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Militare si ammala per l’uranio impoverito, la sentenza

La nave Vittorio Veneto lascia Taranto

La nave Vittorio Veneto lascia Taranto

Era stato a contatto con l’uranio impoverito negli anni delle missioni nei Balcani. Poi aveva contratto gravi patologie ed oggi ha vinto la sua battaglia legale contro il Ministero della Difesa che non gli aveva riconosciuto la causa di servizio. Il Consiglio di Stato ha infatti accolto l’appello di un ex militare tarantino di 59 anni in servizio per lunghi anni nella Marina Militare, che appunto si era visto negare la dipendenza da causa di servizio delle patologie contratte nel tempo. La sentenza del Consiglio di Stato, che annulla una precedente sentenza del Tar favorevole al Ministero, è stata pubblicata il 24 ottobre scorso. Per il Consiglio di Stato «appare di tutta evidenza che l’Amministrazione (della Difesa, ndr) non ha svolto una debita istruttoria» e «non ha sufficientemente motivato il diniego del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità accertate». Vediamo di ricostruire la storia di questo sfortunato militare, arruolato nella Marina Militare dal 1980 con la qualifica di elettricista e più volte imbarcato dal 1981 al 2003 e ancora dal 2006 al 2007, partecipando anche a missioni all’estero, in particolare in Albania. Nel 2004 gli viene diagnosticato un tumore all’orecchio e dieci anni dopo si ammala di asbestosi, la devastante malattia correlata all’esposizione all’amianto. Nel 2015 viene riformato e viene riconosciuto vittima del dovere. Un anno dopo, un altro colpo mina la salute dell’ormai ex militare: gli viene diagnosticato un melanoma maligno alla gamba sinistra. Imbarcato su varie navi, tra cui l’incrociatore Vittorio Veneto, l’uomo nei giudizi per il riconoscimento della causa di servizio, ha affermato che, «durante il servizio prestato abordo, egli, nella sua qualità di manutentore e conduttore di apparecchiature elettriche, operava manualmente su qualunque tipo di apparecchiatura nei vari locali (angusti, chiusi e scarsamente o per niente provvisti di impianti di ventilazione/estrazione) delle unità navali, usando pitture, diluenti, acidi per batterie, olii minerali per il raffreddamento dei trasformatori elettrici, stagno per saldature ed altre sostanze tossiche e cancerogene», aggiungendo di essere stato, sempre nell’espletamento delle sue mansioni, «costantemente a contatto con materiale contenente amianto». Poi sono arrivate le missioni nei Balcani: prima nel campo base di Durazzo e poi in quello di Valona, in Albania. «Il campo militare ove egli soggiornava durante tali missioni - si legge nella sentenza del Consiglio di Stato - era situato all’interno di una zona ove erano presenti numerose macerie di edifici precedentemente bombardati con proiettili arricchiti con uranio impoverito». Nel ricorso al Consiglio di Stato, l’ex militare - assistito e difeso dall’avvocato Danilo Lorenzo - ha sottolineato come il Tar non abbia «dato alcuna importanza alle condizioni ambientali presenti nei territori» delle missioni e in particolare non ha tenuto conto del rapporto tra patologie tumorali ed esposizione alle nanoparticelle sprigionate dagli ordigni arricchiti con uranio impoverito. Ordigni che, una volta esplosi, hanno liberato nell’aria metalli pesanti altamente cancerogeni (Nichel, Cadmio, Tungsteno) «sotto forma di «poveri sottili e micro-particelle che si depositano sul terreno e nell’acqua contaminando l’ambiente» e persino il cibo. Fondamentale, per l’esito giudiziario, la relazione tecnica eseguita dal dottor Vincenzo Cagnazzo, dalla quale si evince che dall’esame dei tessuti, del sangue e delle urine dell’ex militare, «in alcuni casi si abbiano dei valori che difficilmente possono essere compatibili con i carichi tipici di una persona non esposta a tali metalli pesanti». In alcune circostanze, poi, come rilevato dal Dipartimento di Prevenzione e Sicurezza dell’Ambiente di Lavoro Usl Umbria 2, «il militare era costretto a lavorare in ginocchio, immerso in sostanzea cancerogene, connotate da elevata patogenicità». Il Consiglio di Stato (Sezione Seconda, presidente Oberdan Forlenza, consiglieri Francesco Frigida Cecilia Altavista) ha quindi pienamente riconosciuto le ragioni dell’ex militare, annullando la sentenza del Tar e obbligando l’Amministrazione della Difesa a procedere al riesame dell’istanza del lavoratore «emendando gli atti dai vizi dell’istruttoria e della motivazione» e «tenendo conto, in particolare, degli esiti degli esami bioptici». Storia finita? No, perché anche nei polmoni della moglie dell’uomo sarebbe stata rilevata presenza di amianto e questo aprirebbe un nuovo capitolo sui danni causati anche ai famigliari dei militari, venuti a contatto con gli indumenti dei loro congiunti. Enzo Ferrari Direttore Responsabile
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