Cerca

Cerca

«Vi racconto la mia vita da... Laguna blu»

La storia di Elena: da Milano alle Filippine

La storia di Elena: da Milano alle Filippine

In questo spazio vi proponiamo gli appunti di viaggio di una tarantina all’estero, Anna Raisa Favale. Come la scorsa settimana è nelle Filippine. “Ciao, ben arrivata! Vieni che ti offro un bicchiere di vino!” Così mi ha accolto per la prima volta a casa sua Elena: sorriso, occhi verdi e pelle abbronzata dal sole, l’accento milanese ma una vita in bikini – almeno in parte – da quando da Milano ha deciso di lasciare tacchi a spillo e tailleur, e trasferirsi nelle Filippine, circa 12 anni fa. Dovevo essere dall’altra parte del mondo a quest’ora. Poi, per circostanze assurde e provvidenziali, in un periodo non facile della mia vita, mi sono ritrovata anch’io in questo posto sperduto della terra – bello come pochi altri, e in qualche modo magnete, sto scoprendo, per tanti che vogliono cambiare vita. Elena l’ho conosciuta tramite un’amica. Saputo che stavo progettando di passare qualche tempo qui, ci ha messo in contatto. Elena è una moglie – Nonoy, suo marito, è Filippino – e madre di due bellissimi figli. Ma è anche una “business woman” e una donna dalla forza grande, capace di reinventarsi la vita, con un passato in banca e un presente di piccoli e grandi progetti che costruisce passo dopo passo, con suo marito e con la sua famiglia. A seguito di un lutto importante e della stanchezza di una vita che non le dava più quello che cercava, 12 anni fa prese un volo per l’Asia. Le Filippine dovevano essere solo di passaggio – la meta finale era il Vietnam dove con un’amica voleva gestire un ristorante – ma come spesso succede, la vita ha deciso per lei: a Boracay si è innamorata, e il resto è storia. Con Nonoy ha messo su diversi progetti imprenditoriali negli anni: la costruzione e la gestione di appartamenti che poi hanno in parte ri-venduto o affittato, aperto attività, diving centers, adottato decine di animali e aiutato un centro rescue per cani di strada. Ora hanno lasciato da poco Boracay, per trasferirsi altrove, in città, più adatta ai bisogni dei figli che crescono. In Elena vedo tutta quell’ italianità bella, forte, testarda e pratica, ma anche dalle visioni grandi e capace di sognare che in parte ci abita. Quel pensare sempre in positivo, quella forza di improvvisazione e di rinascita che ci portiamo dentro nel DNA, non importa dove nel mondo. In Elena vedo tutto quell’amore delle donne che non smettono di credere nella vita anche quando la vita pare smetta di credere in noi. Quel continuare a dare, perché sappiamo di potere, quel continuare a credere perché sappiamo di valere. La testardaggine e la maturità di chi odia, per esempio, andare a piedi scalzi in casa – in un paese dove paradossalmente di dovere le scarpe si lasciano sull’uscio della porta – e che pure si è adattata a tutto, a queste cose piccole, certo, ma anche alle grandi, che non sempre le sono piaciute e le sono andate bene, intorno alle quali, tuttavia, ha saputo costruire una vita della quale fosse orgogliosa. La flessibilità delle donne del Sud – ma anche del Nord e di tutto il mondo, forse, perché alla fine le donne sono tutte donne, a qualsiasi latitudine, di chi “sa farsi acqua”, come diceva mia nonna. “Ti devi fare acqua, se vuoi vivere, io mi sono fatta acqua!” Dopo pochi giorni qui, mi ha portato a vedere una casa, su un’altra isola molto più selvaggia, che ora affittano. Li hanno vissuto per i primi anni con la prima figlia di pochi mesi, e incinta del secondo figlio. Una vita decisamente radicale, da “Laguna Blu”, per chi abbia visto il film. Un’isola che all’epoca non aveva neanche una strada asfaltata per arrivare in spiaggia, e ci si muoveva solo con la barca o camminando nella giungla. Come si fa a passare dalla City, a questo? Ci si potrebbe chiedere. Ma forse, quello che davvero dovremmo chiederci, é: “cosa ci fa pensare che non lo si possa fare?” Sì, bisognerà mettersi in gioco, fare cose mai fatte, sfidarsi, sicuramente. Ma come dice un detto molto saggio: “Se vuoi qualcosa che non hai mai avuto, devi essere disposto a fare qualcosa che non hai mai fatto”. Allora forse la domanda da porsi non è: “Come si fa?” ma più che altro: “Cosa voglio e chi sono?” Perché è la forza della motivazione che guiderà le scelte e le azioni, e la determinazione nuova che ci metteremo dentro, sarà direttamente proporzionale alla forza con la quale risponderemo a questa domanda. Elena voleva essere felice, e la sua felicità se l’è venuta a prendere a migliaia di chilometri dal posto dov’è nata. Non è per tutti così, c’è chi la felicità la trova appena fuori dalla porta di casa e va benissimo, perché credo fermamente che il proprio posto nel mondo sia per ognuno diverso. Ma nessuno mi convincerà mai del fatto che la felicità vera, anche quando potrebbe sembrare facile, solo perché “geograficamente vicina”, non costi niente. La felicità costa sempre lavoro su di sé, superarsi, imparare dal passato, imparare ad amare, soprattutto, se stessi e gli altri, sempre meglio e in modo nuovo. Se non ci si sposta nello spazio, sicuramente ci si sposta almeno dentro, ci si muove nell’interiorità. Vi siete mai chiesti da dove derivi la parola “felice”? Viene dal latino: ”Felix-icis”, e vuol dire “fecondo”. Lungi dall’essere quella “sensazione passeggera di benessere” che una certa modernità vorrebbe farci credere la felicità sia, i Romani sapevano bene che aveva a che fare molto più con “l’essere fecondi”, col “portare frutto”, invece. E nessun frutto si produce senza lavoro. Ecco: nella sua vita nuova, e nella luce dei suoi occhi, del colore delle palme di qui, che cambiano riflessi come cambia la luce del cielo, oltre a certe spigolosità solo di facciata, in Elena c’è un cuore grande, insieme a tutti i frutti che questa nuova nascita le ha regalato. Una voglia di vita, ancora adesso, e di essere “feconda, felice”, che forse è anche più grande della precedente; una donna che percepisci che più viva, e più abbia voglia di farlo, perchè sulla vita ci ha scommesso, e la vita le ha dato ragione. I suoi figli hanno la sua forza, e la calma del papà, dal DNA Filippino. Hanno le ali del parlare 4 lingue, l’essere cresciuti a contatto strettissimo con la natura, e si portano dentro la memoria dell’amore sul quale i loro genitori hanno investito tutto. Che altro volere?  
Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Buonasera24

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Video del giorno

Termini e condizioni

Termini e condizioni

×
Privacy Policy

Privacy Policy

×
Logo Federazione Italiana Liberi Editori