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La Storia
08 Marzo 2024 - 07:23
La presenza degli ebrei a Taranto
Fra l’instabilità politico- amministrativa che affligge il Comune di Taranto e l’insufficienza dei fondi dovuta (anche) ad un aumentato costo delle materie prime, i lavori di restauro e ristrutturazione del Palazzo degli Uffici, maestoso edificio di fondazione settecentesca ricostruito nella seconda metà del XIX secolo, sono nuovamente fermi. Uno stop, preceduto da quello legato alla pandemia, che rende sempre più ingarbugliata e desolante la sorte della più imponente pre-esistenza edilizia della città nuova di Taranto, che determinò orientamento viario e misure degli isolati del Borgo che da fine Ottocento iniziò a sorgere al di fuori della città murata, oltre il fosso divenuto canale navigabile. Lo stop riguarda la prima fase dei lavori, restauro delle facciate ed illuminotecnica “esterna”; e quindi fa allontanare ancora di più nel tempo le gare per i lavori di ristrutturazione vera e propria: ovvero, sorte e destinazione d’uso del palazzo.
All’interno di questo pessimistico scenario si situa un ennesimo stop: quello della ripresa delle ricerche archeologiche sul lato di via d’Aquino, dove nel 2006 furono rinvenute sotto un pavimento tre sepolture, pertinenti con ogni probabilità ad un sepolcreto ebraico del quale, duranti i lavori per costruzione e ricostruzione dell’edificio (fine ‘700 e fine ‘800) erano state rinvenute, e purtroppo accumulate fuori contesto, lapidi funerarie bilingui di IV – V secolo.
Le richieste della allora Soprintendenza archeologica per la Puglia per avviare ricerche erano state disattese, ma nel 2022, grazie anche ad una campagna promossa dalla stampa locale e rilanciata da Shalom, la rivista della comunità ebraica romana, dall’Ansa e dai quotidiani nazionali, fu raggiunta una intesa fra il Rabbinato di Roma ed il ministero della Cultura per l’avvio di una campagna di scavi della intanto ricostituita Soprintendenza di Taranto. Che purtroppo oggi, dopo gli anni di intenso lavoro di Barbara Davidde, nella doppia veste di soprintendente nazionale per il patrimonio culturale subacqueo e di soprintendente di archeologia belle arti e paesaggio per Taranto, è sede vacante. E nel frattempo è cambiato anche il ministro della Cultura. Il sepolcreto ebraico sotto il Palazzo degli Uffici va comunque recuperato. E’ l’unica traccia fisica rimasta, a parte le lapidi rinvenute nello spianamento della collina di Montedoro, dove sorgono il palazzo e vari fabbricati del Borgo, della presenza in Taranto della più antica colonia ebraica al mondo dopo la diaspora (la deportazione degli Ebrei decretata da Tito nel 70 d.C.); almeno questo afferma una tradizione ebraica risalente già al Medio Evo.
E nella redazione del progetto esecutivo per la ristrutturazione e “rifunzionalizzazione” del Palazzo degli Uffici, che l’attuale amministrazione comunale ha voluto ribattezzare Palazzo Archita, dal nome del più duraturo ed illustre inquilino del fabbricato, la prima scuola di Taranto, che ebbe Aldo Moro come studente (e dove è doveroso reinsediare almeno un cospicuo nucleo dell’Archita, fondato nel 1872 e che nel palazzo ha avuto sede dal 1876 al 2013), si dovranno prevedere saggi archeologici nel corridoio dove, nel 2006, la allora Soprintendenza archeologica rinvenne tre tombe (con scheletri ancora in situ) di V – VI secolo d.C. scavate nel banco di carparo. Ne riferì Antonietta Dell’Aglio, che all’epoca dirigeva il Museo nazionale archeologico (odierno MArTA), chiedendo un supplemento di ricerche.
Complici le reiterate interruzioni dei lavori, non se ne fece nulla. Nel 2022, alle soglie della pronuncia del Consiglio di Stato sulla titolarità dei lavori di progettazione, la questione sepolcreto sembrò trovare soddisfacente soluzione, col diretto coinvolgimento del Rabbinato di Roma. Perché l’affaire tombe ebraiche non presenta solo aspetti archeologici e storici. Per la religione ebraica (una delle confessioni che ha sottoscritto intese con la Repubblica Italiana, in forza dell’art. 8 della Costituzione; intesa dunque di livello costituzionale che prevede la tutela di cimiteri e di tutti i beni “afferenti al patrimonio storico e artistico, culturale, ambientale e architettonico, archeologico, archivistico e librario dell’ebraismo italiano”) la traslazione di cadaveri è un sacrilegio; i resti umani eventualmente spostati dalle loro tombe vanno “riconsacrati” con una particolare cerimonia e riportati, se possibile, nel luogo di sepoltura originario.
