sprecare 300mila euro per creare una nuova società in house? Non comprendiamo l’enfasi del presidente Emiliano e del centrosinistra nel rimarcare la portata storica di una legge approvata a maggioranza, né i loro proclami sull’acqua pubblica. Per amore di verità bisognerebbe ricordare che fu l’allora governatore Raffaele Fitto, oltre 20 anni fa, a battersi perché le quote di AQP venissero assegnate alla Regione Puglia.

La sede di AQP

Intanto, se a Bari si approva la nuova legge, a Taranto è battaglia sul nuovo dissalatore che dovrebbe essere il più grande d’Italia. L’Acquedotto Pugliese ha affidato i lavori per la costruzione del dissalatore al consorzio Cisa–Suez, ai sensi del la legge n° 36 del 2023, normativa creata per snellire gli appalti del Pnrr.

«Il Consiglio comunale si è pronunciato sulla mozione presentata da Antonio Lenti dei Verdi per dire no al dissalatore e all’investimento di Acquedotto Pugliese sulla foce del fiume Tara. Anche in questo caso l’Amministrazione ha espresso inequivocabilmente la propria contrarietà ad un’opera che rischia di compromettere l’ecosistema di un’area preziosissima che rappresenta per i tarantini un pezzo di storia e della propria identità. Sorprende l’assenza e il silenzio dei consiglieri Lucio Lonoce ed Enzo Di Gregorio su temi che dovrebbero essere dei cavalli di battaglia dei cavalli di battaglia almeno per il nuovo corso del Pd nazionale. Ma, evidentemente, per questi due consiglieri a Taranto ed in Puglia non è così». La stoccata è contenuta in un comunicato stampa divulgato nei giorni scorsi e firmato dal presidente della Commissione ambiente Paolo Castronovi e dai consiglieri comunali Boshnjaku, De Martino e Papa, i tre espulsi dal Partito Democratico per il loro appoggio a Rinaldo Melucci, in contrasto con la posizione del loro ormai ex partito. E, al di là del pure importante “no” al mega investimento per il dissalatore, opera sulla quale già nei mesi scorsi si erano registrate polemiche, quello che emerge è il nuovo fronte polemico - e tutto politico - che si apre nel magmatico scenario tarantino. Castronovi, Boshnjaku, De Martino e Papa si rivolgono alla Regione Puglia, affinchè «tenga conto del voto sovrano espresso dal Consiglio comunale di Taranto e riveda il proprio investimento sul dissalatore, che non può e non deve assolutamente deturpare una realtà, la nostra, già tanto vessata in termini di impatto ambientale». La Regione, va da sè, è governata da quel Michele Emiliano che oggi Melucci e la sua giunta vedono come un avversario, dopo l’idillio degli anni scorsi. E la mozione al no al dissalatore è stata presentata da Lenti, esponente di opposizione ed uno dei firmatari delle dimissioni dal notaio che avrebbero portato alla caduta dello stesso Melucci, se questo non fosse stato poi salvato dal clamoroso “non firmo” di Luigi Abbate. “Che cosa succede ora?” si chiede da parte sua il Comitato per la difesa del territorio jonico, che definisce il progetto «nefasto».

Per Legambiente «il progetto presenta forti criticità ed impatti negativi sull’ambiente, l’ecosistema del fiume, il paesaggio. L’associazione chiede perciò di valutare possibili alternative, a partire dalla canalizzazione dell’apporto dei torrenti lucani Sarmento e Sauro e dall’implementazione della riduzione delle perdite della rete, che appaiono in grado di fornire risorse idriche in quantità di gran lunga superiori a quelle che l’impianto di dissalazione dovrebbe produrre». L’associazione ambientalista ha evidenziato come «il dissalatore determinerebbe un consistente incremento delle emissioni di CO2, con un impatto negativo sull’ambiente in termini di emissioni climalteranti » e che «un’altra forte criticità è costituita dagli effetti negativi sull’ecosistema del Tara, caratterizzato da una elevata fragilità, “potenzialmente non in grado di sopportare variazioni di natura strutturale- come importanti variazioni di portata – che potrebbero quindi comprometterne la funzionalità, con il rischio potenziale di comprometterne ancora di più lo stato di qualità già attualmente “non buono” secondo quanto indicato nello studio di Arpa Puglia che accompagna il progetto. Si tratta di un rischio che è opportuno non assumere. Lo studio di Arpa Puglia, peraltro, non approfondisce un altro indispensabile parametro, relativo al valore delle specie che vivono nel fiume. E’ perciò indispensabile uno studio di secondo livello, che definisca le componenti di pregio, alcune di già acclarata presenza, altre da indagare, per poi comprendere le soglie di criticità ed esse connesse».

