Se a Taranto c’è ancora chi vorrebbe demolire la Piazza Fontana di Nicola Carrino, a Bari si sta lavorando all’allestimento di una mostra per ricordare lo scultore tarantino, considerato altrove una delle massime espressioni della scultura contemporanea. Ma, si sa, nemo propheta in patria e per tutelare Carrino e la sua opera a Taranto bisogna davvero faticare. Delle vicissitudini di Piazza Fontana si è parlato venerdì 21 ottobre in un vivace e partecipato dibattito organizzato dal circolo Arci Gagarin. Un incontro reso necessario a causa dalle prime indiscrezioni circolate sul progetto di «restyling» della piazza: rendering che hanno messo in allarme quanti temono che la piazza di Carrino possa essere snaturata. Al confronto non si è sottratto l’assessore ai lavori pubblici Mattia Giorno, il quale ha subito precisato che il progetto lui lo ha ereditato, che deriva dal Piano Isola Madre e che è stato finanziato dal Contratto Istituzionale di Sviluppo per un milione di euro. Di più: si tratta di un appalto di Invitalia e non del Comune. Arrendersi, allora, a quanto già proposto? No. Innanzitutto va detto che dopo le prime preoccupazioni, lo stesso assessore – particolarmente sollecitato dalle critiche affiorate nei mesi scorsi - ha favorito un incontro tra gli autori del progetto e il docente di storia Gianluca Lovreglio. Incontro proficuo che è servito a rendere edotti i progettisti sul contesto storico, sulla genesi di quella piazza e sulla relazione dell’opera di Carrino con l’ambiente urbano nella quale è collocata. Un confronto che è servito a indurre ad una rimodulazione progettuale, della quale, però, non si sa ancora nulla. Solenne la promessa di Giorno: «Se il progetto non ci piace non lo porto in giunta». Se tutto filerà liscio il cantiere sarà aperto nella seconda metà del 2023. Il problema di Piazza Fontana ha una duplice origine: da una parte, la scarsa comprensione dell’opera di Carrino. Un destino parallelo a quello della Concattedrale di Gio Ponti: la città non lo ha compreso e, come se non bastasse, negli anni più recenti, quei moduli in acciaio, caratteristici della ricerca scultorea dell’artista, sono stati marchiati dalle frange più qualunquiste dell’ambientalismo, liquidati come simbolo dei guasti prodotti dalla grande industria: una associazione distorta e superficiale, indicativa di una certa rozzezza culturale della quale una parte di città resta prigioniera. Il secondo aspetto è quello della assenza di tutela legale, perché quell’opera è ancora troppo giovane (proprio quest’anno compie trent’anni): ha meno di 70 anni e quindi non rientra ancora nella categoria dei beni culturali da tutelare ai sensi di legge. Un utile suggerimento lo ha proposto Stefania Castellana, presidente del circolo Arci Gagarin: provare ad ottenere la tutela del diritto d’autore. Si tratta di un’altra strada, prevista dalla legge, per evitare che la piazza-scultura di Carrino venga in qualche modo “sfigurata” da interventi superficiali. Insomma, Nicola Carrino «era mortificato» per l’incuria alla quale la sua piazza era stata abbandonata – come ha ricordato Lorenzo Madaro, docente di storia dell’arte all’Accademia di Brera, il quale ha sottolineato il valore riconosciuto a livello internazionale dell’artista tarantino. E si può immaginare come potesse essere mortificato, considerata la cura e l’attenzione che aveva prestato ad ogni aspetto del suo progetto, come ne ha reso testimonianza l’architetto Mario Carobbi, che della Piazza di Carrino fu direttore dei lavori. Ora non resta che attendere i nuovi risvolti progettuali, nell’auspicio che quella terribile parola, «restyling», non si traduca in una manomissione dell’opera. Sempre nella speranza che in città aumenti la consapevolezza del valore dell’artista e di quella piazza che lo stesso Madaro ha definito «il capolavoro di Carrino». Enzo Ferrari Direttore responsabile
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