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L’8 Marzo e la reazionaria retorica delle celebrazioni
07 Marzo 2024 - 18:32
Che senso hanno le celebrazioni in genere e di genere? Non dovrebbe coltivarsi l’intrinseco valore delle persone e di ciò che fanno o potenzialmente possono fare? Non bisognerebbe credere che, prima o poi, quel valore può rendersi evidente anche in mezzo alla ignoranza più buia? Non si dovrebbe credere che la capacità di intellegere sia luce idonea a penetrare, lacerare e sconfiggere ogni possibile oscurità e che questo sia il convincimento con il quale ognuno dovrebbe nutrire la propria dignità personale ed orientare le scelte di vita? Certo, la realizzazione di ogni forma di equità non ha il favore del tempo, e questo è il prezzo, spesso altissimo, che l’umanità paga ogni volta che agisce spinta da ego ferito e da irrimediabili debolezze. La storia più recente, ci racconta che quando non riusciamo a cogliere il senso di ciò che è naturalmente “giusto” ed equo é perché non prendiamo le distanze dalla volgare pratica di confondere la realtà con il clamore e la consapevolezza con la suggestione. Pensiamo che esistere, vivere la pienezza di essere se stesse o se stessi, coincida con il successo, piccolo o grande che sia o con la notorietà, e che la stessa esistenza sia legata e dipendente dall’altrui riconoscimento. Diventano così bandiera di questa “infelice” festa della Donna, le donne che, a diverso titolo, balzano agli onori delle cronache, che siano eroine, vittime o mirabili espressioni di talento o capacità. Ma non è forse questo il grande inganno e la enorme mortificazione che le donne continuano a subire? La necessità di avere delle, pur autorevolissime “portabandiera”, a dimostrazione che le donne possono essere straordinarie ( extra ordinarie) per coraggio , per abnegazione, per intelligenza, per capacità, per competenza, non è in qualche misura il modo per asseverare l’idea opposta di una presunta inferiorità? Chi e cosa ha stabilito la necessità di questo onere probatorio di valore, se non proprio la cultura misogina e maschilista? La risposta a questa errata istanza di dimostrazione di capacità, non è affatto una risposta dovuta, neanche al fine di evidenziare l’inesattezza della domanda, perché lo sforzo sotteso a questa dimostrazione, finisce per darle una dignità che non merita. Le donne e più genericamente gli esseri umani e viventi, hanno un intrinseco diritto al rispetto, un rispetto che non ha bisogno di motivazioni o ragioni e, tantomeno, di ragioni che fondino su supposizioni di straordinarietà. Si tace sempre che i diritti che si ha la necessità di celebrare, sono diritti ai quali non si riconosce validità e potenzialità , se non attraverso il ricordo e la sollecitazione, e sono, dunque, diritti sostanzialmente e presuntivamente negati. Dobbiamo invece dire, raccontare e comunicare, soprattutto alle giovani donne, che la pienezza del vivere, ardua conquista di ogni essere umano, è un cammino di evoluzione personale, per nulla semplice e per nulla lineare, dobbiamo dire loro che non ha niente a che fare con l’altrui riconoscimento o con il raggiungimento di obiettivi misurabili. Dobbiamo liberarci dal giogo della perfezione, da quello della disponibilità estrema o del sacrificio di se stesse spacciato e preteso come “innato” ed apprezzato esercizio di generosità. Tutti gli esseri su questa terra hanno un sacrosanto diritto alla Calviniana leggerezza del vivere, una leggerezza priva di superficialità ma priva anche di macigni, come quello dell’infallibilità. C’è un autentico diritto a non essere straordinari e ad amare di se stesse, di se stessi e della vita, anche ciò che è lieve, sottile, impalpabile, anche le cadute, gli errori, le proprie incertezze, gli obiettivi non centrati e le aspettative deluse. E’ il diritto a non costituire eccezione ed a non accettare supinamente la regola che sancisce ciò che rende l’eccezione tale e che si arroga il diritto di definirne la differenza da presunte “normalità”. E’ il diritto a godere della gioia, che non ambisce necessariamente a divenire viatico di felicità, e che si realizza, invece, nel coltivare ed esprimere liberamente se stesse e se stessi.
E’ il diritto a perseguire sogni e passioni autentiche ed incondizionate da costringimenti o pretese di un sistema sociale - come il nostro- che, per incapacità, impreparazione e viltà, stenta a fare i conti con la velocità dell'approssimarsi di quel futuro, che ne ha già definitivamente decretato il fallimento.
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Testata: Buonasera
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