Una fase del blitz “Taros” condotto dai carabinieri
Mafia e droga. scattano ventitrè condanne. II gup del Tribunale di Lecce con il rito abbreviato ha condannato a venti anni di reclusione Maurizio Agosta; a quattordici anni e otto mesi Benito Marangiolo; a tredici anni e quattro mesi Antonio Marangiolo; a tredici anni e otto mesi Renato La Carbonara; a tredici anni e quattro mesi Giuliano Patarnelli; a sedici anni e nove mesi Piero Soprano; a cinque anni e cinque mesi Luigi Agrosì; a un anno e quattro mesi Francesco Agosta; a due anni e otto mesi Antonio Azzolio; a quattro anni Emanuele Capuano; a cinque anni e mezzo Andrea Cazzato; a otto anni Alessio Costanzo; a otto anni e otto mesi Domenico Costanzo; a otto anni Cosimo Lorè; a cinque anni e quattro mesi Vito Nicola Mandrillo; a quattro anni Giuseppe Padula; a quattro anni Giovanni Rizzo; a cinque anni e quattro mesi Cosimo Soleto; a cinque anni e quattro mesi Daniele Soleto; a cinque anni e quattro mesi Luigi Soleto; a cinque anni e quattro mesi Gianluca Tagliente; a tre anni e otto mesi Giorgio Tocci; a due anni e otto mesi Daniela Vestita. Nel collegio di difesa, tra gli altri, gli avvocati Salvatore Maggio, Angelo Casa, Luigi Danucci, Pasquale Blasi, Luigi Esposito, Biagio Leuzzi ed Enzo Sapia. Il blitz “Taros” è scattato un anno fa. Una operazione antimafia eseguita dai carabinieri del Ros al termine di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Le indagini, avviate nel 2018 nei confronti di fondatori e appartenenti alla Sacra Corona Unita, organizzazione che affonda le proprie radici nel rapporto privilegiato con la ‘ndrangheta, hanno portato all’arresto di 16 persone ritenute responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, scambio elettorale politicomafioso, danneggiamenti, rapine, detenzione e porto illegale di armi e munizioni, anche da guerra, aggravati dal metodo mafioso. Tra gli indagati colpiti da misura cautelare a sette è stata contestata la partecipazione ad associazione di tipo mafioso. Approfondendo il contesto in cui erano maturati gravi episodi tra cui il triplice omicidio di Palagiano, del 17 marzo 2014 e l’omicidio di Francesco Galeandro, avvenuto a Pulsano il 22 luglio del 2016, gli inquirenti hanno documentato l’esistenza di un gruppo mafioso attivo a Pulsano, Leporano e in altre aree della provincia jonica, capeggiato da Maurizio Agosta. Oltre a definire ruoli e funzioni all’interno del presunto gruppo mafioso, gli investigatori hanno accertato come Maurizio Agosta, benché recluso, sia riuscito a impartire dal carcere le linee d’azione ai reggenti, Piero Soprano e Domenico Costanzo i quali hanno provveduto alla direzione delle attività illecite sul territorio, al versamento di un contributo periodici in favore di un altro clan e al sostentamento degli affiliati detenuti e delle rispettive famiglie, sfruttando la cassa comune. Anche grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e alla valorizzazione di elementi di prova emersi in altre indagini, è stata fatta luce sull’assetto interno dell’organizzazione criminale, rilevandone l’articolazione in gradi (chiamati “doti”, similmente a quanto accade per la ‘ndrangheta), nonché i rituali di affiliazione dei neofiti che contribuivano a garantire un particolare controllo degli stessi. Tra le attività illecite, oltre a numerose rapine agli esercizi commerciali della zona, particolare rilievo riveste quella di narcotraffico e spaccio di cocaina e hashish nell’area di Pulsano e Leporano, stupefacente approvvigionato nel Leccese e da gruppi operanti nel Tarantino e nel Napoletano. Dalle indagini sono emersi anche tentativi di infiltrazione del clan Agosta nelle amministrazioni locali, al fine di condizionarne i processi decisionali, attraverso lo scambio elettorale politicomafioso. Secondo l’accusa gli Agosta, in occasione delle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Leporano del 2019, avrebbero stretto un patto politico-mafioso con due candidati in forza del quale, a fronte del sostegno elettorale, i due avrebbero procurato posti di lavoro o appalti a ditte di riferimento del sodalizio (gli interessati poi non sono stati eletti). L’organizzazione, di cui è stata documentata la disponibilità di armi ed esplosivi, ha esercitato sistematiche attività di intimidazione sul territorio e ai danni di appartenenti ad altri gruppi criminali, contribuendo ad ingenerare sulla locale comunità la tipica condizione di assoggettamento ed omertà che sono cardine del metodo mafioso. Contestualmente alle misure cautelari, nella operazione scattatanel marzo del 2021 è stato eseguito un decreto di sequestro preventivo di beni mobili, immobili e rapporti bancari emesso dal Tribunale di Lecce per un ammontare di mezzo milione di euro.
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