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ALLEGORICO
16 Ottobre 2025 - 07:00
Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.
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C’era una grotta con annessa una stalla. Vi abitavano un asinello, un bue, un falegname e sua moglie. I due animali erano alquanto strani: il primo sapeva leggere, il secondo scrivere. Solo che l’asinello non era in grado di capire quanto leggeva; se lo faceva ad alta voce, per lui equivaleva a fare dei versi, diversi dal classico raglio. Il bue, dal canto suo, sapeva ricopiare qualunque cosa scritta, ma non ne comprendeva il significato; poteva anche inventarsi delle parole, che però avevano per lui il valore di semplici scarabocchi senza senso.
La donna era molto gentile e colta, mentre l’uomo era analfabeta. La moglie aveva più volte provato a insegnargli a leggere e a scrivere, ma a lui queste cose non entravano proprio in testa; diceva che comunque, nel suo lavoro, non servivano – lavoro nel quale, a ragion del vero, era abilissimo.
Un giorno lei rimase incinta e, dopo nove mesi, nacque un bellissimo bimbo. Definirlo intelligente era ancora poco: sembrava fosse nato sapendo già parlare e, al compimento del primo anno, poteva leggere, scrivere e ragionare.
La voce di tale prodigio si sparse in fretta. Davanti alla grotta si formò una processione continua di persone che volevano conoscere e parlare col bambino, molti dei quali non si presentavano a mani vuote.
In particolare giunsero tre professori, che portarono con loro tre doni, uno ciascuno: un pacco di quaderni, una scatola di matite e un’enciclopedia. Il giovane fu molto contento di questi ultimi regali, ma non li usò per sé. Con pazienza insegnò all’asinello a scrivere e al bue a leggere, con piena cognizione di quanto facessero.
Non solo: riuscì ad annullare l’analfabetismo del padre, il quale cominciò a consultare quotidianamente l’enciclopedia, pur non tralasciando di compiere il proprio mestiere. La madre fu molto fiera di quanto compiuto dal figlio, ma capì che quella grotta cominciava a stargli stretta.
Lo esortò a uscire, conoscere altre persone ed altre realtà; insomma, a fare esperienze di vita. Il ragazzo lasciò la famiglia, recandosi in vari paesi e città, sostando spesso nelle piazze e conversando con gli abitanti del luogo.
Trovava facilmente chi, conquistato dalla sua affabilità e saggezza, gli offriva vitto e alloggio. Basava i suoi discorsi e conversazioni sull’intuito piuttosto che su un’istruzione didattica, ed era molto disponibile all’ascolto.
Il ragazzo cresceva in fretta e la sua notorietà si allargava a macchia d’olio. In una città vicina viveva un noto scrittore e poeta, di sicuro talento ma un po’ presuntuoso, per non dire altezzoso. Sentì molto parlare del giovane fenomeno, ma non intendeva conoscerlo di persona; pensava:
«Io ho già una fama artistica, i miei lavori sono apprezzati dalla critica e da un vasto pubblico. Non ho nulla da imparare, ma vorrei saperne di più».
Cercò di avere più informazioni possibili su quello che riteneva un concorrente, ma non trovò materiale che lo riguardasse, tipo bibliografia o biografia; insomma, il tipo non aveva (almeno per il momento…) pubblicato nulla e non si sapeva da dove venisse. Soprattutto, non erano chiare le sue fonti di istruzione e ispirazione!
Lo scrittore cominciò a farsene un cruccio, come un tarlo che rode e rode. Un giorno incontrò un amico e collega (di minore importanza, ovviamente) che aveva conosciuto lo “straniero”, e gliene parlò in modo entusiasta. Il pezzo grosso si mostrò impassibile, ma da quel momento lui, che frequentava molti salotti, cominciò a parlare male di «quello sconosciuto che chissà chi si crede di essere, senza una storia o una carriera significativa, che vende aria fritta imparata chissà dove e chissà da chi».
