Nel carcere di via Magli introducevano droga, telefonini e schede telefoniche: sono scattate quattordici condanne. La sentenza è stata emessa dal gup del Tribunale di Taranto con il rito abbreviato. Nove anni e quattro mesi per Angelo Soloperto; nove anni e tre mesi per Francesco Soloperto; quattro anni e cinque mesi per Sergio Soloperto; otto anni per Benedetto Bonamico; nove anni e quattro mesi per Cataldo La Neve; nove anni per Giuseppe La Neve; tre anni e quattro mesi per Gaetano Galante; due anni e undici mesi per Giuseppe Motolese; due anni e due mesi per Tommaso Pirrazzo. Invece in continuazione con altra sentenza per fatti analoghi Alfonso Greco è stato condannato a nove anni e quattro mesi; Antonio Greco a nove anni e tre mesi; Giuseppe Greco a otto anni. Altri due imputati sono stati condannati a sei mesi di arresto. C.B., difeso dall’avvocato Marino Galeandro, è stato assolto per non aver commessto il fatto. Assolto anche A. M. perchè il fatto non costituisce reato. Nel collegio di difesa, tra gli altri, figurano gli avvocati Salvatore Maggio, Fabrizio Lamanna, Gaetano Vitale, Andrea Silvestre, Luigi Danucci , Nicola Cervellera e Biagio Leuzzi. Nelle indagini sfociate lo scorso anno in nove arresti scoperto un complesso meccanismo di comunicazione tra l’interno e l’esterno del carcere messo in piedi grazie alla complicità di un agente della polizia penitenziaria. Registi delle operazioni nomi di spicco della criminalità tarantina. L’organizzazione è stata smantellata grazie al blitz condotto dalla Polizia di stato nella notte tra il 15 e il 16 febbraio dello scorso anno. L’assistente capo della Polizia Penitenziaria imputato nel processo era già stato arrestato in flagranza di reato il 29 gennaio del 2021. In quella circostanza era emerso dalle indagini che l’assistente capo avrebbe ritirato dall’abitazione di un pregiudicato un pacco contenente una confezione di cioccolato in polvere e una di crema, all’interno dei quali sarebbero stati nascosti “verosimilmente” telefonini cellulari e sostanze stupefacenti da introdurre all’interno del carcere. Secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, in quella occasione il poliziotto avrebbe ricevuto in cambio un compenso di 500 euro. La macchina organizzativa era molto ben strutturata: ognuno aveva un ruolo definito e a guidarla erano personaggi di un certo spessore criminale. Ma come funzionava questo sistema che consentiva spaccio di droga tra i detenuti e l’introduzione di telefonini per consentire ai pregiudicati di comunicare con l’esterno? L’attività investigativa ha documentato almeno cinque consegne di pacchi. Gli ideatori del sistema, sempre secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, erano in grado, anche grazie all’uso dei telefonini che riuscivano a farsi consegnare illecitamente, di impartire precise disposizioni ad altri pregiudicati in libertà per la raccolta, il confezionamento e le modalità di consegna della droga e degli apparecchi cellulari. Gli stessi detenuti sarebbero stati in grado di individuare, sempre all’interno del carcere, gli acquirenti a cui cedere le sostanze stupefacenti, gli apparecchi telefonici e le schede telefoniche. In cambio ottenevano guadagni attraverso ricariche “Postepay”. Nei “pacchi” consegnati in carcere, la droga (cocaina, marijuana, hashish, convenzionalmente chiamate “la verde”, “borotalco”, “fumo”, “panino”, “filone” “erba”), le schede telefoniche e i micro telefoni cellulari venivano nascosti, come detto, all’interno di scatole di cioccolato in polvere, creme e pennarelli.
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