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La città della rinascenza

Angelo Mellone

Angelo Mellone

Sono stati presentati martedì 11 ottobre, nell’ambito del Greenbluedays forum, i “Dialoghi su Taranto”, una serie di proposte per il cambiamento. Gli autori sono i membri del comitato scientifico-culturale del Piano strategico “Taranto futuro prossimo”. Del comitato fanno parte: Caterina Bagnardi, Loreto Gesualdo, Maria Luppino, Salvatore Marzo, Giuseppe Mastronuzzi, Angelo Mellone, Armando Spataro, Angelo Tursi. Oggi ospitiamo il contributo di Angelo Mellone. Taranto è una città, e in generale un territorio, che negli ultimi anni ha subito una “catastrofe della comunicazione” legata al modo in cui è stata raccontata la complessa vicenda dell’acciaio sui media, di massa e social, e alla conseguente rielaborazione dell’immagine di una città che da capitale dell’acciaio si è trasformata via via, nella percezione dell’opinione pubblica, nella città più inquinata d’Europa. Sappiamo bene che oggi la percezione è molto più importante della realtà: il “percepito” conta di più del “reale”, lo sotto-mette. E così è avvenuto nei confronti di un intero territorio. Evidentemente questa rappresentazione falsa, falsificante e in fin dei conti crudele nei confronti di Taranto, ha radicalizzato una situazione e l’ha resa una paradigma che la metrica veloce e isterica dei social media ha velocemente trasformato in immaginario sociale e dunque racconto condiviso. Ne è riprova il fatto che su Taranto funziona, cioè porta ascolti, like e click, la comunicazione di tipo negativo, mentre funziona molto di meno la comunicazione che prova a ribaltare il paradigma catastrofista mettendo in evidenza e dunque provando a raccontare ciò che già adesso nella città racconta bellezza, eco-compatibilità, sostenibilità, qualità della vita e così via. La conseguenza è che la eco chamber della narrazione catastrofista ha invaso qualsiasi spazio comunicativo, diventando una sorta di ideologia che sovrintende alla produzione di qualsiasi contenuto e al giudizio sulle news che arrivano dal territorio, tenendo a drammatizzare oltremodo qualsiasi notizia di taglio negativo e sottovalutare o sottostimare qualsiasi comunicazione di tipo positivo (ad esempio, i dati sulla qualità dell’aria diffusi quotidianamente da Arpa), ritenuta o inattendibile o una manovra per distogliere l’attenzione dai veri problemi della città. Lo stesso lavoro ideologico è stato prodotto, in stile da cancel culture, per costruire una narrazione di condanna totale del passato industriale della città, sottostimando o addirittura considerando una sciagura i dati sullo sviluppo economico e sulla storia di Taranto come principale città di immigrazione dell’intero Meridione dal secondo dopoguerra fino agli anni Ottanta del secolo scorso. Un indicatore preoccupante e poco sottolineato è quello demografico. Nel giro di trent’anni Taranto è passata dal 12esimo al 18esimo posto come città più popolosa d’Italia (superata in generale da città del Nord, sottolineando in questo modo il continuo travaso di popolazione, e dunque di capitale umano, dal Meridione ad altre zone d’Italia), ma nessuno sembra aver mai preso seriamente in considerazione queste cifre, indicatore invece potentissimo di un avvizzimento della speranza sociale di un territorio dove si fanno sempre meno figli e si fanno sempre meno progetti di vita. La battaglia demografica in fondo è questo: non solo fare più figli, secondo anche quanto chiede disperatamente l’Istat, ma impedire che i figli di una terra vadano via per sempre, o perlomeno scelgano se partire o restare, con uguali chance di lavoro, di progetto di vita, di benessere. Ed è il sogno di ogni tarantino consentire ai propri figli, parafrasando Benedetto XVI, il “diritto a non emigrare”. Dunque, Taranto è a un duplice bivio: Il primo, strutturale, è la trasformazione di quella che è stata la più grande città industriale in qualcos’altro che si staglia