La storia di Luigi, chef a Boracay nelle Filippine
posto unico, situato nello stesso complesso dove con la moglie
Luigi ha messo su anche un piccolo hotel, dal nome omonimo, e
dove hanno casa loro. La sua storia
sembra quella di un libro: arrivato
qui quando non c’erano neanche le
strade e si circolava nell’isola solo
con barche o piccole jeep aperte
sovraffollate di persone e animali,
Luigi si è innamorato presto della bellezza di quest’isola, e della
donna che poi è diventata sua moglie, filippina anche lei. Originario di Roma, ha viaggiato per anni
prima di fermarsi, lavorando come
chef in diversi posti del mondo.
Poi a Boracay ha deciso di mettere radici. Lanterna è come stare a
casa. Si entra in un mondo. Sei un
o
In questo spazio vi proponiamo gli appunti di viaggio di una tarantina all’estero, Anna Raisa Favale, che continua il suo racconto dalle Filippine. Ho vissuto per anni in USA e pensavo che il cibo italiano fosse molto costoso. Adesso che sono venuta in Asia, il cibo italiano in America mi appare un miraggio: qui è anche più costoso e difficile trovarlo. Siamo a Boracay, nelle Filippine. Un’isola da sogno, che negli ultimi 15 anni ha avuto un’esplosione turistica unica ed è ormai meta di coppie, amici, famiglie e gente che vuole cambiare vita: Boracay è quindi un posto di internazionali e locali. L’offerta di cibo è perciò molto varia: asiatica ovviamente – cinese, coreana, thailandese, giapponese – ma anche messicana, statunitense, perfino tedesca e grazie a Dio, anche qualcosa di Italiano. Non sono tantissimi, i ristoranti italiani, ma ce ne sono alcuni: su White Beach, 4 chilometri di spiaggia lunga e bianca nella zona più turistica di Boracay, ce ne sono almeno due che ti fanno viaggiare a casa appena ordini qualcosa: uno si chiama Da Giuseppe, e l’altro si chiama Aria. All’interno di DMall, una mall a cielo aperto sulla spiaggia, probabilmente il luogo più turistico di tutta Boracay, Aria ha il fronte mare e porta alta la tradizione del cibo italiano. I due soci arrivarono sull’isola 35 anni fa, quando c’era davvero ancora poco, e bufali - mi hanno raccontato - passeggiavano in spiaggia, che si chiamava “white, bianca”, perché davvero era bianchissima e non la si poteva guardare senza occhiali da sole. Oggi la spiaggia è beige, potremmo dire, e i bufali si sono ritirati nell’interno dell’isola, sulle montagne, ma resta ancora una spiaggia paradisiaca su cui passeggiare, guardare tramonti e mangiare una buona pizza napoletana vera, con mozzarella e salumi importati, e cotta al forno a legna con lievitazione naturale. Se vuoi farti un piatto di pasta a casa, invece, devi andare al supermercato – sull’isola ce ne sono pochi forniti – e sperare di trovare qualcosa di rimasto tra il piccolo reparto “food from the world, cibo dal mondo”, dove forse trovi un pelato vero, senza aggiunta di aglio, zuccheri o basilico, e a prezzi comunque incredibilmente alti. Alla fine ci rinunci. Devo dire che non si comprenda mai fino in fondo la fortuna di avere cibo italiano tutti i giorni fin quando non si vive in posti lontani del mondo per mesi o anni. Di altri posti ce ne sono, meno turistici e più nascosti agli occhi dei più, in strade interne vicino spiagge meno affollate che di italiano non hanno solo il cibo, ma anche l’ospitalità e il modo di servire: è il caso di Lanterna, per esempio, il ristorante di Luigi Barbolla, che è anche lo chef di Aria. E’ un posto unico, situato nello stesso complesso dove con la moglie Luigi ha messo su anche un piccolo hotel, dal nome omonimo, e dove hanno casa loro. La sua storia sembra quella di un libro: arrivato qui quando non c’erano neanche le strade e si circolava nell’isola solo con barche o piccole jeep aperte sovraffollate di persone e animali, Luigi si è innamorato presto della bellezza di quest’isola, e della donna che poi è diventata sua moglie, filippina anche lei. Originario di Roma, ha viaggiato per anni prima di fermarsi, lavorando come chef in diversi posti del mondo. Poi a Boracay ha deciso di mettere radici. Lanterna è come stare a casa. Si entra in un mondo. Sei un ospite, non un cliente. Si cena sotto un portico che ricorda i nostri portici italiani, se non fosse per la paglia che lo colora di filippino e di spiaggia, in mezzo a un giardino rigoglioso di banane e palme, e si può stare lì per ore - nessuno ti caccerà mai via - a mangiare, bere, chiacchierare, proprio come si farebbe le sere d’estate a casa di amici giù da noi. E i Filippini si adattano perfettamente a questo modo di vivere e di condividere, perché è un po’ anche il loro, gente ospitale nel sangue, capace di godersi le cose della vita, le piccole soprattutto. All’inizio, mi dice Luigi, c’erano pochi piatti e un menu che cambiava tutti i giorni a seconda di quello che trovava di fresco. Non c’erano neanche prezzi fissi, e ogni sera diceva: “Prima mangiate, poi se vi è piaciuto pagate, senza obbligo”. Che non avessero pagato non è successo mai, perché la cucina è italiana vera e la qualità è alta, ma è soprattutto il suo spirito, che ti allieta la cena. Un accento romano fortissimo che non ha mai perso, il suo essere zingaro nel cuore ancora adesso, nonostante sia fisicamente molto più in un solo posto, e abbia una moglie e una figlia - che però è come lui, dice, zingara anche lei. Ecco, quando l’Italia mi manca e voglio sentirmi a casa, chiacchierare con qualche nuovo amico o regalarmi delle ore di piacevolezza e buon cibo, vado da Luigi, a Lanterna. Perché il cibo non è solo palato, ma è anche ricordi, sensazioni, un modo di scandire il tempo e delle relazioni, di ritrovarsi insieme, di farsi un regalo. Un modo tutto italiano, e in particolare del Sud, che ci portiamo dentro e che ci piace replicare ovunque siamo. Per il resto, a casa, cucino riso bianco, verdura e tanta frutta. Sicuramente vivere all’estero ti obbliga a cambiare l’alimentazione ed adattarti ad altri gusti e sapori. Se non sei italiano ti costerà molto meno, e con grande campanilismo, direi, se non sei pugliese ancora meno. Che come non sognare i prodotti caseari freschi delle masserie, il nostro pesce dal sapore del mediterraneo a costi bassi e qualità elevata, i profumi delle nostre erbe, la verdura del contadino sotto casa appena colta e a pochi euro. Il cibo italiano resta ancora una grande nostalgia, nel resto del mondo, e un grande orgoglio tutto nostro. Che al palato manca. Senza dubbio. Ed anche al cuore.
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