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NEOREALISTA
20 Novembre 2025 - 06:01
Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.
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Un liquido fiore rosso cominciò ad allargarsi sulla piazza del paese di Imbaccari, sotto gli occhi sbigottiti dei presenti. Un grande papavero su cui si afflosciò il corpo di un uomo.
Qualcuno gridò, mentre un’ombra scura si dileguava scendendo precipitosamente gli scalini che conducevano alla Via Gagliano. Qualcun altro, vinto dal panico, si mise a correre per inseguire e individuare l’autore dell’insano gesto.
Sulla piazza regnò il caos.
Fu come se il tempo si fosse fermato in quel pomeriggio degli anni Cinquanta, che segnavano il risveglio e la ripresa economica del paese nel dopoguerra.
Vennero interrotte le passeggiate che consistevano nel percorrere avanti e indietro un lato o la diagonale del quadrato della piazza stessa. Sempre il medesimo percorso, sempre alla stessa velocità, con qualche improvvisa interruzione se il concetto da esprimere comportava per l’oratore una maggiore concentrazione o richiedeva una grande attenzione. In quel caso il conduttore del discorso si bloccava di colpo, portava la mano alla fronte come se volesse cogliere un fiore per meglio esprimere quello che voleva far capire a chi seguiva il suo ragionamento.
Coloro che gli stavano accanto si fermavano di colpo rischiando di urtarsi. Era sempre così. Accadeva la stessa cosa in tutti i gruppetti che passeggiavano: improvvise interruzioni e riprese delle camminate.
Cessarono anche i dialoghi tra i gruppi di compari fermi come pali, ma con le mani sempre in movimento per meglio esplicare il significato delle parole. Anche qualche mano rimase a mezz’aria, paralizzata, immobile come l’arto d’una statua.
Adesso un unico blocco di uomini assembrati. Uomini, sì, perché solo al sesso maschile era consentito occupare stabilmente quel territorio. Le donne del paese avevano accesso alla piazza solo per attraversarla, se dovevano recarsi nelle vie circostanti o per salire gli scalini che portavano alla Chiesa Madre. Sempre e rigorosamente in tutta fretta e a testa bassa; le donne non alzavano mai gli occhi.
«Spicciammuni a camminare che ci sono i bonommi (dal francese bon homme) che taliano (guardano).»
Non sia mai che si potessero, per disavventura, incrociare gli occhi di un maschio! Chissà che cosa si sarebbe potuto pensare!
E adesso la piazza è diventata teatro di una tragedia. Le frasi si incrociano, si sovrappongono; ognuno vuole dire la sua e, per farsi sentire, aumenta il volume della voce.
«Ma perché? Proprio lui! Proprio don Lillino! Mischino! Anima buona che non faceva male manco a una mosca! Sbaglio ci fu! Sicuramente i colpi erano diretti a qualcun altro.»
Tutti si fanno il segno della croce. E intanto cominciano a scrutarsi a vicenda con sospetto, come per cercare di scoprire cosa mai si può nascondere dentro chi si ha accanto. Quello ammazzato un brav’uomo era. O almeno questo era quello che pensavano tutti!
La notizia si diffonde nel paese, passando di bocca in bocca. I colpi di fucile sono stati uditi anche a distanza. Non è stagione di caccia. E allora chi ha sparato e perché sono partiti quei colpi?
Così tutti aprono usci e finestre per affacciarsi, per riversarsi fuori e domandare, per cercare di conoscere cosa diavolo sia tutto quel trambusto che si sta creando nelle strade. E anche chi non ha sentito gli spari cerca di sapere il perché di tanto vociare. Ma non si riesce a capire niente. Solo parole, frasi smozzicate.
Una voce finalmente predomina sulle altre e tutti capiscono: «Hanno sparato a don Lillino».
Tutti, masculi e femmine, si portano la mano davanti alla bocca per sottolineare lo sbigottimento.
«Ma come, proprio a iddu? Ma siti sicuri?»
