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Cimino e la sua frontiera

Da anni la zona Est, lungo la direttrice San Giorgio Jonico, è la nuova frontiera da conquistare a cemento e speculazioni varie. Una città oltremodo dilatata e per questo sempre più ingovernabile ma, nonostante proclami elettorali di ogni parte politica, ancora alle prese con tentativi di espansione e deleterio consumo di suolo. Il primo sfondamento si è avuto con la Rinascente, attuale Conad ex Auchan. Pretesto per una lottizzazione del ‘97, seguita da altri provvedimenti, con a rimorchio alcuni nuovi ettari di cemento e pesanti conseguenze sulle attività commerciali del Borgo. Il secondo, e più preoccupante, è in corso con l’ospedale San Cataldo, vera e propria follia urbanistica, in costruzione a due km dall’ultima edificio della città, testa di ponte mascherata da buoni propositi per vincere le resistenze del passato a cementificare quest’area. Oggi si discute della delibera di suddivisione della sottozona 32 in sei comparti. Si sostiene che non comporta modifiche ai vigenti indici di fabbricabilità e destinazioni del vigente PRG. Ma l’inganno è proprio qui. Mantenere ed aver mantenuto le fuorvianti previsioni urbanistiche del PRG per quest’area. È a tutti noto come lo stesso PRG sia sovradimensionato con una previsione di 365mila abitanti a fronte degli attuali circa 190mila. La politica si è però ben guardata, in questi decenni, di correggere il tiro, ridimensionare le previsioni di espansione e, soprattutto, eliminare quelle a forte impatto ambientale e paesaggistico come per le zone di Cimino, Galeso e non solo. In questo contesto l’operazione della suddivisione della sottozona 32 non costituisce predisposizione per una riqualificazione ambientale e paesaggistica dell’area. Ma per una sua nuova fuorviante manomissione. Magari per l’impattante progetto previsto lungo la dorsale interna per San Giorgio Jonico e comprendente tre alberghi, altre strutture commerciali, residenze, laboratori vari per oltre 32mila mq per il momento bloccato ma, presumibilmente e letto l’intervento del sindaco, solo per il momento. Le ragioni “inconfutabili” attraverso cui tutto giustificare si trovano sempre. Prova ne è il superamento delle decisioni assunte con le delibere di C.C. n. 146 del 2004 e n .146 del 2014. Con la prima l’amministrazione Comunale non “intendeva espandere il costruito oltre quello già costruito in quanto tutta l’azione amministrativa era tesa alla riqualificazione dell’esistente”. Tra l’altro sembrerebbe che la delibera in discussione non sia ancora supportata da documentazione relativa all’acquisizione della proprietà dei terreni da parte dei proponenti e della volontà di intenti da parte delle società che dovrebbero operare all’interno dei capannoni da costruire (Leroy Merlin, Decathlon…). Le improvvidi scelte urbanistiche hanno portato l’edilizia residenziale a ridosso della preesistente zona artigianale e delle piccole imprese di via Speziale e dintorni con i conseguenti problemi di compatibilità. La pur necessaria rigenerazione del luogo può avvenire senza nuove grandi strutture commerciali, optando invece per servizi, spazi e verde ad uso del quartiere. Incrementare l’offerta della grande distribuzione in questa zona implica anche maggiori spostamenti e flussi di auto con conseguente elevamento anche dell’inquinamento atmosferico. Oltre che ulteriormente affossare il commercio del Borgo con negative ripercussioni sul centro città. Per la zona del San Cataldo ci si preoccupa della “cattedrale nel deserto” e non della speculazione edilizia che può’ generare. L’ospedale è un intruso indesiderato in un’area che andava invece salvaguardata a tutti i costi per il suo patrimonio ambientale e paesaggistico. Non a caso tutto intorno è area di parco regionale e S.I.C. (Siti di Interesse Comunitario) e si è nel delicato bacino idrografico del Mar Piccolo. Peraltro il suolo è anche un serbatoio di carbonio dalla grande importanza per mitigare il cambiamento climatico. Il nodo è come impedire che il San Cataldo possa produrre, a cascata, altri guasti in questa zona. Non è ammissibile che da intruso il San Cataldo possa costituire l’elemento dominante a partire da cui ripensare il territorio circostante. Quel che può rimanere aperta è la questione dei laboratori necessariamente annessi alle attività delle cliniche. Mentre sembra fuorviante prevedere alloggi per i fuori sede qui. Gli studenti devono interagire con la città e non relegati in piena campagna. La buona esperienza della facoltà di giurisprudenza in città vecchia dovrebbe pure insegnare qualcosa. Quel che occorre garantire è un efficiente e puntuale trasporto pubblico di collegamento. E’ invece dal piano del parco, espressione propria delle peculiarità dell’area e strumento per lo sviluppo ecosostenibile, che occorre partire per la configurazione di tutto il comprensorio. Ma la giunta Melucci non ha ancora avviato gli adempimenti previsti dalla L.R. n. 30 del 2020 e per questo la Regione potrebbe anche nominare un commissario ad acta in sua sostituzione. Occorre al più presto costi tuire l’ente parco ed elaborare ed approvare il piano del parco che dovrebbe costituire la bussola per qualsiasi progettazione dentro e fuori dello stesso parco. Sul piano giuridico amministrativo fa scuola la precedente vicenda Sircom. La conformità di un piano di lottizzazione di iniziativa privata alle previsioni del PRG non implica un atto dovuto da parte dell’ente comunale. Sia il TAR di Lecce nel 2006 che il Consiglio di Stato nel 2007 hanno sancito la piena discrezionalità del Comune in materia urbanistica in rapporto alle sue necessità ed al prevalere degli enti interessi pubblici. In particolare, è stata riconosciuto come elemento sufficiente il decremento demografico in relazione alle previsioni del PRG. “E’ legittimo il diniego di approvazione di una istanza di lottizzazione, giustificato e motivato sulla base di una mancata crescita demografica, con conseguente ridimensionamento della espansione urbanistica e la scelta di riaggregare e riqualificare l’esistente.” (Consiglio di Stato n. 4829/2007). Si punti al recupero urbano ed alla riqualificazione dell’esistente. Della rigenerazione urbana a partire di nuove colate di cemento non se ne sente proprio il bisogno. Dopo aver cementificato il prolungamento del lungomare non si continui con il Mar Piccolo. Leo Corvace Ambientalista
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