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Dissalatore sul fiume Tara, Corvace: I dubbi sull’impatto ambientale

Il fiume Tara

Il fiume Tara

Si riparla del Tara in questo periodo. Non per attribuirgli il decoro che gli spetta per storia e leggende legate al suo corso. Ma per un dissalatore ad osmosi inversa, di grandi dimensioni, da realizzarsi nei pressi della sua sorgente. Gara già bandita dall’Acquedotto Pugliese, 100 mln sul tavolo, 27,5 dei quali attinti dai fondi del Pnrr. Diverse le spinte, anche governative, per adottare questo tipo di soluzione per far fronte alla incombente siccità. Non pochi però sono dubbi e perplessità nei loro confronti. Si tratta di impianti costosi e molto energivori, con grossi problemi di impatto ambientale e poco indicati in una fase di risparmio energetico se non strettamente necessari. Per i consumi energetici, l’Aqp non sembra preoccuparsene più di tanto. Ritiene di contenerli poiché si vanno a captare acque di fiume a minore salinità rispetto a quelle del mare. Trattandosi però di mega-impianto il discorso appare piuttosto debole. Limitato anche il ricorso all’energia da fonti rinnovabili per il suo esercizio. Da relazione tecnica, coprirebbe solo il 3,9 % del fabbisogno elettrico, riducendone il costo per mc di acqua potabile prodotta solo da 0,61 a 0,58 €/mc. Anche se il maggior risparmio energetico è dedotto dalla successiva riduzione di emungimento dei pozzi, il resto del fabbisogno energetico verrebbe ricavato dalla realizzazione di una turbina a gas. Quindi dall’utilizzo di fonti fossili con relative emissioni inquinanti e di CO2. Tanti i punti ancora oscuri sul piano strategico. Il progetto dell’Aqp comporta un mutamento di destinazione d’uso delle acque del Tara. Come da rimodulazione del piano d’ambito regionale, si decide che debbano servire per uso potabile e non più per l’agricoltura o per scopi industriali. Funzioni, queste ultime, rispetto a cui non viene però fornita alcuna indicazione. Così come per le sorti dell’invaso Pappadai, in perenne attesa del rifornimento di acque da questo stesso fiume e dal Sinni. In audizione presso la commissione consiliare comunale, l’Aqp ha fatto anche trapelare un futuro utilizzo dello stesso Pappadai per uso potabile e non solo irriguo. Però, l’invaso è nella gestione del consorzio Arneo. Quindi quel che sembra mancare è una progettazione d’insieme. Non si comprende se le scelte siano frutto di intese tra Regione, Acquedotto pugliese, consorzi di bonifica ed ente di irrigazione (Eipli). Oppure se ciascuno vada per conto suo. Per saperne un po’ di più, occorre rifarsi a qualche riunione del Cis per Taranto di circa un paio di anni addietro. I reflui depurati dovrebbero essere destinati non più all’ex Ilva, dato il suo ostruzionismo nel merito, ma all’agricoltura. Ovvero 25 anni buttati via con grave sperpero di denaro pubblico ed opere compiute abbandonate al degrado. Roba da corte dei conti. Delle nuove opere da realizzare, con relativi costi, ancora nessuna notizia. Per l’ex Ilva, invece, in previsione un altro dissalatore da realizzarsi sulle rive di Mar Grande. Ma anche di questo progetto si son perse le tracce. In questo incerto contesto, il dissalatore dovrebbe essere realizzato entro il 2026, come i fondi del Pnrr impongono. Lecito avanzare molti dubbi. Alto il rischio di ritrovarsi un altro ecomostro incompiuto come nel caso del fiume Chidro e di altro sperpero di spesa pubblica. Preoccupazioni sono anche sulla capacità del fiume di sopportare prelievi di vaste proporzioni e dagli indici complessivi ancora indefiniti. Attualmente dal Tara sono prelevati circa 500 lit/sec per uso industriale e circa 120 per l’agricoltura. Per il dissalatore previsto il trattamento di ben 1000 lit/sec. L’AQP presenta una tranquillizzante media della portata del fiume con dati diluiti dal 1925 al 2017, rispetto a cui permangono non pochi dubbi considerando le temperature record degli ultimi anni. Secondo dati della Coldiretti, la Puglia è anche la regione d’Italia in cui piove meno, 641,5 millimetri annui medi e con perdite annuali dell’89 per cento dell’acqua piovana. Non solo. Eloquente è la relazione dell’Arpa “il livello di qualità “scarso” del corpo idrico per quanto riguarda la componente biotica animale e vegetale rappresenta un elemento di criticità; esso, infatti, è risultato come caratterizzato da un ecosistema con una scarsa diversità biologica (comunità animali e vegetali poco diversificate) e quindi potenzialmente non in grado di sopportare variazioni di natura strutturale - come importanti variazioni della portata - che potrebbero quindi comprometterne la funzionalità..“. D’altro canto si è indotti a credere come il prelievo per uso irriguo ed industriale possa persistere ancora a lungo. Molti i dubbi, infatti, che entro il 2026 siano portate a termine anche le opere per il riuso in agricoltura dei reflui depurati di Gennarini e Bellavista inizialmente previsti ad uso industriale e, da parte dell’ex Ilva, di un altro dissalatore. Altre perplessità riguardano i notevoli sommovimenti di terra per sotterrare le condotte da realizzare. I percorsi individuati interessano aree di pregio ambientale e paesaggistico come il parco delle gravine, le gravine di Mazzaracchio e Gennarini e zone di interesse archeologico come l’acquedotto del Triglio. Oppure zone dell’ex Ilva molto contaminate in cui insistono la cava Mater Gratiae e relative discariche nel suo ambito. Grosse criticità investono anche l’impatto ambientale del dissalatore. Dal passaggio delle acque marine nelle membrane e dalla loro evaporazione si produce un residuato di sale denominato salamoia che, combinato con le sostanze chimiche tossiche antincrostanti ed antivegetativi necessarie per eliminarne le impurità e renderle potabili, costituisce un grosso problema per il suo smaltimento. Anche se la minore salinità del fiume comporta una minor quantità di salamoia rispetto al trattamento dell’acqua marina, si tratta pur sempre di notevoli quantità. In rapporto al trattamento, da 250 a 630 lit/sec corrispondono portate di salamoia variabili da 142 a 370 lit/sec. Lo smaltimento avviene in mare, ma con grossi rischi per l’ecosistema marino e la sua biodiversità. Nello specifico, a ridosso del molo polisettoriale. Quindi non molto distante dal posidonieto dell’isola di San Pietro, dichiarato sito di interesse comunitario. Di recente approvata la legge 60/2002, la ‘salvamare’, di cui si attendono ancora i decreti attuativi ed il decreto legge 39/2023 sulla siccità. Norme che non impongono un pretrattamento della salamoia prima dello scarico ed un successivo monitoraggio dello specchio di mare interessato. Né, allo stato attuale, previsto un riuso industriale della stessa salamoia da parte dell’Aqp. Con perdite sulla rete idrica del 52 % e del 89 % dell’acqua piovana per far fronte all’emergenza siccità appare, allo stato attuale, poco opportuno indirizzarsi verso megaopere come il dissalatore. Preferibile sarebbe un più celere e corposo intervento di rifacimento e manutenzione della rete idrica colabrodo esistente, riqualificazione dei depuratori esistenti con riuso dei loro reflui opportunamente affinati, completamento delle fogne con separazione e recupero delle acque piovane. Infine completamento delle opere necessarie per garantire l’approvvigionamento dell’invaso Pappadai, dopo circa 40 anni di attesa. Leo Corvace Ambientalista  ****** 

