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L'analisi
08 Luglio 2023 - 07:25
Federazione Civici Europei
Quando in un paese democratico le forze politiche in campo sono più interessate al numero dei consensi ottenuti che a quello dei voti validamente espressi, il problema è serio. Il crescente astensionismo definisce, infatti, spazi di democrazia sempre più evanescenti con basi di legittimazione circoscritte e prive, pertanto, di una compiuta autorevolezza di scelta, che diventano espressione di oligarchie disegnate sul modello di “cartelli” opportunistici, che nulla hanno a che vedere con quel concetto di vera “élite” della quale, invece, avremmo così tanto bisogno.
Il processo di disaffezione dell’elettorato è iniziato gradualmente in tutte le democrazie europee sin dagli anni ’90 ma oggi, nel nostro Paese, ha assunto una entità smisurata che non può più essere semplicisticamente ricondotta a fenomeno incidentale, né interpretata quale solo moto di ribellione verso una classe, quella politica, che si considera espressione di privilegi immeritati. Quando di qualcosa (come per la rappresentanza politica) si contesta il costo, è perché lo si ritiene sproporzionato rispetto al reale “valore”, ed è questo che, nel recente passato, ha animato (e per certi versi stimolato) moti di contestazione, ben presto rivelatisi quali sfoghi emotivi privi di quella sostanzialità ed efficacia necessaria a porre le basi di un vero cambiamento di proposta. La soluzione alla registrata disaffezione alla politica da parte dell’elettorato è stata malamente diretta ad intercettare una massa acritica guidata da rabbia più che da intenti che, nell’essere tale, si è dimostrata quale fenomeno momentaneo, volubile e volatile, inadeguato a costituire rimedio a quella che ha, sempre più, assunto i contorni di una vera e propria crisi della democrazia.
Il problema, molto più grave della strumentalizzata questione relativa al numero ed ai costi della nostra rappresentanza, è costituito dal fatto che oggi la proposta in campo è riconducibile a partiti legati ad appartenenze, ormai esangui e prive di vigore, delle quali sono una espressione surrogata ed incapace di essere in linea con le esigenze di un presente sempre più velocemente in divenire. I partiti hanno, inoltre, perso ogni funzione integrazionistica e sono diventati incapaci di connessione a quel profondo senso di alienazione che non riguarda più solo le classi sociali maggiormente disagiate ma che, oggi, si estende pervicacemente anche su quelle medie, finendo per interessare la più larga parte della nostra società. Al netto delle ragioni meramente pratiche quali: invecchiamento dell’età media degli elettori, eccessivo numero di consultazioni e modalità di espressione del voto, che pur vanno affrontate e risolte, il problema principale di questa disaffezione resta una classe politica poco consistente, rappresentata da partiti “sradicati” dai territori, che ha mortificato e tradito ogni legittima aspettativa. Una sorta di “esaurimento politico di funzioni” foriero di apatia e potenzialmente responsabile del più grave rischio di attecchimento di logiche totalitariste e revansciste.
La fragilità della società contemporanea, chiamata ad adattarsi, più che velocemente, alle sue repentine trasformazioni, un mondo del lavoro che ha perduto i contorni essenziali e con essi le sue storiche certezze, le classi medie costrette ad impoverimento ed instabilità, le disuguaglianze territoriali e sociali crescenti e l’incapacità di comprendere e governare gli effetti di una globalizzazione della quale, ancora oggi, sfuggono le opportunità , sono tutti indicatori della necessità d’intervento di proposte politiche che diano un nuovo, ma sostanziale, senso alla loro presenza in campo e vestano di nuovo entusiasmo il comprensibile torpore di un elettorato narcotizzato dalla delusione e disillusione degli ultimi tempi.
L’auspicabile rimedio all’astensionismo non può che rinvenirsi in un profondo rispetto per un elettorato, al quale non ci si può più rivolgere con slogan populistici e demagogici, perché, e bisogna prenderne atto, non è più la massa priva di critica e senso del discernimento disposta ad accettare la promessa ”della scarpa singola in attesa dell’altra dopo la vittoria” da parte di personaggi caratterizzati da profili miseri e sconcertanti. Deve tornare a proporsi una rappresentanza politica che sia espressione di qualità, di adeguatezza, di empatia, di efficacia sostanziale, di partecipazione e, soprattutto, di responsabilità. Una rappresentanza radicalmente collegata ad un nuovo senso di territorialità che sappia guardare al futuro e che contribuisca a rendere i nostri confini ponti e non muri, strumenti di congiunzione nella consapevolezza del valore dell’integrazione e non strumenti di isolamento ed alienazione nel segno di una, ormai improponibile, autoreferenzialità.
Una rappresentanza che sappia e possa realizzare quella democrazia che Adriano Olivetti, con la sua capacità di visione ed anticipazione, oltre 60 anni fa, definiva “democrazia economica, dell’etica e della bellezza”. L’astensionismo, dunque, non è una condizione irreversibile, anzi, nel suo essere un grido silente di invocazione al sua profonda significazione di stimolo a quella esiziale rivoluzione della proposta politica, così antagonizzata dalle lobby detentrici di potere, e così necessaria. Un cambiamento di proposta non reattivo ed emotivo, ma forte di competenza, giudizio, consapevolezza e, soprattutto di quella coscienziosità, che richiama ad una dimensione meno materialistica e terrena e che sa mettere al centro delle proprie idee e dei propri indirizzi la persona, che è cosa ben diversa dal fruitore/consumatore intorno al quale si sono costruite le politiche più recenti. C’è bisogno, infatti, di ispirazione, di capacità di guardare le cose con la dovuta compartecipazione del raziocinio, ma senza il sacrificio della capacità di elevarsi ad una dimensione di ideazione.
La Politica degna di questo nome è sempre quella che opera per un futuro sconosciuto, quella che sa immaginare ed anticipare il verosimile ed ha il coraggio di agire ad effetto di questa capacità. Il silente grido degli elettori espresso attraverso la loro astensione dal voto, chiede che le loro nutrite e comprensibili paure di questo tempo trovino rassicurazione e non strumentalizzazione. Che si torni ad una, più etica ed equa, distribuzione anche della paura e che i governi anziché generarla nei cittadini, attraverso la loro instabilità, inadeguatezza ed incapacità, tornino ad avere paura del loro giudizio in merito all’operato reso. La politica che sconfiggerà l’astensionismo e tornerà a riaccendere la passione degli elettori, non può che essere quella di coloro che sapranno interpretare i bisogni e proporre ideali e, soprattutto, di coloro che riusciranno a colmare il divario tra sogno e realtà, a tutto vantaggio di quella speranza che oggi fatica a trovare ragioni. Sono stata sempre persuasa che dare ragioni alla speranza sia il più etico tra gli obiettivi della Politica ed a ciò saranno, da subito, indirizzate tutte le energie e le risorse della Federazione Civici Europei.
Francesca Straticò
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