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La scomparsa di Ugo Intini

Un timido che facilmente arrossiva

Ugo Intini: l’intellettuale, il giornalista direttore dell’Avanti!, “con il punto esclamativo ottocentesco”,

Un timido che facilmente arrossiva
Il 12 febbraio ho finito di leggere il volume “I Testimoni del secolo” il cui autore è Ugo Intini. Ciò messo molto tempo, perché è un libro di 684 pagine e confesso che l’ho letto a spizzichi e bocconi, sopraffatto da altre letture più di attualità, visto che l’autore ha scelto di scrivere la storia di alcuni personaggi del Novecento,  dei quali Intini ha avuto modo di conoscerli personalmente. Se avessi saputo che morisse il giorno dopo, il 13 febbraio, non avrei finito di leggere il libro. 
Con Ugo Intini ho avuto un rapporto affettuoso e come non avrei potuto non averlo, dato che aveva un carattere mite, di poche parole, leale e rispettoso del rapporto di amicizia. In fondo, era un timido che facilmente arrossiva, come, del resto, Bettino, che però non arrossiva ma “aggrediva”.  
Un Compagno con la C maiuscola di cui ti potevi fidare ciecamente. Intini impersonava il professionista della politica, l’intellettuale e il giornalista, direttore dell’Avanti!, “con il punto esclamativo ottocentesco”, per dirla con Giuliano Ferrara. Nelle riunioni di Direzione e nei congressi era impeccabile, idem i suo fondi sul quotidiano di partito che erano sempre da leggere, perché c’era qualcosa di profondo che ti faceva riflettere. Dopo il giornalismo di Pietro Nenni che ha fatto storia, Ugo Intini lo seguiva a ruota come un gregario del Giro d’Italia. Di Nenni era un figlio devoto nondimeno di Craxi. Nenniano duro e puro e craxiano non servente. Con lui, ho avuto rapporti politicamente indimenticabili. Andammo a trovare Francsco Cossiga per esortarlo di prendere una iniziativa pubblica contro il bombardamento giudiziario di Mani pulite su Craxi e sul PSI. Incontro che terminò  con un grande abbraccio, di cui rimasi commosso, perché era sincero, ma politicamente punto e accapo. Ancora. Craxi non c’era più, in Via del Corso 476, il suo posto l’aveva occupato, Giorgio Benvenuto, cui non volevo dare il mio voto per eleggerlo come segretario e Ugo mi invitava di votarlo. Ma dopo ore di discussione capitolai. C’è dell’altro. Ugo ed io non eravamo d’accordo di votare il “baciapile” di Scalfaro al Quirinale e Craxi ci convinse dicendoci che era uno di cui avremmo  potuto fidarci. Infatti, Scalfaro gli voltò le spalle, impegnato a tutt’altre faccende affaccendato. Con “non ci sto”, tutto mise a tacere: “I fondi Sisde”
E tanti altri episodi che è meglio non ricordare, perché fanno parte della tragedia socialista, di cui la diaspora fu il momento cruciale. In quegli anni, cioè gli anni del progrom, Bettino mi invitò di scrivere sull’Opinione, diretto dall’amico Arturo Diaconale, la cui cifra era garantista a trecentossantagradi. A quel tempo, l’Avanti! aveva chiuso le pubblicazioni e trovavamo sfogo sul quotidiano fondato da Cavour. 
Eravamo in tutto due socialisti che collaboravamo: Paolo Pillitteri che si firmava Ludovico Moro e il sottoscritto. Non essendoci più L’Avanti!, l’Opinione era la nostra trincea da cui si poteva scrivere dei misfatti giudiziari che venivano consumati contro Craxi e i socialisti. In quel mentre, pubblicai il mio libro: “Il Miracolo dei Vinti”. Grazie anche a Mario Guadagnolo, fini di scriverlo in tempi rapidissimi e la prima copia mi precipitai a consegnarla a Ugo che mi ringraziò. Dopo pochi giorni mi chiamò e si complemento’. Fu curioso, altresì, per come avevo costruito la narrazione: partendo dal varo del Centrosinistra storico Moro - Nenni per poi risalire per i rami fino a Mani pulite e allo scioglimento del PSI,  per opera di Boselli, Villetti e Del Turco. 
La fine “ingloriosa” del PSI di Craxi, Signorile, Martelli e De Michelis, Cicchitto , Ugo la visse malamente, aveva perso il partito e la sua comunità, però, instancabilmente, credeva in una sua rinascita. Il socialismo era, per lui, non un ideale, ma una religione, ragion per cui non aveva senso che morisse con il PSI.  Va da se’ che Intini era un polemista di prim’ordine e un acerrimo anticomunista e la logica di ciò era il fatto che era molto socialista. Il suo socialismo era di peculiarità nenniana autonomista, gradualista di scuola milanese, i cui padri erano Turati, Treves, Kuliscioff, per non parlare dei sindaci socialisti e socialdemocratici del primo Dopoguerra repubblicano: Antonio Greppi, Virgilio Ferrari, Gino Cassinis…
“La ricostruzione di come si formò e si consolidò la cosiddetta "egemonia riformista" nell'ambito del movimento operaio e socialista milanese a cavallo del secolo è l'occasione per approfondire e verificare tale prospettiva. Un "case study" dunque, il cui interesse risiede però nel rilievo che già allora le vicende milanesi esercitavano sugli equilibri politici ed economici, non solo locali ma dell'intera compagine nazionale”. 
Le radici politiche riformiste di Intini affondavano in questo humus culturale milanese e  di queste non si è mai distaccato, anche nel momento topico del craxismo. Anzi, Intini andò oltre le colonne d’Ercole e con Enzo Bettiza aprì un dibattito la cui sorte non lo favori, visto la scomparsa dalla scena politica del PSI. Tuttavia, quello che nacque dopo fu solo un surrogato alla ricerca dell’ ”isola  che non c’è”. L’acronimo Lib - Lab, il cui copyright fu della coppia Intini e Bettiza, non fu un lavoro politico banale, ma era un innesto di socialismo e liberalismo, nella logica dei favolosi anni Ottanta, rinverdendo il pensiero dei Rosselli, Calogero e Bobbio. 
La sua morte è un pezzo della nostra vita che se va: “Nessuno uomo è un'isola, completo in se stesso; ogni uomo è una parte del tutto. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell'umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”. 
Biagio Marzo 
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