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La lettera aperta
21 Marzo 2024 - 07:29
Cittadella della Carità
«Io me lo ricordo bene quando mio padre, orgoglioso, ci raccontava che aveva offerto qualche ora del suo lavoro per dare un contributo al Sogno di Mons. Motolese. E mio padre lo diceva orgoglioso e fiero, contento perché pensava che quel sogno, il sogno di Mons. Motolese, fosse un sogno giusto, un sogno bello, un sogno che meritaava di essere condiviso».
Così il Consigliere comunale Gianni Liviano sul caso della Cittadella della Carità di Taranto.
«Io mi ricordo - prosegue - quando i ragazzini delle scuole, per realizzare quel sogno, offrivano i loro salvadanai, dopo aver rinunciato ad acquistare forse qualche busta di figurine di calciatori della Panini, qualche giornaletto, o il panino con il prosciutto che vendeva la salumeria che stava di rimpetto alla scuola.
Monsignor Motolese era autorevole e credibile e per questo il Suo sogno, il sogno di una Cittadella che accogliesse i poveri, gli ultimi, gli ammalati, diventò il sogno dell’intera città: dei sindacati e della Politica, non importa se di sinistra, o di destra o di centro, dei commercianti, degli operai, degli impiegati.
E quando la Cittadella fu inaugurata festeggiarono tutti. E ogni giorno un numero elevato di volontari, da ogni parrocchia, si recava alla Cittadella, per tenere compagnia ai poveri, alle persone sole. Io mi ricordo di Suor Delia, che coordinava il servizio ai poveri e si impegnava perché ad ogni persona fosse salvaguardata la dignità. Io mi ricordo quando, qualche anno dopo, in Cittadella arrivo’ il Papa, San Giovanni Paolo Secondo, quando atterro’ con l’elicottero in Cittadella. Nel frattempo l’arcivescovo era diventato Monsignor De Giorgi, ma gli onori di casa in Cittadella li fece, come era giusto, Mons. Motolese.
Ne è passato di tempo e la città è cambiata e non sono certo che sia cambiata in meglio. Sicuramente la Cittadella è cambiata in peggio. E negli anni è stato tradito il sogno di Mons. Motolese, che poi era il sogno di una città. La gestione è stata per anni fallimentare e il controllo forse un po’ distratto. La vicinanza della città si è ridotta e ora ci sono tanti dipendenti che rischiano di perdere il lavoro, molti pazienti che devono essere trasferiti e la città che sta perdendo una struttura sociale, prima ancora che sanitaria, nell’indifferenza generale.
Non vada persa una struttura così importante, non vada offeso il sogno che la città dei nostri padri ha condiviso».
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