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Bufera Arsenale. Imprenditore denuncia

TARANTO - Alcuni anni fa, con il fine di salvare le lavorazioni e l’indotto dell’Arsenale Marina Militare di Taranto, venne creato un Consorzio tra imprese locali capace di concorrere ad appalti non inferiori ad un milione di euro. Essendo trascorso tempo sufficiente possiamo dire che quella scelta fu sbagliata, perché la gestione del consorzio ha letteralmente congelato, nel recinto arsenalizio di Taranto, qualunque logica di concorrenza, competitività e crescita delle aziende sia sotto il profilo gestionale che ambientale. I sindacati sono da settimane in agitazione perché le imprese, non rispettando la clausola di salvaguardia finalizzata a riassorbire le eccedenze, hanno lasciato per strada decine di lavoratori con le loro famiglie.

Come mai è stato consentito questo? Come mai nessuna voce si è finora levata a sollevare il problema se non quella dei sindacati e di qualche giornalista locale? Come mai il settore navalmeccanico di Confindustria Taranto non ha mai portato su tali temi l’attenzione del dibattito cittadino? Lo abbiamo chiesto, avviando questa inchiesta giornalistica, al sig. Cataldo D’Ippolito, che nell’Arsenale ci lavora, ma fuori dal consorzio che si aggiudica la maggior parte degli appalti. “La gestione ambientale del recinto arsenalizio - dice D’Ippolito - che risente come tutta l’industria tarantina dei problemi del passato, non appare tuttavia oggi conforme a criteri di modernità. L’Arsenale Marina Militare di Taranto è stato individuato come principale fonte accertata di inquinamento nel primo seno di Mar Piccolo e nel bacino frontistante la costa di Mar Grande dal Rapporto Ufficiale dell’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione Ambientale – già nell’agosto 2010. “Più tardi il Servizio Ciclo Bonifiche e Rifiuti della Regione Puglia - aggiunge D’Ippolito - in una relazione di 24 pagine sull’inquinamento di Mar Piccolo, asseriva: “Fonte primaria (d’inquinamento a Mar Piccolo): Aree a terra gestite dalla Marina Militare (Arsenale), in cui la presenza di PCB è stata accertata nei terreni e nella falda superficiale; la contaminazione è veicolata dalla falda superficiale, che in quei luoghi ha come recapito le sponde del Mar Piccolo a nord di via del Pizzone”. Fermo restando che la Marina Militare ha annunciato l’avvio delle attività di bonifica, sono vere però due cose: la prima è che la Marina Militare doveva completare le attività di caratterizzazione a luglio 2012, e ciò non è accaduto. Ma, soprattutto, ancora oggi, nell’appaltare le lavorazioni, incredibilmente, la stessa Marina Militare, che è poi il Ministero della Difesa, cioè lo Stato - rivela D’Ippolito - non sembra adottare le sufficienti cautele per tutelare l’ambiente. Un vero e proprio atto d’accusa, che l’imprenditore motiva così: “L’esempio più clamoroso è rappresentato dalle operazioni di bonifica delle navi che arrivano cariche di rifiuti nei bacini di carenaggio collocati in mar Piccolo. Traducendo: delle potenziali fonti inquinanti (le navi) arrivano in un’ area dichiarata ad alto rischio ambientale (Mar Piccolo). Qui le navi vengono sottoposte a dei trattamenti ambientali: ad esempio di bonifica, cioè ripuliscono, le sentine, cioè la parte più bassa di qualunque scafo dove si raccolgono gli scarichi dei serbatoi di acque grigie e nere, condensazioni di condizionatori, acqua di mare, acqua residua dal lavaggio di motori e ponti. “Ebbene negli ultimi anni mi sono battuto con gli apparati tecnici dell’Arsenale per chiedere che tali operazioni venissero compiute solo da soggetti autorizzati alle operazioni di bonifica dall’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali (Categoria 9), che portano una serie di garanzie tecniche e finanziarie atte a mitigare il rischio di incidenti. Ma - denuncia D’Ippolito - nessuna delle ultime tre gestioni ha avuto, non dico il coraggio di imporre nel bando tale requisito, ma neanche di sollevare il problema in sede di sicurezza sui luoghi di lavoro”. Per l’esplosivo imprenditore “in Arsenale, che è lo Stato, non viene, ad esempio, neanche richiesta la certificazione ai sensi della norma OHSAS 18001: 1999, che identifica uno standard internazionale per il sistema di gestione della Sicurezza e della salute dei lavoratori. Le operazioni da compiersi in una sentina sono molto delicate sia sotto il profilo ambientale, perché si tratta di gestire anche rifiuti pericolosi, che della sicurezza degli operatori: oltre 30 morti negli ultimi anni per esalazioni nocive durante le operazioni di pulizia o manutenzione di silos, vasche, cisterne, stive o autocisterne in tutta Italia, per fortuna a Taranto non è ancora accaduto nulla, però non ci si può affidare al caso od alla fortuna”. Perchè, allora, si domanda D’Ippolito, si tarda ad aprire il mercato della gestione ambientale arsenalizia ad altre realtà, autorizzate, moderne e competitive? Ed ancora una volta sembra che la risposta centri con la politica. “La volontà politica generale - commenta invatti D’Ippolito - è quella di non mutare assetti ed equilibri, salvaguardando, come detto, solo alcuni piuttosto che altri”. Pare che in passato ci siano stati anche degli esposti e delle denunce, ma poi non se ne è fatto più nulla. “Se provi a contestare il sistema - spiega sconsolato D’Ippolito - rischi di perdere capra e cavoli. E allora uno abbassa la testa. Ma ora basta”. Pur da noi interpellato l’imprenditore al momento preferisce non rivelare ulteriori informazioni di cui sostiene essere in possesso: “Anche perchè sarebbe scorretto - conclude battagliero - visto che con i miei legali stiamo mettendo a punto una dettagliata denuncia da presentare alle forze dell’ordine ed alla Procura della Repubblica”. Nei prossimi giorni il nostro giornale tornerà sull’argomento. Nel frattempo non possiamo che registrare il grido di disperazione e di dolore dell’ennesimo imprenditore tarantino costretto a divincolarsi tra la profonda crisi economica e problemi di altra natura pur di mandare avanti la propria azienda. Da domani parola alla Marina, all’Arsenale ed agli imprenditori.

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