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ALLEGORICO

23 settembre

di Graziella Guardini

Bovindo

Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.


23 settembre

di Graziella Guardini

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Quando uscì, tutto era cambiato. La vecchia fontana in pietra locale era stata sostituita con una più moderna, in cemento. Sul muretto che costeggiava i giardini erano seduti alcuni ragazzi con le loro moto in bellavista, esibite come trofei: alcune sporche di fango, altre lucidissime. Da sempre quelle curve attiravano appassionati motociclisti e, soprattutto la domenica, i motori rombavano su e giù per la collina.
Anche l’insegna del bar era stata sostituita e ora un Roky Bar chiamava gli avventori. Dall’interno proveniva una musica che non conosceva, ma d’altronde era passato molto tempo. Tutto sembrava diverso: anche il bosco appariva come spolpato e nuove costruzioni si affacciavano sulla collina.
Si incamminò verso casa, la sua vecchia casa, e fu un colpo al cuore trovarsela davanti dopo l’ultima curva. Il selciato era invaso da erbacce che crescevano anche lungo i muri. La porta tradiva i segni del tempo e dell’incuria, mentre l’orto dietro era diventato un bosco, con alberi selvatici e cespugli di rovi. Solo il fico aveva resistito.
Quell’orto che la Maria curava con tanto amore... Già, la Maria. Si conoscevano da sempre: era la più carina, un po’ timida, con lucidi capelli neri. Quanto coraggio ci volle per invitarla finalmente al cinema, e poi quel primo dolcissimo bacio sulla strada del ritorno, con il cuore che batteva forte e le gambe che si facevano molli.
Si sposarono un mattino azzurro e luminoso. Sistemarono la vecchia casa dei nonni: due stanze una sopra l’altra, solide lastre di pietra sul tetto e, dietro, lo spazio per l’orto. Erano felici. Poi il lavoro cominciò a scarseggiare e qualcuno partì.
Attraversò il confine fino ai monti più alti: là le segherie lavoravano a pieno regime. C’era da disboscare, accatastare il legname, costruire. Anche lui partì con il treno e poche cose. Molti salirono su quel treno. Per il momento il biglietto era di sola andata: c’era da fare la stagione più impegnativa, poi si sarebbe visto.
La Maria restò sola, e gli occhi e la bocca avevano preso una piega in giù che la vita si era divertita a disegnare. Proprio gli occhi, un tempo ridenti, si erano cerchiati e dentro c’era un fuoco, una brace...
Poi avvenne il fattaccio. Una catasta di legname che doveva partire sulle acque del grande fiume si sciolse all’improvviso: le funi non tennero e tonnellate di tronchi impazziti si scaricarono in acqua, accavallandosi ed ergendosi tumultuosi. Il rumore fu spaventoso. Gli uomini coraggiosi, con gli arpioni uncinati, tentarono di aprire un varco per liberare i compagni rimasti sotto. Qualcuno riuscì a mettersi in salvo, altri no.
Non si trovò mai il colpevole — forse le funi logore, o un sabotaggio — ma si sa, andava così. Il suo amico, un biondino dagli occhi azzurri, si fratturò un braccio e fu spedito a casa. Lo pregò di recarsi dalla Maria, di assicurarsi che stesse bene, che non avesse bisogno di nulla. E lui andò. Un giorno, e pure un altro.
Eh, si sa come vanno a finire queste cose. Bastò lo sfiorarsi di un braccio, un respiro un po’ più vicino. La Maria voleva baci, carezze, passione. E lui l’amò teneramente e profondamente. E la Maria, sopraffatta di piacere, si lasciò amare teneramente e profondamente. Dimentichi di tutto, onorarono i loro corpi giovani e belli.
Lassù, di là dai monti, la stagione finì. Il ghiaccio ricoprì buona parte del fiume e i tronchi dovevano stagionare. Ritornò a casa con qualche soldino. Poi andò a finire che rimase: trovò un lavoro che gli permetteva di coltivare le sue passioni — camminare per i boschi, intagliare zufoli, uccelletti e una magnifica civetta che troneggiava sull’albero vicino casa.
A metà aprile nacque una bimbetta pallida e magra, con gli occhi color del cielo. Tutto sembrava andare bene, ma sentiva crescere dentro un’inquietudine che lo spingeva ad abbandonare tutto e salire sui monti. Doveva stare da solo, per tentare di mettere a bada i suoi pensieri che fremevano e scalpitavano come cavalli impazziti.
E fu proprio tornando, quando imboccò l’uscio che dava sull’orto, che vide ciò che non avrebbe voluto vedere. Una rabbia furente lo scagliò sul ragazzo: con un pugno fortissimo lo colpì in pieno viso. Il ragazzo indietreggiò, batté la testa tra il muro e la fontanella, cadde a terra, spalancò grandi, immensi occhi azzurri e non si mosse più.
La Maria morì di crepacuore e lui si fece trent’anni dietro le sbarre. E ora era tornato. Sedette sulla panchina di pietra davanti casa e aspettò la sera.
Era il 23 settembre. Grandi stelle illuminavano il cielo e, lassù, dietro la collina, si andava accendendo un quarto di luna.

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