In questo spazio vi proponiamo gli appunti di viaggio di una tarantina all’estero, Anna Raisa Favale, checontinua il suo racconto dalle Filippine. Era settembre, e io avevo appena comprato il volo per venire nelle Filippine. Mancavano pochi giorni alla partenza e iniziarono ad arrivare una serie di messaggi estremamente allarmanti, di familiari e amici, che avevano sentito di un tifone dalla grande forza abbattutosi su alcune delle isole, ed erano preoccupati per la mia partenza. Ottobre, Novembre e Dicembre sono infatti considerati mesi ad alto rischio, nel paese asiatico, per tifoni ed altre calamità naturali. Così controllai le notizie – il tifone si era abbattuto su di un’isola molto distante da quella su cui sarei dovuta andare – mandai alcuni messaggi di rassicurazione ai miei amici, e dopo una settimana presi il volo per venire da questa parte di mondo, sperando che quei primi mesi sarebbero stati tranquilli. Il mio primo mese l’ho trascorso in un convento lontano da tutto, sull’isola di Cebu, per un periodo di raccoglimento e spiritualità. L’anno scorso, il 17 Dicembre, quello stesso convento era stato semidistrutto dal tifone Odette, un tifone forza 5, abbattutosi sull’isola di Cebu, e che che aveva registrato raffiche fino a 240 chilometri orari, causando circa un centinaio di morti, tantissimi feriti, e una serie di danni che ancora adesso, un anno dopo, non avevano trovato completa riparazione. Il Convento era ancora in parte in macerie: il tetto della grande chiesa era stato spazzato via, insieme alle porte e alcuni dei muri laterali. Molti degli spazi comuni, come la lavanderia, la libreria, o anche alcuni degli spazi per i bimbi, erano totalmente irriconoscibili: una serie di pezzi scomposti la cui forma iniziale era stata irrimediabilmente perduta. Era stato un miracolo che tutte le suore fossero sopravvissute - al contrario di alcuni uomini, donne e bambini della comunità vicina, rimasti sepolti tra le macerie di case di lamiera - e che avessero trovato, pian piano, le risorse per ricostruire. Mi avevano detto che tifoni come quello, forza 5, ne capitano uno ogni venticinque anni circa, e che era stato già estremamente raro che si fosse abbattuto in quella zona, ma col cambiamento climatico e la trasformazione drastica di anno in anno del clima, la verità è che nessuno lo sa veramente mai, cosa succede. L’anno scorso, per esempio, il tifone era stato così veloce ed imprevedibile, che finanche gli esperti meteorologi, pur avendo osservato decine di anni di tifoni nelle aree asiatiche, si erano fatti cogliere impreparati, e fino a pochissime ore prima continuavano a rassicurare che non ci fosse nessun grande pericolo, senza mettere In guardia e chiedere di evacuare le aree a rischio. I primi giorni in cui ero lì, camminando per le macerie del convento, mi chiedevo come dovesse essere vivere in un paese dove si è costantemente a rischio. Come dovesse essere crescere in un mondo dove si è perfettamente consapevoli che ogni giorno potresti perdere tutto, e che passerai comunque un tempo consistente della tua vita a ricostruire, dopo che qualcosa ha distrutto quello che ci avevi messo anni a creare, già, dal niente. I primi giorni pensavo: “Forse a me non verrebbe neanche la voglia di ricostruire sempre..”. Eppure, ho imparato, è la dignità della vita. Parlando con la gente, qui, la prospettiva sorprende: è una prospettiva che forse, venendo dall’europa e da una zona climatica estremamente dolce, temperata e decisamente per niente pericolosa, non possiamo capire. “Questa volta è toccato a voi” – dicevano – “la prossima toccherà a noi”. Ma non è semplice rassegnazione. E’ qualcosa in più. E’ la consapevolezza che tutto passa, tutto si distrugge e tutto si ricrea, e che questo è il mondo in cui viviamo: un mondo non perfetto, un mondo fragile, distruttibile, eppure ricostruibile sempre, dove il presente è l’unico tempo che conti. Qui, un po’ come anche in Africa, il presente è l’unico momento in cui si vive. Del futuro non c’è solo la preoccupazione, ma non ce n’è neanche la considerazione. Ogni cosa viva è talmente fragile e precaria, che l’unica grazia che si chiede è quella di essere vivi nell’oggi. Poi domani penseremo al domani. E’ una mentalità che qui applicano anche ai progetti, al lavoro, a quello che permette di mangiare oggi e poi domani chi lo sa. A Gennaio ero su un’altra isola, molto più piccola e più interna, che solo raramente viene toccata da tifoni e comunque mai, almeno fino ad ora, di quella forza; ma in altre isole delle Filippine, anche a Gennaio c’è stato chi ha perso la casa, di nuovo, magari per l’ennesima volta, e che adesso è impegnato nella ricostruzione. Trascorrere qualche tempo da questa parte del mondo mi ha insegnato tante cose, e una delle più importanti è che tutto si può fare nuovo. E che quasi sicuramente, prima o poi, qualcosa sarà distrutto. Che non è tanto che le cose non sono per sempre, ma è che le cose cambiano costantemente, un principio epicureo a cui a volte pensiamo di essere indenni, ma che in realtà tocca tutto della vita, indipendentemente dalla zona del mondo in cui abitiamo, nelle dinamiche umane del vivere, che non sono mai perfette, né tantomeno immutabili. Mi ha insegnato che invece di vivere nell’ansia per la preoccupazione di quello che sarà distrutto, forse anche domani, è importante spendere il tempo dell’oggi nella gratitudine per l’oggi, e nella consapevolezza serena che le cose cambieranno, irrimediabilmente, ma che è la vita, e che insieme a quella distruzione porterà con sé anche tanta purissima, sconvolgente bellezza, quella della quale qui si è circondati e davanti alla quale non si può fare a meno di commuoversi. Che a volte il vento è una presenza invisibile che neanche si percepisce, come nelle giornate di sole perfettamente calme in cui l’acqua del mare qui è immobile e cristallina, e che a volte lo stesso vento può sconvolgere la vita e fare male. Ma ci sarà sempre tempo e modo per ricostruire, e forse le cose le si farà più belle, solide, sorprendenti. E che fin quando siamo vivi va bene così, e che ogni giorno ha un’alba e un tramonto - anche questi momenti che ho imparato a contemplare soprattutto da qui - ormai per ogni giorno mi sono abituata a vederne almeno uno, e ad abituarmi all’idea che il sole sorge sempre, e sempre tramonta, e che l’unico sempre vero dono è essere in grado di viverlo.
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