Il procedimento instaurato con una class action da alcuni cittadini di Taranto per chiedere la chiusura del Siderurgico per problemi ambientali e sanitari approda alla Corte di Giustizia europea. E’ stata la sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale civile di Milano, presieduta da Angelo Mambriani, a sospendere il procedimento in atto rimettendo alla Corte di Giustizia europea «tre questioni concernenti l’interpretazione della normativa europea in materia di emissioni inquinanti di impianti industriali in relazione alle norme italiane». I giudici milanesi quindi hanno «rimesso alla Corte di Giustizia, con riferimento alla normativa speciale che disciplina l’attività dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto», tre questioni per vedere quali risposte e interpretazioni darà la Corte con sede in Lussemburgo sul fatto che le normative italiane sul caso del polo siderurgico siano o meno compatibili con quelle europee. Le tre questioni vertono sul «ruolo della Valutazione di Danno Sanitario nel procedimento di rilascio e riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia)», il «set delle sostanze nocive che devono essere considerate ai fini del rilascio e riesame» dell’Aia e in più i «tempi di adeguamento delle attività industriali svolte alle prescrizioni» dell’Aia. La class action, pendente da oltre un anno, fa perno sulla richiesta di «inibitoria collettiva» per chiedere la «cessazione delle attività dell’area a caldo» dell’ex Ilva, la «chiusura delle cokerie, l’interruzione dell’attività dell’area a caldo fino all’attuazione delle prescrizioni» dell’Aia, che scade nell’agosto 2023. E la «predisposizione di un piano industriale che preveda l’abbattimento delle emissioni di gas serra di almeno il 50%».Di fatto, lo stop alle attività dello stabilimento tarantino. Il senso della decisione sta nel fatto che i giudici del Tribunale di Milano chiedono alla Corte europea di verificare se le misure italiane per l’organizzazione tecnica degli impianti e gli effetti nocivi sulla salute siano conformi alle normative comunitarie; anche il Governo dovrà fornire chiarimenti alla Corte sulle norme italiane in relazione a quelle europee. Da verificare tra l’altro se è compatibile con le norme europee che uno Stato membro, come l’Italia nel caso Ilva, «in presenza di un’attività industriale recante pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute» possa «differire il termine concesso al gestore» per adeguarsi all’Autorizzazione integrata ambientale con misure» di tutela ambientale e sanitaria per una «durata complessiva di undici anni», dal 2012 al 2023.
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