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Così la guerra cambia l’acciaio

Lo stabilimento siderurgico Azovstal a Mariupol

Lo stabilimento siderurgico Azovstal a Mariupol

Il conflitto tra Russia e Ucraina ha rappresentato un punto di svolta per la siderurgia. Il caro energia, l’aumento dei costi delle materie prime e le difficolta di approvvigionamento hanno infatti richiesto agli operatori del comparto dei cambi di strategie per far fronte all’andamento rally del mercato nella prima metà del 2022. Questi i temi al centro del recente webinar di siderweb “RussiaUcraina: rivoluzione per l’acciaio”. Un tema che a Taranto, che ospita il Siderurgico più grande d’Europa, non può non interessare. Una testimonianza forte di quanto la crisi bellica stia influenzando il settore, e non solo, è arrivata dal Gruppo siderurgico ucraino Metinvest, che le conseguenze della guerra le ha vissute e le sta vivendo direttamente. A fare il punto della situazione del player internazionale è intervenuto Roberto Re, head of Metinvest Europe: «Quello che è capitato è stato indicibile e shoccante per tutti. Venivamo da un 2021 molto buono con un fatturato tra i 14 e i 15 miliardi di dollari, con un Ebitda che ha sfiorato il 47% a livello di gruppo e con tutte le associate europee che hanno fatto risultati a dir poco incredibili. Tutto questo è stato spazzato via». Il conflitto ha quindi imposto un cambio radicale per il Gruppo: «Avendo perso il controllo delle due acciaierie di Mariupol, siamo stati costretti ad un ridimensionamento. Prima eravamo integrati al 100%, mentre oggi dobbiamo comprare i semiprodotti sul mercato e diventare dei rilaminatori. Dall’oggi al domani ci siamo dovuti riorganizzare e acquistare sul mercato quello che prima veniva dall’interno del gruppo». Guardando alla situazione attuale del mercato, Roberto Re ha poi sottolineato come «in Europa il livello di prezzo è insostenibile, se rapportato ai costi di produzione, pertanto l’unica soluzione percorribile è quella di fermare l’output se si vuole recuperare marginalità. Viste le premesse – ha concluso – per quanto riguarda i nostri asset in Italia sarei felice di riuscire a mantenere in cassa la metà di quanto guadagnato nel primo semestre dell’anno. Nel terzo trimestre dell’anno prevedo un sensibile impatto sull’Ebitda del materiale a magazzino prodotto ad alti costi. Sulle prospettive della domanda resto però ottimista». I primi mesi dell’anno sono stati complessi per il mercato, soprattutto dal punto di vista della domanda. Dapprima, «c’è stata una corsa a procurarsi il materiale – ha spiegato Giuseppe Cavalli, direttore generale del Gruppo Alfa Acciai – per il timore di non riuscire a reperirlo e per l’aumento dei prezzi. A maggio, invece, la spinta si è esaurita e ha dato origine a un andamento ondivago: prima una brusca fermata della domanda e una discesa dei prezzi e poi un’inversione del trend. Un up and down che andrà avanti anche nei prossimi mesi. Ma bisogna stare attenti agli shock, perché il rischio recessione è dietro l’angolo». Due i temi centrali per gli operatori siderurgici: le materie prime e l’energia. Rispetto ai costi energetici, Giuseppe Cavalli ha sottolineato come questo capitolo è «nelle mani di Putin e tutto dipenderà da come il presidente russo giocherà la sua partita, ammenoché i Paesi europei non decidano di tagliare di netto i loro consumi». Il rottame, invece, «ha un costo minore nei Paese extraeuropei, per via di un caro energia minore e delle diverse compliance ambientali. Oggi per noi il peso della componente energetica grava maggiormente sul costo dei prodotti rispetto a quello del materiale. Perciò, sarebbe utile calmierare il rottame per stabilizzare anche le pressioni inflazionistiche». Il mercato dell’acciaio, a causa del conflitto, ha vissuto una volatilità mai vista prima. Come ha spiegato Emanuele Norsa, editor Kallanish e collaboratore Siderweb: «La guerra ha fatto volare il prezzo del rottame ai livelli senza precedenti per il timore della mancanza di materie prime. Da fine marzo fino a metà giugno le quotazioni sono poi scese e raggiunto livelli addirittura minori rispetto a quelli di un anno fa (sotto i 300 dollari la tonnellata, ndr)». Nelle ultime settimane «le oscillazioni dai 320 ai 400 dollari la tonnellata. Tuttavia, in questo momento i prezzi stanno ripiegando verso i 350 dollari la tonnellata». Sull’altalena anche i prodotti finiti, con «i coils a caldo in Europa cresciuti fortemente dallo scoppio della guerra, per poi iniziare a calare ad aprile. Nonostante i rumors di possibili rialzi, «il mercato fatica a riprendersi dopo la corsa ribassista, con una volatilità senza precedenti».
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