Tutto questo giunse alle orecchie dell’interessato, che aveva molti amici fedeli, ma non vi prestò tuttavia interesse; semplicemente se ne andò “più in là”, seguito da chi lo stimava per quello che era.
Per un pezzo non si seppe molto di lui, e quando tornò nei luoghi dove era nato era ormai un uomo, con barba e capelli lunghi. Un giorno tornò in una di quelle piazze dove era solito incontrare e discorrere con la gente.
Vide che c’era un mercato con tante bancarelle piene di libri, tipo una fiera o una mostra. Ne fu contento, pensò:
«Bello che le persone leggano e si vogliano istruire o semplicemente farsi coinvolgere dalla fantasia».
Prese in mano un volume e cominciò a sfogliarlo: lo trovò interessante e la lettura si protrasse.
«Oh, che intenzioni hai!» si sentì quasi urlare in faccia da dietro il banco.
«I libri io li vendo: se lo vuoi leggere devi pagarlo!»
Gli rispose, con una certa calma: «Ma davvero? Vuoi dire che se non posseggo denaro non posso conoscere ciò che la fantasia o l’intuito di uno scrittore ha creato? Tu puoi vendere la carta ma non le idee…».
Gli altri venditori cominciarono a inveire: «Cialtrone! Scroccone! Se non hai soldi, stai a casa! Noi siamo qui per lavorare!». E diventò presto uno contro tutti.
E l’uno si ribellò: si mise sistematicamente a rovesciare i tavoloni delle bancarelle, mandando all’aria i libri. Non riuscì a finire l’opera solo perché arrivarono le guardie, che lo portarono prima in cella e poi davanti a un giudice in tribunale.
L’accusa inizialmente sembrava riguardare solo i danni materiali provocati, ma subentrò una complicazione che lo mise letteralmente in croce. Mentre cercava di giustificarsi spiegando le sue ragioni di principio, il pubblico ministero tirò fuori dalla borsa un grosso volume e gli chiese:
«Lo conosci questo?»
L’imputato ammise di non averlo mai visto prima.
Gli fu chiesto: «Saresti disposto a giurarci sopra?»
«Non vedo perché no», rispose.
«Questo», continuò l’accusa, «è un libro che contiene tue personali affermazioni, concetti, eccetera… ed è in vendita nelle librerie, a un prezzo anche piuttosto sostenuto. Ti sei macchiato della colpa che addossi ai mercanti librai».
«Ripeto che non lo conosco… posso vederlo?»
Gli fu porto e, in effetti, quando lo sfogliò, non poté fare a meno di ammettere che sì, erano parole sue; ma non si spiegava come fossero finite in un libro, addirittura in vendita!
«Forse», disse, «è stato qualche mio amico ad aver avuto questa idea, qualcuno che ha preso appunti o ha una buona memoria».
Il caso fu chiuso fin troppo presto, e il giudice – un austero uomo pelato – pronunciò la sentenza: all’imputato veniva per sempre negata la possibilità di far pubblicare i propri pensieri, né di trarne guadagno con eventuali diritti d’autore.
La ritenne una punizione ingiusta, ma solo perché non avrebbe mai richiesto un compenso personale; era sua opinione che i talenti non devono produrre denaro. D’altra parte, chi aveva commesso il plagio non venne in alcun modo perseguito.
All’uscita del tribunale, il condannato incontrò i genitori. La madre cercò di rincuorarlo:
«Non ti preoccupare. Noi sappiamo chi sei e quanto vali. Sono altre le cose a cui dare importanza».
Il figlio la ascoltò con gratitudine per le parole d’affetto, ma sentì anche che aveva nel profondo un senso di tristezza. La risposta che le diede aveva un che di profezia:
«Vedrai… vedrai che cambierà. Non so dirti come e quando, ma un bel giorno cambierà».
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Testata: Buonasera
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