“10 / 8 / 93 / Caro Aldo, sono in partenza per Ostrava, dove realizzerò una scultura per la città. / Faccio appena in tempo a spedirti la copertina per Brignetti che ho sul tavolo pronta da giorni. È nel formato che mi hai detto e va stampata tutta in blu, chiaro e scuro, come la n. 4 del disegno piccolo. / Ti invierò in seguito la testimonianza per Antonio, quantunque a freddo e di proposito mi sento un po’ impacciato. / Ho ricevuto i due ultimi libri editi dal Gruppo Taranto e mi sembra superfluo dirti quanto trovi valida l’iniziativa nella continuità del tuo lavoro e del tuo impegno. (…)” Così l’inizio di una delle lettere di Nicola Carrino, inviatami per la pubblicazione di un libro per la conclusione della manifestazione in ricordo di Raffaello Brignetti che conteneva alcuni testi dei migliori brignettologi italiani. La copertina, uno dei suoi più efficaci lavori artistici. Nicola Carrino ed io abbiamo avuto una lunga e rispettosa amicizia, tramutatasi spesso in una collaborazione orientata a portare a Taranto momenti di prima qualità, e a recarli nel resto d’Italia con ottimi risultati. Non era la prima volta che ci dava una mano. In alcune attività dell’Associazione Culturale Gruppo Taranto (che avevamo fondato nel 1976 e che ha compiuto quarantasei anni) il suo apporto ci è stato determinante. Nel 1978 preparavamo una manifestazione letteraria – ed una mostra - in ricordo di Raffaello Brignetti, scomparso da poco. Lo scrittore elbano, grande scrittore di mare (vincitore del Premio Viareggio 1967 con Il gabbiano azzurro e del Premio Strega 1971 con La spiaggia d’oro), aveva vinto due volte il Premio Taranto (1949 e poi 1952) ed aveva dichiarato che proprio quelle vittorie lo avevano incoraggiato a proseguire la sua carriera di scrittore. Brignetti era divenuto amico di Taranto, fraterno amico di Antonio Rizzo e “paterno”, diciamo così, verso di me, e con lui sua moglie Ambretta. Cucimmo un convegno di due giorni (intitolato Linea Brignetti), con i maggiori amici del suo mondo intellettuale, i suoi colleghi celebri, come per esempio Carlo Laurenzi. Il Corriere del Giorno ci sponsorizzò, come si dice oggi, e nel grande e affollato salone della Provincia avemmo anche l’onore della presenza della vedova, la carissima Ambretta, accompagnata in quei giorni dal Prefetto in persona. Carlo Laurenzi, Franco Fano, Piero Turchetti, Gianni Eugenio Viola, Aldo Perrone e Guido Lopez; Giovanni Garofalo presiedette il Convegno; Adolfo Oxilia, Sergio Saviane, Elio Filippo Accrocca, Teresa Carpinteri inviarono i loro contributi. Un successone, riportato anche da settimanali del settore. Ci fu un regalo: Nicola volle trasformare il manifesto d’arte in una serie litografica. Con la loro vendita coprimmo interamente le spese. La medesima cosa avvenne nel 1984, quando riportammo la figura quasi dimenticata di Vito Forleo all’attenzione della nostra città, pubblicando per la prima volta i suoi Poemetti Municipali: per un anno Taranto si dedicò a questo libro. Era anche una forma per ricordare Antonio Rizzo (scomparso due anni prima), che per Forleo aveva una (giusta) venerazione. Anche Nicola era fra gli estimatori di Forleo e, per consentirci sia di pubblicizzare il libro sia per aiutarci, produsse cinquanta serigrafie dedicate ai Poemetti Municipali di Forleo, che inserimmo nelle prime copie, numerate. Vendute a prezzo consistente non avemmo problemi finanziari. Ancora oggi ricercatori e appassionati citano il libro e ricordano l’evento (vedi Jonio del 4 marzo, per la penna di Daniele Pisani). I meriti tarantini sono tanti, che dicono il suo affetto verso la sua città nonostante vivesse da anni a Roma. Vorrei qui accennare ai suoi valori: le sue opere sono in numerosi musei d’arte contemporanea in Europa e in altre prestigiose parti del mondo. A cominciare dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, passiamo al Neues Museum für Moderne Kunst di Norimberga, poi al Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea di Torino, quindi alla Sammlung Dierichs della Ruhr-Universitat di Bochum, al Museum Boymans Van Beuningen di Rotterdam, al Tel Aviv Museum of Art. Quanto ai prestigiosi premi assegnatigli accenno almeno a quello di Termoli del 1963, di Napoli nel 1966 (alla Rassegna d’arte del Mezzogiorno), al premio internazionale di San Paolo del Brasile, nel 1971. Numerose le sue presenze a fondamentali mostre internazionali, come alla Zwoelf Italienische Bildhauer (Kunstverein) Amburgo, nel 1969. Le quattro volte alla Biennale di Venezia, 1966, 70, 76, 86. Poi alla Quadriennale di Roma, 1965, 73, 86; oltre le numerose mostre personali all’Italia e all’estero. E nella sua città natale, proprio nel 1979. E va ricordata la sua presenza come membro dell’Accademia di San Luca, Roma; inoltre fu presidente per un biennio. Uno scherzoso proverbio attribuisce a San Cataldo, e quindi ai tarantini, un simpatico difetto: non ama i suoi ma adora i forestieri. Il detto nasconde la probabile verità che si chiama provincialismo. Oggi Nicola Carrino si è visto messo in discussione per la sua opera artistica che rappresenta la “sua” Piazza Fontana. Fu, come tutti sanno, un intervento di scultura e architettura insieme, una nuova ri-proposizione di quel luogo che nel Cinquecento aveva visto la celebre Fontana di Carlo V, poi incivilmente abbattuta dal furore antiborbonico, all’atto dell’Unificazione, e nell’Ottocento sostituita da un obbrobrio semi/cementizio, simile ad altre fontane nate d’improvviso in mezz’Italia per soddisfare le voraci amministrazioni comunali dell’epoca. Quello che conta è l’insieme della creazione fatta da Carrino, che ha al centro i suoi splendidi fascioni di acciaio, che non sono un servilismo verso la fabbrica tarantina: al contrario, propongono la capacità artistica dell’acciaio in opposizione al suo utilizzo a tutti i costi. Altri suoi interventi consimili vissero in altri luoghi, in precedenza. Io, per vero, non avrei veduto proprio l’utilizzo di quel falso artistico che è la fontana cementizia di nessun valore; ma questo è un mio parere, che già consegnai in un incontro pubblico, presente Nicola. Il fatto centrale però è che questa è un’opera d’arte di un artista non da poco, e come tale non deve essere né toccata né ristrutturata, ma semmai ripulita e curata. Con tante piazze orribili in città, aggredite da ridicoli cavallucci – marini e non - in cemento et similia, che meriterebbero davvero un serio ripristino, si è pensato proprio di toccare il lavoro d’arte di Nicola Carrino. È certamente la musica del San Cataldo che ama i forestieri e, se c’è qualcuno bravo dei suoi tarantini li vuole mettere da parte. Forse se Piazza Fontana l’avesse ri-fatta un non tarantino nessuno avrebbe pensato a… ritoccarla. Non c’è che da rivolgersi alla con-patrona di Taranto, che lasci stare la piazza Fontana com’è, Immacolata, e rispetti l’artista Nicola Carrino. Al quale semmai il Comune potrebbe dedicare una mostra che parta dall’attenzione che gli dette Giulio Carlo Argan e riepiloghi i suoi meriti.
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