in un futuro post-industriale dai confini ancora incerti, dove necessariamente dovrà svilupparsi un modello che più volte ho definito “a sommatoria”: economia green, smart town, rigenerazione urbana, nuova edilizia, acciaio ecocompatibile, turismo, cultura, food, portualità. Il secondo bivio è di tipo comunicativo: destrutturare e ribaltare il paradigma catastro fista, che ha portato profitto di immagine o rendita politica a qualche minoranza sulla pelle dell’immagine di una città, e sostituirlo con una nuova sfida narrativa, raccontare una grande città che si candida a ritornare a essere uno dei grandi poli produttivi e di attrazione culturale del Sud Italia e, perché no, dell’intero Mediterraneo. L’orizzonte temporale che porta Taranto alla sfida decisiva dei Giochi del Mediterraneo 2026, dunque, è una specie di ultima chiamata per la città. Una nuova fase comunicativa dopo: la città d’impero (1920-1940); la città dell’arsenale e della Marina (1945-1965); la città dell’acciaio (1965-1991); la città della crisi (1991-2012); la città dell’apocalisse (2012-oggi). Una fase che potremmo chiamare la città della Rinascenza: Rinascenza perché è un territorio che trova una nuova vita. Rinascenza perché è una città che risorge dalla cenere. Rinascenza perché è una comunità che torna a sorridere. Rinascenza perché è un sistema produttivo che non espelle capitale umano ma offre opportunità. Rinascenza perché è un’economia che finalmente si emancipa dalla dipendenza dalle grandi tecnostrutture pubbliche e private e diventa autosufficiente. Rinascenza perché oltre la retorica è una grande storia, un grande passato che tornano a essere decisiva per il racconto del presente. Rinascenza perché la cultura deve espandersi e contaminare un modello di vita sociale. Rinascenza perché una intera provincia ritrova l’orgoglio del suo capoluogo e un senso di appartenenza. Da un punto di vista comunicativo, si tratta di un lavoro enorme. Bisogna dire, però, che oggi la situazione della città, la sua condizione reale e l’autopercezione dei cittadini, è miglio- re rispetto a qualche anno fa. Da un lato le istituzioni pubbliche (vedi la vicenda del MArTA, l’impegno per portare le grandi crociere a Taranto, le grandi regate e così via), dall’altro lo spirito imprenditoriale di alcuni cittadini (pensiamo alla vicenda della Jonian Dolphin Conservation, diventata una delle attrazioni più cercate dell’intera Puglia), hanno lavorato per cominciare a scardinare gli assi del devastante paradigma catastrofista. L’obiettivo della fase della Rinascenza deve essere quello di costruire l’immagine di un territorio accogliente, dove sarebbe bello vivere, dove gli abitanti sono fortunati perché tra-scorrono lì la loro esistenza, un posto piacevole dove andare in vacanza, un luogo gradevole da consigliare, un posto dove le cose funzionano. Questione di atmosfera, di reputazione, di attrattività, il primo motore capace di generare un ritorno di immagine nel breve e un ritorno economico nel medio-lungo periodo. Se all’iniziativa di singoli volenterosi, che attiene però alla capacità di un territorio di generare buoni imprenditori e buona classe dirigente e soprattutto di non farli scappare via, si aggiunge l’iniziativa strategica dei decision maker pubblici, e per strategica intendo scadenzata negli anni e con obiettivi e target precisi, la Grande Trasformazione si potrà compiere, nel senso di godere del supporto adeguato di una nuova rete narrativa, un percorso di senso in cui ogni nuova iniziativa troverà la giusta collocazione e la giusta cornice. Per quanto riguarda le iniziative che definirei “macro”, resta anzitutto da verificare la tempistica del percorso di riqualificazione della cosiddetta “Isola Madre” di Taranto, la città vec-chia che in sé rappresenta un luogo dal potenziale enorme da un punto di vista di qualità della vita, accoglienza turistica, residenzialità universitaria, diffusione culturale. La seconda macroarea il cui destino può