Cerca
NEOREALISTICO
28 Ottobre 2025 - 06:00
Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.
k
Ebe era china sulla vasca della fontana e, con le mani indurite dal freddo, lavava i panni. Aveva iniziato all’alba, dopo aver preparato la colazione per i suoi otto fratelli e poi via, alla fontana per il bucato.
Il gelo quell’anno l’aveva colta impreparata. Normalmente, quando si stavano avvicinando le serate buie e nebbiose e i giorni diventavano piccoli piccoli, lei si portava avanti con il lavoro, lavando tutto ciò che di sporco trovava in casa. Se avesse aspettato troppo, il ghiaccio sarebbe diventato padrone della fontana e, per raggiungere l’acqua, avrebbe dovuto romperla con la picozza di nonno Vittorio, quella della Grande Guerra. Quell’anno però l’inizio dell’inverno era scappato via, lasciando Ebe prigioniera dei suoi pensieri e in ritardo con le faccende. Così la picozza di nonno Vittorio, quel giorno, aveva battuto a lungo prima che la giovane trovasse l’acqua, e aveva smesso il suo picchiettare solo all’alzarsi delle prime nebbie del pomeriggio, quando i suoi fratelli erano tornati ed era ora di preparare la cena.
Sfregava e piangeva Ebe. Malediva il fatto di essere nata in quel povero paese di pianura e di essere donna. Eppure, pochi mesi prima, era stata così felice che il cuore le scoppiava nel petto! Aveva conosciuto Gino, un giovane carabiniere della caserma del porto fluviale. Lo aveva incontrato alla festa del santo patrono, a fine estate. Lui si era avvicinato: «Vuol ballare con me, signorina?» le aveva detto facendole un piccolo inchino e sguainando un bel sorriso. Veniva da un paesino di una regione che Ebe non aveva mai sentito nominare: l’Emilia-Romagna. Un luogo dove la miseria era meno nera e la voglia di vivere dominava i suoi abitanti — e anche Gino.
Nei primi mesi di corteggiamento lui l’aspettava al termine della funzione delle dieci, fuori dalla chiesa, la domenica, quando tutta la famiglia Bluson veniva in parata per seguire la messa. All’inizio erano stati solo sguardi e qualche parola a fior di labbra e a distanza. Poi Ebe scelse di andare sola alla prima funzione del mattino. Ma alla messa delle sette don Elia la vide solo una volta.
S’incontravano ai casoni dei pescatori, là dove il fiume diventa laguna e la fiorella regna sovrana.
«Voglio conoscere tuo padre» le disse un giorno Gino.
«Se scopre che ci vediamo senza il suo permesso mi picchierà!» rispose spaventata Ebe.
«Ti difenderò io!» Poi si alzò di scatto, raccolse dei sassi a terra e iniziò a lanciarli con violenza contro i gabbiani appollaiati sulle briccole.
Quando Gino arrivò alla cascina dei Bluson era primo pomeriggio, e questo al padre di Ebe non piacque proprio, perché gli rovinava il sonnellino del giorno di festa. I nove uomini di casa erano lì, con le loro facce truci.
Era fine gennaio, il freddo era ancora pungente ed Ebe aveva rinvigorito il fuoco con un bel pezzo di legno.
«Buongiorno a tutti voi» disse Gino entrando nella cucina. Poi sguainò uno dei suoi sorrisi e strinse la mano a tutti. Il padre di Ebe la trattenne un po’ di più, come a dire: qui sono io che comando e la tua divisa non conta nulla!, ma lui non si fece intimorire. Rispose educatamente a tutte le domande, anche a quelle della madre di Ebe, relegata nella camera da letto al piano di sopra ma che sentiva ogni cosa e interveniva urlando.
I Bluson scoprirono che Gino aveva un ottimo stipendio, era istruito il giusto e, cosa importantissima per loro, era figlio di contadini, proprietari terrieri in un luogo per loro sconosciuto: l’Emilia-Romagna.
Il caffè di cicoria segnò la fine delle ostilità.
«Bene, ha il permesso di corteggiare mia figlia» sentenziò il padre di Ebe. Una stretta di mano, questa volta solo con il capofamiglia, concluse il tutto. Poi Gino venne frettolosamente congedato.
Don Elia riprese a vedere Ebe alla funzione delle dieci, accompagnata dal fidanzato, dal padre e dagli otto fratelli. Ma il tempo della messa ai due giovani non bastava, così continuarono a vedersi di nascosto ai casoni dei pescatori.
Un giorno, dritta sul pontile del casone vecchio, Ebe sbracciava facendo segno a Gino di affrettarsi: era tardi e non poteva fermarsi molto. Tremava e aveva il respiro affannato per la corsa.
«Il marchese, il marchese!» ripeteva senza riprendere fiato. «Non è arrivato!»
«Non è arrivato?» Il sorriso di Gino si spense.
«No!» Ebe scuoteva la testa. «Mia madre mi tiene i conti e si è già accorta del ritardo.» Iniziò a singhiozzare. «Mi guarda con occhi come se volesse vedermi dentro!»