Dissalatore sul fiume Tara, perplessità di Europa Verde, Socialisti e Riformisti

  Venerdì 21 aprile, la commissione Ambiente del Comune di Taranto ha iniziato ad analizzare i documenti relativi alla costruzione di un impianto dissalatore alla foce del fiume Tara. I lavori sono di competenza dell’Acquedotto Pugliese. «Abbiamo potuto ascoltare la relazione dell’ing. Barbone, dirigente Aqp che ha illustrato la tecnologia e il luogo prescelti ai consiglieri e alle associazioni presenti». Alla luce di quanto appreso in commissione Europa Verde, Partito Socialista e Riformisti di Puglia esprimono «forti perplessità in merito al progetto del dissalatore presso il fiume Tara. L’area del fiume Tara ha un’alta valenza storica, sociale, culturale e paesaggistica, in quanto lo stesso nome di Taranto viene ricondotto a Taras che l’avrebbe fondata - si legge in una nota firmata da Antonio Lenti consigliere comunale Europa Verde; Giovanni Carbotti e Adele de Sinno coportavoce cittadini; Paola Fago e Gregorio Mariggiò co-portavoce provinciali; Paolo Castronovi, consigliere comunale Partito Socialista Taranto; Giuseppe Fiusco e Michele Patano consiglieri comunali Riformisti per la Puglia - E’ un luogo in cui si esprime la religiosità popolare da secoli in quanto le acque del Tara sono considerate curative. Il Tara è anche un luogo rasserenante e ricco di biodiversità, aperto a tutti e frequentato da sempre dalle famiglie dei quartieri popolari di Taranto e dei comuni vicini, non solo d’estate visto che la temperatura delle acque oscilla tra i 13 e i 18 gradi in ogni stagione. Il progetto prevede ulteriore consumo della risorsa suolo in un territorio che ha già tassi alti di cementificazione. Permangono dubbi sulla necessità di un impianto di dissalazione visto che l’Acquedotto Pugliese sta effettuando lavori di manutenzione della rete idrica. E’ incomprensibile il fatto che Taranto sia sempre destinataria di mega impianti e sulla base dell’esperienza dell’ultimo secolo e mezzo, non ha portato bene alla città. Presenteremo le osservazioni al Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale e ci batteremo per salvare questo sito così caro ai tarantini».
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