Siamo da poco oltre il 25 aprile e il 1° maggio, ci avviciniamo a passi veloci verso il 2 giugno. Tre date importanti che segnano momenti diversi, ma consequenziali e connessi. Il 25 aprile e il 2 giugno sono strettamente correlati, mentre il 1° maggio è sostanziale ad entrambi. Il 2 giugno non ci sarebbe stato senza il 25 aprile, la Costituzione italiana ha pienamente riconosciuto il valore del lavoro (art. 1). Dunque: la liberazione dal nazifascismo ha consentito la realizzazione di un’Italia democratica nella quale il lavoro (artt. 1, 4, 35, 37 Costituzione italiana) è un diritto riconosciuto che rinvia al principio di uguaglianza, al diritto al lavoro, alla tutela del lavoratore, al diritto alla retribuzione, al lavoro delle categorie più deboli, oltre che alle nuove frontiere del diritto del lavoro. Non fu facile arrivare al compromesso sull’art. 1. Il 22 marzo 1947 l’Assemblea costituente approvava definitivamente l’articolo 1 della Costituzione «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Il compromesso era la parola «lavoro», le sinistre avrebbero voluto definire la nascente Repubblica «dei lavoratori», la proposta venne bocciata da 239 no contro 227 sì. Fu un emendamento del giovane Amintore Fanfani e di Egidio Tosato a trasformare «lavoratori» in lavoro, il senso venne da tutti poi accettato. In verità, in più di settanta anni l’articolo 1 non è stato mai seriamente messo in discussione, fatta eccezione il tentativo dei radicali e del Ministro Brunetta, i quali nel 2010 con delle provocazioni espressero la volontà di togliere quel riferimento al lavoro perché ritenuto un preciso marchio ideologico. È noto che le sinistre (PCI, 104 / 556, e PSIUP, 115 / 556) nell’Assemblea costituente volevano riconoscere l’importanza dei lavoratori come soggetti promotori della storia dell’umanità. Del resto, al Congresso Internazionale di Parigi del 1889, che diede il via alla Seconda Internazionale, il giorno 1º maggio fu dichiarato ufficialmente come la Festa Internazionale dei Lavoratori ed essa fu così intesa da molti paesi nel mondo. In Italia fu ratificata soltanto due anni dopo. Nel ventennio fascista la festa fu soppressa in favore della «Festa del lavoro italiano» il 21 aprile, coincidente con il Natale di Roma. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel 1945, fu ristabilita il 1° maggio. Sul lavoro e i lavoratori c’è sempre stato uno sguardo ideologico e spesso ci sono stati lutti ed episodi criminali. Nell’Italia post-fascista la Strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947) è emblematica della violenza nei confronti dei lavoratori (14 morti e 50 feriti) e della negazione dei loro diritti. Anche la storia repubblicana conosce momenti difficili riguardanti il mondo del lavoro. Ricordiamo gli italiani morti a Marcinelle in Belgio (136 morti) e le tante “morti bianche” (Taranto purtroppo è protagonista negativa in questo campo) che ancora nel 2022, secondo i dati dell’Inail, sono state 1090. Per non parlare poi della violenza esercitata nei confronti di chi, in qualità di esperto, ha cercato di rivedere le norme sul lavoro. Gino Giugni, «padre» dello Statuto dei lavoratori, fu gambizzato a Roma nel 1983; furono uccisi Ezio Tarantelli nel 1985, Roberto Ruffilli nel 1988, Massimo D’Antona nel 1999, Marco Biagi nel 2002. Le Br colpivano uomini dello Stato legati ad un contesto di ammodernamento delle Istituzioni e delle regole sul mercato del lavoro. Il lavoro (il diritto al lavoro art. 4 Costituzione) e i lavoratori, dunque, sono un tema assai scottante e ancora oggi il dibattito sulle questioni del lavoro e dei lavoratori nasconde insidie profonde. È di questi giorni la decisione del governo di intervenire con un dl proprio sul lavoro per cercare di venire incontro alle questioni più urgenti. Non entro nel merito di questi provvedimenti per molti versi molto discutibili, mi limito solo a sottolineare che è necessario avere grande attenzione verso il mondo del lavoro, soprattutto verso i lavoratori e chi li rappresenta, i sindacati, vera spina dorsale democratica della Repubblica. Secondo gli artt. 18 e 39 della Costituzione i sindacati esercitano il diritto ad associarsi per garantire e tutelare il diritto al lavoro, per difendere i lavoratori contro i soprusi e i pericoli derivanti dalla mancanza di tutela. E’ da un po’ ormai che non si parla più di classi, ma di ceti sociali e così si indebolisce la posizione dei lavoratori perché si scardina l’aspetto economico in favore di quello sociale (M. De Benedittis, M. Magatti, I nuovi ceti popolari, Feltrinelli, 2006) Le rivendicazioni economiche, tra cui aumenti di salari e stipendi, non sono un di più inutile, esse servono a garantire il potere d’acquisto di chi non naviga nell’oro per consentire di vivere dignitosamente e per far sì che i figli possano andare a scuola e all’università al fine di promuovere quell’ascensore sociale oggi, ahimè, bloccato. Il 1° maggio ripropone all’attenzione del mondo il/i lavoratore/i, sì coloro che le sinistre avrebbero voluto inserire nell’art. 1 della Costituzione. Non dimentichiamoci di loro! Riccardo Pagano Presidente provinciale Anpi Taranto
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