Il marchese non arrivò, così Gino andò dai Bluson per prendersi le sue responsabilità. Il bambino era suo, voleva bene a Ebe e la voleva sposare. Qualche insulto volò, ma alla fine la buona volontà del carabiniere convinse tutti.
Unico vincolo era il tempo: «Dovete sposarvi prima che la pancia si veda!» aveva sentenziato il padre di Ebe. Il promesso sposo giurò e se ne andò con il suo solito sorriso.
Per una settimana però Ebe non vide il fidanzato. Anche la domenica, a messa, non venne, e gli occhi del padre e dei fratelli si facevano sempre più feroci.
Gino arrivò un pomeriggio, senza divisa e accompagnato da una donna e da un vecchio signore.
«Buongiorno, sono Aldo Ferrari e questa è mia moglie Pina. Siamo i genitori di Gino!» disse il vecchio allungando la mano per stringere quella del capofamiglia Bluson, ma non la trovò.
Vennero fatti entrare nella cucina, dove si trovavano Ebe e due dei suoi fratelli.
«Siete venuti per confermare la parola data da vostro figlio?» chiese cupo il padre di Ebe.
Gino fece per prendere la parola, ma la mano del vecchio padre si posò lenta sul suo braccio e lui tacque.
«Signor Bluson, mio figlio è un uomo serio e vuole bene a Ebe, ma…»
«Ma? Non siete quindi qui per onorare la promessa di matrimonio?» Il vecchio Bluson era torvo.
«Un matrimonio riparatore!» urlò la madre dal piano di sopra.
«Non posso» disse con un filo di voce Gino.
Fu un attimo, e i due fratelli di Ebe furono al collo del carabiniere. Fu solo grazie all’intervento della signora Pina se tutto si limitò a qualche calcio.
«Fateci spiegare!» il signor Ferrari aveva inaspettatamente alzato la voce. «È la legge che è nostra nemica» disse.
«La legge? Cosa dite?» Il padrone di casa non capiva.
«Signor Bluson, io voglio mantenere la mia promessa, ma non posso, non adesso.» Mentre Gino parlava, Ebe si faceva sempre più pallida. «Devo aspettare di compiere trent’anni, prima un carabiniere non si può sposare, per legge.» Un lamento uscì dalla bocca della povera ragazza.
«Puoi lasciare l’Arma, fare il contadino e sposare subito Ebe!» replicò Bluson.
«No, mio figlio non lo farà, non è quel che vuole» il vecchio Ferrari posò con vigore la mano sul tavolo.
«E cosa vuole allora?»
«Vuole continuare a essere un carabiniere. Ad Ebe penseremo io e mia moglie: verrà ad abitare da noi, starà bene e vivrà da signora. Quando Gino compirà trent’anni si sposeranno.» Il signor Ferrari disse tutto molto lentamente, sapendo che la soluzione che proponeva andava oltre le usanze e la buona reputazione.
«No!» rispose secco il padre di Ebe.
«Ha la nostra parola. Si sposeranno!» ripeté il padre di Gino a testa alta.
«Arroganti, senza Dio, andatevene da casa mia!» urlò Bluson.
I tre ospiti vennero spinti fuori dalla casa, nonostante le resistenze di Gino che voleva parlare con Ebe. Poi vennero scortati giù, giù al fondo della strada.
Il padre e gli otto fratelli si riunirono nella camera della madre. Parlarono a lungo, poi uno di loro prese la bicicletta e pedalò verso il paese per cercare Vittorina, la levatrice.
All’ora di cena Vittorina era lì. Si muoveva come chi non è nuovo a certi servizi.
Ebe venne portata in camera: la levatrice disse che voleva visitarla e vedere a che punto fosse la gravidanza. La ragazza capì troppo tardi che quella donna stava rigirando nel suo ventre un ferro da calza sterilizzato con un po’ di grappa che le aveva dato il padrone di casa.
«Smettila di piangere, ti tolgo questo fardello e domani sarai come nuova» le disse acida Vittorina.
La notte passò tra pianti e lamenti. A Ebe doleva il ventre, ma all’alba il padre la chiamò come sempre per preparare la colazione dei fratelli. Terminato in cucina, la ragazza prese la cesta della biancheria sporca e andò alla fontana.
La trovarono a terra con gli occhi rivolti al cielo gelido di gennaio. Era immobile al centro di un’enorme macchia di sangue ormai gelato. Tra le mani teneva ancora stretta la picozza di nonno Vittorio.

I più letti
Video del giorno
Testata: Buonasera
ISSN: 2531-4661 (Sito web)
Registrazione: n.7/2012 Tribunale di Taranto
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Piazza Giovanni XXIII 13 | 74123 | Taranto
Telefono: (+39)0996960416
Email: redazione.taranto@buonasera24.it
Pubblicità : pubblicita@buonasera24.it
Editore: SPARTA Società Cooperativa
Via Parini 51 | 74023 | Grottaglie (TA)
Iva: 03024870739
Presidente CdA Sparta: CLAUDIO SIGNORILE
Direttore responsabile: FRANCESCO ROSSI
Presidente Comitato Editoriale: DIEGO RANA