Un tempo la Settimana Santa era caratterizzata anche dall’odore dei dolci tipici che si sprigionava dai forni, che si avvertiva ancor più intensamente fra i vicoli della Città vecchia. Fra “scarcedde”, taralli dolci (anche “scileppati” o al pepe), pecorelle di marzapane, i banconi erano stracolmi di queste prelibatezze, che i più piccoli mangiandoseli con gli occhi, attendendo ansiosi il momento in cui lo avrebbero fatto davvero. E ora, che cosa ne è rimasto? S’impongono sul mercato colombe prodotte industrialmente dalle marche più note e uova pasquali che circolano anche… a ferragosto. Ne abbiamo parlato con la referente dell’Associazione panificatori di Taranto, Emma Prunella, soffermandoci sugli sforzi della categoria per il rilancio della produzione tipica artigianale. “I nostri panificatori non demordono nel mantenerne la tradizione, anche se tutto si è notevolmente ridotto. Le vendite sono piuttosto ridotte, circoscritte praticamente ai clienti più affezionati e di una certa età – spiega – Nonostante ciò, le esposizioni sono abbastanza ricche e ben curate, sperando che gli acquirenti possano indirizzare meglio le loro preferenze”. “Nei consumi – continua Emma Prunella –regge un po’ il tarallo dolce, ottimo per la colazione, che però erode solo in piccola parte quelli delle marche più note di biscotti. A pranzo veniva frequentemente servito al posto del dolce, possibilmente intinto nel vino. Più ridotta risulta la produzione dei taralli al pepe o, ancor peggio, di quello ‘scileppato’, che in ormai pochissimi consumano in quanto erroneamente si ritiene che la glassa nuoccia alla salute, nonostante l’assoluta genuinità dell’ingrediente”. Un tempo, prodotto di punta era “’a scarcedde”, di tutte le dimensioni, con una o più uova sode. “In questo periodo la fantasia dei panificatori tarantini andava a briglia sciolta - racconta - Se ne confezionavano di diversi tipi, oltre a quella classica rotonda: a forma di colomba, di panierini, di troccola, di borsette,di colomba e di pupa. Quest’ultima recava l’uovo sulla pancia quale simbolo di fecondità e prosperità: lo si donava alla fidanzata quale buon auspicio per il prossimo matrimonio. Oggi, in chiave moderna, molto spesso l’uovo sodo viene sostituito da uno al cioccolato che, ovviamente, viene inserito dopo la cottura del biscotto, perché altrimenti si scioglierebbe. Ma non è la stessa cosa!”. Emma Prunella aggiunge che le “scarcelle” venivano messe a tavola il giorno di Pasqua e che nel pranzo di Pasquetta quelle rimaste erano tagliate a fette e la parte dell’uovo sodo si mangiava con salame e un pizzico di sale. “Alcuni panificatori – riferisce - da qualche anno sono alle prese con la produzione di colombe artigianali, molto buone ma in quanto a prezzo non competitive con quelle dei supermercati, di pastiere (dolce di origine napoletana) e perfino di uova di Pasqua, se l’esercizio è in possesso di licenza di pasticceria”. “La nostra associazione - ribadisce Emma Prunella –- auspica una campagna promozionale adeguata, magari nelle scuole, con il sostegno delle istituzioni. Noi facciamo quel che possiamo. Per esempio, come ogni anno forniremo le Caritas parrocchiali di cospicui quantitativi di scarcelle destinate alle famiglie bisognose. Inoltre abbiamo aderito all’iniziativa di Kyma Mobilità, la notte di Giovedì Santo, per far assistere sulla motonave Clodia all’uscita dell’Addolorata da San Domenico. In tale circostanza è stata prevista la degustazione dellele specialità tipiche, accompagnate da buon vino di un’azienda locale. Ma è ovvio che tutto ciò non è assolutamente sufficiente per la difesa delle nostre produzioni. Vedremo cosa accadrà nella prossima Giornata nazionale del pane, in cui lanceremo l’allarme per la crescente chiusura dei nostri panifici”.
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