Nel dicembre del 2016 il dr. Oronzo Forleo, già direttore dell’Utin dell’ospedale Ss. Annunziata, con Deborah Cinquepalmi, presidente Simba odv, inaugura la “Culla per la vita”
Che grande pasticcio per il povero Enea, il neonato milanese che adagiato nella culla per la vita è stato poi chiamato a farsi carico di troppe emozioni e di troppi giudizi mentre avrebbe bisogno solo di tranquillità, di silenzio e di riservatezza. Quasi una nemesi storica, se l’Enea di Virgilio aveva il compito di soccorrere e sostenere Anchise, oltre a pensare al futuro di Ascanio, il nostro piccolo guerriero è chiamato quasi a rispondere sulla sua provenienza, sulla sua mamma quasi a sostenere tante valutazioni sul suo miglior interesse. Ma siamo sicuri che stiamo facendo il suo miglior interesse? Siamo sicuri di limitare le già mastodontiche emozioni che stanno cingendo in una morsa pericolosa la sua mamma? Facciamo un passo indietro nella storia. Le prime culle per la vita nascono come ruote degli esposti e la prima ruota nasce all’ Ospedale dei Canonici di Marsiglia (Aix en Provence, Tolone) 1188 La prima ruota italiana prende la luce con Papa Innocenzo terzo all’ ospedale Santo spirito in Sassi, Roma (1198) Nel 1923 vengono soppresse tutte le ruote da parte del primo governo Mussolini Nel 1992 si inaugura la prima culla dell’epoca moderna (Giuseppe Garrone, presidente del MPV di Casale Monferrato. Ancora oggi, nella nostra società opulenta, globalizzata abbiamo bisogno della ruota per gli esposti, ma adesso la chiamiamo “culla per la vita” e se così la chiamiamo ha e deve avere finalità specifiche e rispettare l’anonimato che è alla base della loro presenza. Da tanto tempo in Italia è consentito il parto in anonimato e la possibilità di abbandonare il neonato dopo accurati e privatissimi colloqui con gli staff ospedalieri e coi servizi sociali di supporto che forniscono tutte le informazioni e i diritti di una madre, prospettando anche, ma senza influenzarne le decisioni, la possibilità di cambiare opinione. La culla per la vita offre poi ulteriori possibilità anche per chi non ha scelto il parto in anonimato; richiede però ugualmente e, forse ancor di più, una gestione del neonato con maggiore sensibilità e soprattutto delicatezza per la madre che l’abbandona. Che pessimo termine: abbandono! Nella mia attività professionale di neonatologo, parlando con bravi magistrati del tribunale dei minori, avevo chiesto se mai sarebbe arrivato il tempo di derubricare il termine di “abbandono”, sostituendolo con quello più reale di “dono”. Immaginate il cambio di prospettiva che produrrebbe la semplice eliminazione di poche lettere da quella sgradita parola abbandono. La mamma che abbandona razionalmente ed emotivamente un neonato sta facendo un dolorosissimo atto d’amore, sta donando alla società un bambino e una goccia del nostro futuro. Una mamma che compie quel gesto merita tutto il nostro rispetto, tutta la nostra comprensione e impone il silenzio e l’anonimato. Immaginiamo cosa potrebbe accadere senza questi presupposti: potremmo favorire scelte pericolose come tante volte i nostri cassonetti della spazzatura hanno fatto scoprire. Vogliamo tornare indietro? Nessuno conosce la storia di una mamma disperata ma che conserva l’amore per la propria creatura e che la offre in dono a tutti noi. Non abbiamo nessun diritto di giudicare o di improvvisarci sociologi o psicoterapeuti: ancor di meno abbiamo il diritto di parlare di sostegno economico perché questo innescherebbe spirali di comportamento pericolosi. Nel 2016 anche la mia città, Taranto, ha inaugurato la culla per la vita (la numero 54 in Italia) nata da un mio progetto che inseguivo da tanti anni. Il primo obiettivo era di rendere anonimo l’eventuale deposito di un neonato da parte della madre. Dal 2016, anno della sua inaugurazione, ho avuto il piacere di non trovare nessun neonato e questo ho sempre sperato; ho però ricevuto tante richieste di aiuto nella difficile scelta tra l’aborto e la prosecuzione della gravidanza per partorire in anonimato. Nessun conflitto con la legge sull’aborto ma solo informazioni e sostegno per le mamme che a quella soluzione portavano avanti la loro gestazione perché ancora dubbiose sulla scelta e perché avrebbero potuto poi, extrema ratio, donarlo. Tutto questo però l’ho fatto in totale anonimato, quell’anonimato che il medico dovrebbe avere nel suo DNA e che chiamiamo semplicemente segreto professionale. Non mi sembra che questo sia avvenuto nella prestigiosa clinica milanese, dove anzi, è stata resa pubblica la lettera della madre. Quello scritto aveva un solo destinatario, solo la clinica responsabile della culla e non l’Italia intera. Nel caso di Enea, il nostro guerriero, siamo alla ricerca della madre, di una madre che stiamo giudicando poco idonea nella sua scelta. Non la conosciamo ma la giudichiamo perché noi siamo perfetti, noi trattiamo i problemi più complessi della vita come parliamo di politica, di calcio e di guerre offrendo pillole di saggezza nella nostra reale enciclopedica ignoranza. Basterebbe solo il silenzio e meno telecamere perché temi così complessi prevedono solo la valutazione di esperti e di chi ha una consolidata consuetudine di vita con queste problematiche. Se non facciamo così rischiamo di produrre maggiori problemi e in questo caso li abbiamo già prodotti a molti livelli. Un noto conduttore televisivo ha detto, rivolgendosi alla madre, in una lettera offerta alla stampa nazionale e ai media: “prendi il tuo bambino che merita una mamma vera, non una mamma che poi dovrà occuparsene ma non è la mamma vera” Ci metterei la mano sul fuoco, zio Ezio, così come si è autografato, è in buona fede e ha sempre dimostrato vicinanza e tanta generosità per i bambini e soprattutto per i neonati; ma forse in questo caso meritava qualche consiglio e di partecipare silenziosamente a questa problematica che ha offeso, sicuramente senza volerlo, i genitori adottivi. Caro Ezio i genitori adottivi sono genitori veri o forse hai ragione tu spesso poco veri perché sono eroi in tempi di scarso coraggio e di modelli genitoriali poco credibili. Ho ancora il piacere di interagire con tanti genitori adottivi e da loro ho ricevuto tanti suggerimenti invidiandone la vocazione per gli altri e per la famiglia. Facciamo attenzione, facciamo in modo che la nostra voglia di aiutare non confligga con chi offre la sua vita a chi biologicamente è diverso perché la genitorialità non è solo quella biologica. Io mi inchino alla mamma di Enea, la ringrazio di questo dono per la società e la ringrazio per offrire a noi tutti un atto d’amore per lei doloroso. Voglio stare lontano dalle sue motivazioni perché non mi è dato di entrare, ma mi piace immaginarla con tanta speranza nella certezza del futuro del suo Enea.
Oronzo Forleo Pediatra
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