«Ma chiddu un bravo cristiano era! Salutava a tutti, era accussì bravo! E allora che fu? Perché? Ora vallu a capiri!»
«Ma u pigghianu a chiddu che sparò?»
«Nonzi», risponde uno portando il mento in su e facendo schioccare la lingua per sottolineare il no. «Ancora lo stanno cercando. Ma non dev’essere andato lontano. Le strade d’uscita dal paese sono bloccate.»
Intanto, sul luogo del fattaccio, ci sono le guardie, arrivate dal vicino Palazzo Municipale che si affaccia sulla piazza, prima dei due carabinieri. Il cerchio umano che si è formato attorno al poveretto che giace a terra esanime sembra un blocco di cemento armato, e le forze dell’ordine devono insistere con fermezza per romperlo.
Constatato il decesso, il corpo viene coperto con un telo. Senza essere interpellati, tutti vogliono parlare per dare la propria versione dei fatti. Ma in realtà nessuno ha visto in faccia l’omicida.
Il paese è piccolo. La gente osserva dalle finestre. Si pone domande se nota movimenti strani. Vengono battute le strade che l’omicida può avere percorso. È giusto sapere la verità. Un uomo buono e onesto deve trovare giustizia. Tutti concordano e collaborano.
Qualcuno riferisce di aver udito gli spari e di aver visto dalla finestra un uomo che correva. La faccia non si vedeva bene. Solo i baffi si notavano. Baffi neri. E la statura era bassa. Non sembrava manco un masculo per quanto era basso e minuto.
Vengono fornite indicazioni anche sulla direzione del tragitto percorso dall’omicida. La partecipazione è collegiale, come nel coro greco.
E così, passo dopo passo, si arriva, per esclusione, alla strada in cui la corsa dell’assassino potrebbe essersi conclusa. Tutte le porte sono aperte o si stanno aprendo. Solo una rimane chiusa: la porta di una modesta casetta a piano terra.
Quella porta chiusa desta sospetti e le forze dell’ordine iniziano a bussarvi con insistenza, chiedendo di aprire. Non devono attendere a lungo. Una coppia di mezz’età, visibilmente sconvolta, apre l’uscio e si para davanti a loro.
Alle spalle della coppia, seduta in prossimità di un tavolo, si intravede una figura minuta in evidente stato di prostrazione. È visibilmente sconvolta, guarda e non vede. Le mani abbandonate sui fianchi. Il fucile a terra. Indossa abiti maschili; i baffi neri sono disegnati col carbone. Figura minuta, volto pallido.
Non è un maschio. È una giovane sui vent’anni. È Sarina Lo Grande.
Non oppone resistenza. Viene condotta in caserma. Sembra un agnello rassegnato.
Interrogata, la giovane fornisce la versione dei fatti: «Questione d’onore fu!» Un disgraziato l’aveva ingannata facendole false promesse. Lei gli aveva creduto e aveva ceduto alle sue lusinghe. Ma il disonesto, «dopo aver fatto il comodo suo e quando sazio fu», cominciò ad allontanarsi. E le promesse erano andate al diavolo. «E io disonorata non potevo restare. Lui col sangue doveva pagare e così gli sparai.»
«Ma a chi la dovevi fare pagare? A don Lillino? Sicura sei che fu lui che t’ingannò?» le dice il maresciallo.
«Nonzi, a Turi u mulinaru (il mugnaio) iu sparai. Era quello che si meritava. Pagare doveva con la vita! E col suo sangue io ho lavato il mio onore. Io l’ho visto da dietro. Lui era lì e ci sparai.»
«Ma disgraziata che non sei altro. Tu bersaglio sbagliasti! E chi ci andò di mezzo fu uno che non ci colpava. E ora il mascalzone resta libero e tu, dopo questa minchiata, ti sei cunzumata (rovinata) la vita.»
«Tranchina!», chiama il maresciallo. «Amuninni (andiamo) a Caltagirone. Accompagniamo sta povera picciotta in carcere. Ha fatto fuori un innocente, vittima di un abbaglio. Ora la giustizia farà il suo corso.»

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