Che il dissalatore sul Tara sia «un’opera strategica per la resilienza idrica della Puglia in un contesto di cambiamenti climatici» è la replica del presidente di Acquedotto Pugliese, Domenico Laforgia. «Il dissalatore è un’opera necessaria. Non lo stabilisce AQP che è il gestore – spiega Laforgia – ma il Piano d’Ambito 2020-2045 approvato dall’Autorità idrica pugliese. La necessità è duplice: proteggere i pugliesi da crisi idriche causate dal cambiamento climatico e rendere la Puglia più autonoma. Attualmente prendiamo il 77% dell’acqua da fonti esterne, lucane e campane, con costi di compensazioni ambientali di circa 25 milioni di euro all’anno. In un futuro con meno acqua a disposizione, la Puglia deve garantirsi riserve idriche su cui ha il pieno controllo. Inoltre il dissalatore ci consentirà di dismettere molti dei pozzi da cui AQP attualmente attinge per il 16% del suo fabbisogno, a tutela della falda sempre più minacciata dall’intrusione salina». Ancora, spiega Laforgia, «Sarmento e Sauro non sono opzioni contemplate dal Piano d’ambito che ha già valutato fonti alternative oltre ad aver scontato la Valutazione Ambientale Strategica. I consumi energetici saranno contenuti – spiega ancora il presidente di AQP – anche grazie alla dismissione, a seguito dell’attivazione dell’impianto, del 27% dei 135 pozzi salentini attualmente attivi. Il consumo energetico complessivo, incluso l’impianto di rilancio al serbatoio di Taranto, sarà pari a 15.594.800 Kwh/anno grazie alla previsione di realizzare un impianto fotovoltaico dedicato e al mancato emungimento dai pozzi.

Parliamo, dunque, dell’energia che verrebbe consumata da circa 16.000 persone, non da 40.000. Il tutto, a beneficio della sicurezza idrica per 380.000 persone. Ci tengo a ricordare che Acquedotto Pugliese ha da tempo intrapreso la strada della transizione ener-getica, avviando progetti per la realizzazione di oltre 160 impianti di produzione da fonti rinnovabili, tra fotovoltaico, idroelettrico e biogas. Il nostro Piano Strategico al 2026 prevede un’autoproduzione di energia rinnovabile pari a 91.000.000 Kwh. Dobbiamo inoltre precisare che il dissalatore non prevede processi di combustione che comportano emissioni dirette di CO2, ma solo emissioni indirette legate all’utilizzo di energia elettrica dalla rete elettrica nazionale. Peraltro anche in Italia, nei prossimi anni, la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili continuerà ad aumentare, ridu-cendo di conseguenza gli attuali livelli di emissione di CO2». «L’ecosistema del Tara sarà tutelato» garantisce infine il presidente di AQP.

Questo, mentre Cittadinanzattiva spiega che è di 510 euro la cifra spesa in media per la bolletta idrica da una famiglia pugliese nel 2023 (la media nazionale è pari a 478), in aumento dell’1,9% rispetto al 2022 e dell’8% negli ultimi 5 anni. La fotografia emerge dal XIX Rapporto sul servizio idrico integrato, a cura dell’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva, che è stato presentato nel corso dell’evento “Cara acqua, una risorsa da risparmiare e tutelare”. In base agli ultimi dati Istat (anno 2020), la dispersione idrica nei capoluoghi di provincia è pari in media al 36,2% e raggiunge il 42,2% come territorio complessivo italiano. In alcune aree del Paese (soprattutto Sud e Isole) si disperde più della metà dei volumi d’acqua immessi in rete. Se si analizza ulteriormente lo spaccato di alcune realtà, in Puglia ad esempio, si passa dal 52% di Taranto al 19,1% di Lecce.

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