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Le testimonianze dei giovani della comunità “Emmanuel”

Le testimonianze dei giovani della comunità “Emmanuel”

Le testimonianze dei giovani della comunità “Emmanuel”

Al centro di bassa soglia della comunità “Emmanuel” in via Pupino gli ospiti della comunità di recupero di Marina di Ginosa hanno festeggiato il Natale fra fette di panettone, “sanacchiùdele” e bevande. Il momento conviviale ha fornito l’opportunità per un consuntivo del cammino in corso con la psicologa - psicoterapeuta del centro, dott.ssa Isabella D’Ambrosio, e con la responsabile del centro, dott.ssa Maria Anna Carelli, al quale siamo stati invitati a partecipare, sia pure per qualche momento. Fra gli ospiti della comunità di Marina di Ginosa, anche chi per tanti anni elemosinava spiccioli per la dose e che ora sta cercando faticosamente (è ancora agli inizi) di riprendere la sua dignità di uomo. “I giovani qui presenti oggi si ritrovano al posto dove sono stati accolti con le loro particolari situazioni e hanno potuto iniziare il cammino di recupero - ha premesso la dott.ssa D’Ambrosio - C’è chi è stato accompagnato dai propri genitori, chi dalla moglie, chi è venuto da solo, chi veniva dalla strada, c’è chi frequentava il centro solo per il servizio doccia e il cambio di vestiti ed è stata l’occasione in cui è emerso il proprio disagio. Ci sono delle persone che provengono da stati di malessere di vario genere e di gravi patologie sanitarie e che attraverso l’approccio con noi è stato possibile guidare al Serd (Servizio per le dipendenze), l’ente pubblico che si occupa della cura di queste problematiche, maturando talvolta la richiesta di approdare in comunità”. “Il percorso per il completo recupero è alquanto lungo - aggiunge - in quanto non basta la disintossicazione ma è necessario guarire quelle ferite emozionali, che possono essere le più svariate, alla base della dipendenza. E’ anche indispensabile intervenire sul tessuto familiare, tant’è che nella struttura in via Pupino disponiamo anche di una scuola per i genitori, che sono così impegnati in un percorso parallelo di accompagnamento e sostegno dei loro ragazzi. Questo, anche in preparazione alle brevi permanenze del giovane a casa, in periodi al di là delle festività. E’ chiaro che al rientro in comunità ogni volta effettuiamo dei test psicologici per verificare la buona riuscita del temporaneo reinserimento”. Ecco quindi alcune testimonianze degli ospiti dell’”Emmanuel”. “Ho sessant’anni - afferma Pierpaolo – e sono arrivato qui circa quattro anni fa, su sollecitazione di una sociologa del Serd. Ero in una situazione di grande difficoltà sotto tutti i punti di vista (economico, emotivo, lavorativo ecc.) Insomma, ero proprio a terra, anche se avevo cominciato ad allontanarmi dall’uso della droga. Non avevo più la forza di rialzarmi. Poi mi è giunto, impensabilmente, un ordine di carcerazione in conseguenza della revoca di un vecchio affidamento e paradossalmente questo è stata la mia salvezza. Ciò infatti mi ha dato la possibilità, una volta in carcere, di riprendere le forze e di avviare i contatti con il centro di bassa soglia. Sono tornato in libertà nel gennaio 2020 ed ho subito iniziato a frequentare la struttura di via Pupino, chiedendo aiuto. Con l’aiuto degli operatori e con un certo sforzo di volontà oggi ritengo di aver raggiunto un certo equilibrio. Certo, non sono guarito completamente ma quanto meno riesco a vivere decentemente, anche se non sono mancati i momenti difficili. Un giorno l’Abfo, mi ha segnalato per il premio ”Diffusori di bellezza” dell’associazione “Giorgio Di Ponzio”, che poi mi è stato assegnato. Alla cerimonia di premiazione ho invitato tutte le persone che mi hanno voluto bene ed è stata una serata bellissima. Da quel momento le cose sono cominciate a migliorare. Però, ripeto, sono sempre in cammino, ho sempre da imparare, cercando di restituire quello che ho avuto”. “Devo l’avvio del mio cammino di recupero ad Emanuele Cardone e Vincenzo Abbracciavento, operatori del centro – racconta Aldo, emozionato per il prossimo ritorno a casa, sia pure per un paio di giorni - A un certo punto della mia vita stavo così male da essere ricoverato in ospedale e loro mi hanno convinto che era il caso di smetterla con la droga. Così, dopo il ritorno a casa, ho deciso di andare in comunità. Ed è stata la mia salvezza. Stavo conducendo un’esistenza davvero brutta, facevo uso di eroina sin da quando avevo dodici anni (ora ne ho quarantasei). Non ce la facevo più ad andare avanti in quelle condizioni. Sulla mia decisione ha influito anche la morte di mamma, che mi spingeva ripetutamente ad andare in comunità. Le dicevo sempre di sì e sono passati trent’anni. Al momento della scomparsa, tre anni fa, ho avvertito fortemente il rimorso e ho iniziato a pensare seriamente di cambiare vita. Ora l‘ho fatta finalmente contenta, anche se non è più con me. Adesso ho trovato pace e tranquillità e ogni giorno, quando mi guardo allo specchio, resto incredulo davanti al mio nuovo aspetto e mi chiedo: “Ma sono proprio io quello?”. Mi sento voluto bene, grazie ai volontari e agli operatori che mi sostengono. Qui ognuno di noi ha il suo il compito, io rassetto la mia camera e mi occupo delle pulizie. Quando vado a letto mi sento tranquillo, prego e ringrazio ogni volta mia madre che dal Cielo ha intercesso per me. Entrando in comunità ho fatto felice tanta gente che mi ha sempre voluto bene, in particolare mia sorella, che mi ha protetto, facendomi quasi da mamma”. “Quelle volte che torno a camminare per le vie del centro – conclude Aldo - guardo persone e luoghi con occhi diversi da quando elemosinavo i soldi per la droga. La gente si sofferma a guardarmi, incredula, chiedendosi se sono veramente io ‘quella’ persona e mi coglie l’ansia al pensiero che ci vorrebbe un niente a tornare a essere quello che ero. Ma subito mi sento meglio al pensiero di tutti coloro che mi vogliono bene e che avrebbero grande dolore se li deludessi. Lo devo a tutti gli operatori del centro che non smetteranno mai di aiutarmi”. “Nonostante non facessi mancare nulla a mia moglie e ai miei due bambini – conclude Alessandro - non riuscivo a dar loro un po’ di affetto. Gli operatori del Serd mi hanno aiutato a comprendere le mie fragilità, consigliandomi il cammino alla ‘Emmanuel’. E’ stata la decisione migliore! Grazie soprattutto all’aiuto della dott. ssa D’Ambrosio ho potuto apprezzare quelle tante piccole cose che davo per scontate e rivalutare il dono della mia famiglia. Adesso non vedo l’ora di riabbracciare i miei bambini, che avranno così un papà migliore”.  
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