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La sentenza
22 Gennaio 2024 - 18:53
Carlo Maria Capristo
Due anni e mezzo per l'ex procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo e 2 anni per gli altri imputati, i fratelli Mancazzo, imprenditori di Bitonto.
È questa la sentenza emessa dalla Sezione penale del Tribunale di Potenza dopo tre ore di camera di consiglio. Il dispositivo è stato letto in aula dal presidente del collegio, e del Tribunale, il giudice Rosario Baglioni, intorno alle 18 di lunedì 22 gennaio. Una condanna, soprattutto per il magistrato in pensione, nettamente inferiore rispetto a quella richiesta del pm Anna Gloria Piccininni. La rappresentante della pubblica accusa aveva chiesto sei anni per Capristo e quattro anni per i fratelli Giuseppe, Gaetano e Cosimo Mancazzo, a conclusione della sua requisitoria. Secondo la rappresentante della pubblica accusa, Capristo e gli altri tre imputati andavano condannati per tutti i capi di imputazione, il più pesante dei quali riguarda un presunto tentativo di induzione indebita nei confronti della pm Silvia Curione, all'epoca dei fatti sostituto procuratore a Trani.
L'accusa, comunque, è stata alleggerita nel corso delle ultime udienze su richiesta della stessa pm Piccininni che ha proposto la derubricazione dell'imputazione di tentata concussione formulata inizialmente dagli inquirenti.
La presunta pressione indebita sarebbe stata esercitata, è la tesi accusatoria, per interposta persona nei confronti della pm Silvia Curione che Capristo conosceva per aver diretto la Procura di Trani prima di ricevere dal Csm la nomina di procuratore capo della Repubblica di Taranto. Nel corso del dibattimento, in aula sono stati ascoltati come testimoni anche la pm Curione e il marito Lanfranco Marazia, quest'ultimo sostituto in Procura a Taranto all'epoca dei fatti contestati.
Secondo l'accusa il poliziotto e autista si sarebbe recato per conto di Capristo a Trani nell'ufficio della pm Curione titolare di un'indagine su un presunto caso di usura nel quale erano vittime i Mancazzo. Un’indagine partita su denuncia dei tre imprenditori che, è semore la tesi accusatoria, l'invio del poliziotto avrebbe potuto orientare in una direzione favorevole alle tre parti offese. Pressioni che non sortitono alcun effetto, infatti la pm Curione chiese l'archiviazione.
Le altre imputazioni riguardano le false presenze in servizio del poliziotto, che ha patteggiato alcuni anni fa, uscendo quindi dal procedimento. Una sorta di "truffa del cartellino", anche se in questo caso l'ispettore non aveva il badge, come è stata definita dal procuratore capo di Potenza Francesco Curcio.
Secondo l'accusa doveva essere Capristo a dover attestare la presenza in servizio del poliziotto. Invece, è la tesi contrapposta sostenuta dalla difesa, con documentazione alla mano prodotta durante la discussione, questo è un compito del ufficio di gabinetto della questura di Taranto.
La Sezione penale del Tribunale di Potenza ha ritenuto di accogliere parzialmente le richieste del pubblico ministero infliggendo condanne lievi, 2 anni e mezzo a Capristo per le presunte pressioni indebite e per alcuni capi d'imputazione delle false attestazioni in servizio del poliziotto e 2 anni ai fratelli Mancazzo per la vicenda delle pressioni indebite.
Per conoscere le ragioni della decisione bisognerà attendere le motivazioni della sentenza. Saranno depositate in cancelleria nei canonici 90 giorni. Si tratta comunque di una sentenza di primo grado, pertanto vale la presunzione di innocenza sancita dalla Costituzione in assenza di un giudizio definitivo.
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