segnare lo sviluppo di Taranto in un verso o in un altro è quella, soprattutto sul Mar Piccolo, che la Marina Militare ha sottratto ai tarantini per oltre un secolo, ovvero tutto ciò che sta intorno all’Arsenale militare, limitato dal cosiddetto “muraglione”, un terribile ostacolo alla fruizione di zone meravigliose che i tarantini hanno digerito come una variabile indipendente dell’arredo urbano, oltre a zone di grande valore paesaggistico sul Mar Grande. Si tratta di due zone di enorme valore architettonico, culturale e paesaggistico, capaci di generare profitti considerevoli anche nel processo di ricostruzione dell’immagine della città, che ha bisogno di spazi pubblici e soprattutto di spazi verdi. In generale, nell’arena comunicativa bisogna costruire un nuovo posizionamento della città e in generale del “brand Taranto”. Ipotesi di azioni di lungo periodo: Capodanno Rai La Rai organizza il capodanno, ormai da tempo, stipulando convenzioni con i territori che intendono ospitare il più gran-de evento di piazza dell’anno, con punte di ascolto alla mezzanotte attorno ai venti milioni di spettatori. A parte l’evento in sé e la possibilità di rendere la città durante le vacanze di Natale un grande e festoso set televisivo, gli investimenti sul Capodanno riguardano anche logistica, trasporti, ospitalità, ovvero investimenti che restano sul territorio. Un capodanno della Rinascita a Taranto sarebbe un formidabile asset comunicativo. Talassa, il festival del mare La città deve disporre di un evento che, come avviene in altri contesti di città medio/piccole (si pensi a Mantova o Verona), sappia definire una precisa proposta culturale e al tempo stesso crei un sentimento di identificazione collettiva con la cittadinanza, spinta a mobilitarsi per offrire una città accogliente e operosa. Si tratta di un festival internazionale annuale, da organizzare magari alternativamente a una iniziativa simile che si svolge a Brest, la città bretone “gemellata” con Taranto. Il festival che può portare in città tutte le migliori espressioni culturali del Mediterraneo, abbracciando scienza, filosofia, comunicazione, musica, letteratura. Una grande occasione per riflettere in ogni settore sul tema confine/apertura, scoperta/conservazione, esplorazione/radici. La Fiera del Mare Collegato all’evento festivaliero, Taranto può sviluppare, in sinergia con il sistema fieristico già esistente (l’Italia è il quarto paese al mondo in questo settore per volume di prodotto), sviluppare una fiera interamente dedicata al tema del mare, un volano di sviluppo economico e riqualificazione, ad esempio, dell’area abbandonata di Buffoluto, un evento con uno straordinario effetto spillover anche sul sistema di ricezione alberghiera, oltre che sul sistema delle imprese. Museo dell’Archeologia Industriale Basta vergognarsi del proprio passato, che va riaccolto nella memoria della città e raccontato. Taranto, ancora più di Tori-no, può diventare il luogo in cui si racconta la storia dell’industria italiana. Una delle aree dismesse dello stabilimento siderurgico può diventare la sede di un enorme museo, in parte anche a cielo aperto, dove ospitare un centro studi sulle politiche postindustriali e lo sviluppo sostenibile. Offerta comunicativa integrata: un territorio policentrico, non solo una città, Taranto deve sviluppare un’offerta comunicativa, e dunque anche produttiva, culturale e turistica, che riconnetta la città alla provincia, un territorio di immenso valore enologico, gastronomico, balneare, sportivo, culturale. Per questa ragione, come effetto positivo di alcune opportunità, in primis l’arrivo delle grandi navi da crociera, devono essere sviluppati in sinergia con comuni, pro loco, una serie di percorsi che diano la possibilità al turista di fare una serie di percorsi immersivi nell’intera provincia jonica, aumentando la lunghezza del soggiorno. Angelo Mellone Vice direttore Daytime RAI  
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