Due anni fa fu effettuato un sopralluogo nell’area interessata al sepolcreto; un’ala edificata direttamente sullo sperone di roccia dell’originaria collina di Montedoro, in gran parte spianata a fine ‘700 e fine ‘800 per la realizzazione di isolati strade e piazze della Città Nuova. Auspice il ministero della Cultura, dopo i colloqui intercorsi fra il Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, e la allora soprintendente di Taranto, Barbara Davidde, della Magna Grecia era ormai da secoli in decadenza). Esisteva sì in Italia una colonia ebraica più antica, quella di Roma, risalente quanto meno al II secolo a.C., ma non era legata al dramma della “dispersione”. La colonia tarantina era integrata nella vita della città; lo dimostra anche il rinvenimento nell’area sepolcrale in uso dal IV (almeno) al IX secolo d.C. di lapidi ebraiche (in Greco ed Ebraico; poi in Latino ed Ebraico; quindi solo in Ebraico) accanto a sepolture cristiane e tombe bizantine: i due cimiteri dovevano essere contigui. L’area fu abbandonata all’inizio del X secolo, quando Taranto fu distrutta dai Saraceni. Nel 925, proprio poco prima della distruzione della città, fu riscattato a Taranto il tredicenne Donnolo, preso prigioniero ad Oria dai Saraceni.
Il riscatto fu pagato con denaro dei suoi genitori, che avevano affari e parenti a Taranto: Donnolo fu poi medico e filosofo insigne, ed antiche tradizioni lo associano alla fondazione della Schola medica salernitana, la proto-Università. Con la ricostruzione di Taranto voluta da Niceforo II Focas a fine X secolo la città si restringe nell’antica acropoli, ormai quasi un’isola. La Giudecca è nel quartiere Turripenne; la cultura ebraica è fiorente. Un maestro calligrafo, Shemuel ha-Sofer, imposta addirittura le modalità grafiche con cui d’ora in poi verranno riprodotte le copie del Talmud. A metà del XII secolo Beniamino da Tudela nel suo “Itinerario” da Saragozza a Baghdad riscontra una florida comunità (circa 300 famiglie; Roma ne ospita solo 200; Otranto e Napoli 500; Salerno 600; Palermo 1.500) con numerosi dotti. Con gli Angiò, seconda metà del XIII secolo, iniziò una forte pressione su musulmani ed israeliti perché si convertissero. Nel 1292 a Taranto 172 ebrei accettarono il battesimo; ma i cosiddetti “neofiti” erano guardati con sospetto, sia dalla Chiesa sia dai concittadini, specie negli strati più bassi.
La presenza degli ebrei a Taranto
Nel 1411 c’è un assalto con razzie e morti contro i neofiti; fra le vittime anche un capitano che cercava di sedare i tumulti. Nel 1492 fu addirittura diffusa da un frate una falsa profezia di San Cataldo che invitava a cacciare gli Ebrei. La ridimensionata comunità tarantina è ancora ricca di dotti; ma la fine è vicina. Gli Ebrei erano già stati espulsi nel XII secolo da Francia e Inghilterra; Lutero invitava ad espellerli dalla Germania ed a bruciare le sinagoghe; nel 1492 i Re cattolici li cacciano definitivamente dalla Spagna; molti si rifugiano nel Regno di Napoli, ma con la conquista spagnola del 1503 inizia la fine. “Nel 1510 Ferdinando il Cattolico fece pubblicare il bando di espulsione dei giudei e cristiani novelli, ad eccezione di 200 famiglie, le più facoltose. A questa data – si legge in Italia Judaica – i nuclei ebraici a Taranto si erano ridotti a 18, mentre quelli dei neofiti erano 1.400”. Ormai l’attività prevalente degli Ebrei era l’usura, il che voleva dire in realtà l’attività bancaria: “il bisogno delle popolazioni spinse le autorità a tollerare il rientro dei giudei e il loro ricostituirsi in comunità. Quella di Taranto divenne una delle più prospere [di Terra d’Otranto], come attestano i contributi fiscali che pagò nel 1535”. Nel 1541, per decreto di Carlo V, la definitiva parola fine per le comunità; né per i più o meno forzosi convertiti le cose vanno meglio: al termine tecnico (e neutrale) di “neofiti” si preferiva quello ingiurioso di “marrani” (porci; che tra l’altro, per gli Ebrei, sono anche animali impuri). Chi non si converte, fugge nella vicina Grecia, sottoposta agli Ottomani, più tolleranti dei cristiani. Della comunità ebraica tarantina, a differenza di altre pugliesi (Oria, Trani, e per resti architettonici Manduria) si perderanno le tracce, fino a sparsi rinvenimenti e studi recenti (fondamentali quelli di Cesare Colafemmina).
Il quartiere Turripenne, dove le tracce ebraiche erano comunque poche e poco documentate, fu raso al suolo negli anni ’30 del ‘900, per il “risanamento” intrapreso dal fascismo. Ecco quindi che riprendere le ricerche archeologiche nel Palazzo degli Uffici, e preservare e rendere visibile il sepolcreto ebraico, diventa fondamentale anche dal punto di vista storico ed archeologico. Senza trascurare la necessità di salvare quel che resta del cimitero, anche per provvedere, come ricorda rav Kalmanowitz, alla sepoltura secondo le norme ebraiche di “quegli sfortunati il cui ultimo riposo è stato terribilmente disturbato”.
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