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PSICOLOGICO
13 Ottobre 2025 - 08:00
Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare e leggere il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.
Era l’ultima domenica di settembre quando Giulio e Davide, amici d’infanzia separati da anni di lontananza e silenzi, si ritrovarono per un viaggio breve ma carico di promesse inespresse. Giulio, fotografo di paesaggi, aveva proposto una visita al Dolmen della Chianca, nei pressi di Bisceglie. Davide, invece, tornava da una lunga permanenza all’estero, il volto scavato da un’ombra sottile, quasi impercettibile, come una crepa nel vetro lucidissimo della sua memoria.
Arrivarono nel primo pomeriggio, quando il sole già cominciava a piegarsi verso il mare, gettando ombre lunghe come rimpianti sulla campagna. Il dolmen si ergeva solitario, come un altare dimenticato, immerso in un silenzio che sembrava coltivato da secoli.
«Sembra che ci osservi» mormorò Giulio, aggiustando la lente della sua macchina fotografica.
Davide non rispose. Aveva lo sguardo fisso sulla lastra orizzontale che sovrastava le due pietre verticali: una bocca di pietra, pronta a sussurrare segreti a chi fosse disposto ad ascoltarli.
Ciò che colpiva non era tanto la maestosità arcaica del monumento, quanto il vuoto intorno ad esso. Nessun turista, nessun suono. Solo loro due e il vento, che sembrava muoversi con la cautela di chi non vuole disturbare i morti.
«Lo sai che, secondo certe leggende, i dolmen sono porte?» disse Davide, mentre sedevano sull’erba secca bevendo del vino rosso portato da Giulio in una borraccia di metallo.
«Porte? Verso dove?»
«Verso l’altro lato. Non il regno dei morti, non esattamente. Ma verso un riflesso... uno specchio deformante. Come se il mondo avesse un doppio sotterraneo, fatto delle stesse cose ma impregnato di malinconia e memoria.»
Giulio lo guardò incuriosito. Non era da Davide abbandonarsi a simili elucubrazioni: una volta era il più razionale tra loro, lo scettico. Ora sembrava parlare con la voce di qualcun altro, come un attore che recitava il ruolo della propria ombra.
«Lì dentro ci si può perdere» aggiunse Davide, accarezzando la pietra del dolmen con le dita. «O peggio: si può tornare... cambiati.»
Nel momento in cui il sole scomparve oltre la linea dei campi, un brivido serpeggiò nell’aria. Un suono sottile, come di vetro infranto sotto i piedi, li fece voltare. Dietro al dolmen, una fenditura tra le rocce pareva essersi spalancata. Non era lì prima, eppure sembrava parte integrante del paesaggio. Giulio si avvicinò, spinto da una curiosità quasi febbrile. Davide restò immobile, come trattenuto da una forza invisibile.
«C’è... qualcosa lì dentro. Sembra una stanza.»
La fenditura conduceva a una cavità naturale, una camera scavata nel tufo, ma i contorni erano troppo netti per essere frutto del caso. Sembrava progettata, o peggio: evocata. Alle pareti, strani simboli graffiati con mani tremanti, come tracciati da chi scriveva per non impazzire. Al centro, uno specchio. Non un vero specchio - non aveva cornice, né vetro - eppure rifletteva. Rifletteva non ciò che avevano davanti, ma altro: un altro Giulio e un altro Davide, immobili, freddi, come statue di cera in una teca sigillata.
Giulio si avvicinò, ipnotizzato. L’altro Giulio nello specchio lo guardava con un’intensità glaciale. Davide, nel riflesso, sorrideva. Un sorriso impercettibile, disturbante, come quello dei manichini.
«Non guardarli» disse Davide, la voce incrinata.
«Cosa... cosa sono?»
«Sono noi. O meglio, ciò che saremmo potuti essere. Le versioni che abbiamo abbandonato. Le nostre ombre rimaste indietro, intrappolate in questa eco del mondo.»
Giulio si voltò, ma l’ingresso da cui erano entrati era sparito. Solo la pietra viva e umida della grotta. Un tremito lo percorse. Il tempo sembrava essersi piegato su se stesso, come un foglio bruciato agli angoli.
«Io... io ho già visto questo posto» disse Davide. «Quando vivevo in Irlanda, mi svegliavo ogni notte con un sogno ricorrente. Una porta di pietra, uno specchio, e tu che mi chiamavi.»
Giulio non rispose. Lo specchio ora mostrava qualcosa di diverso: i due amici, più giovani, bambini, che giocavano nella piazza della città. Poi, improvvisamente, uno di loro cadeva. Il sangue si mischiava alla polvere. L’altro lo guardava, impietrito.
«Quella volta... che ti sei rotto il braccio» sussurrò Giulio.
«Non era un braccio» disse Davide. «Era qualcos’altro. Un pezzo di me. Da allora non sono più stato lo stesso.»
Un suono basso, come un sussurro corale, cominciò a crescere attorno a loro. Non parole comprensibili, ma echi, frammenti di pensieri spezzati, ricordi altrui. Lo specchio pulsava.
«Dobbiamo uscire» disse Giulio. «Non so cosa sia questo luogo, ma non voglio scoprirlo oltre.»
Davide annuì, ma mentre si voltavano, qualcosa trattenne Giulio. Un’ombra. No - la sua ombra. Il riflesso nello specchio si muoveva in modo asincrono, sfasato. E poi, con un gesto preciso, uscì dallo specchio.
Era lui. Ma non era lui. Lo stesso volto, gli stessi occhi, ma vuoti. Giulio indietreggiò, inciampando. Davide si frappose tra lui e l’ombra.
«Se lo guardi negli occhi, prende il tuo posto!» gridò. «È il prezzo! Lo specchio vuole equilibrio!» Giulio chiuse gli occhi. Il buio esplose. E poi, silenzio.
Quando si risvegliò, era fuori. Il sole stava sorgendo. Il dolmen era lì, immobile, muto. Davide era accanto a lui, seduto, il volto stanco ma sereno.
«Ce l’abbiamo fatta?»
«Non del tutto» disse Davide. «Una parte di noi è rimasta lì dentro. Ma era inevitabile. Nessuno attraversa lo specchio senza lasciare indietro qualcosa.»
Giulio si voltò. Il dolmen sembrava più piccolo, come se avesse perso parte del suo peso. Ma nel suo cuore qualcosa si era allargato. Una consapevolezza. Non erano soli. Mai lo erano stati. Dentro ognuno, un doppio attende: un’eco dell’io che si nutre delle omissioni, delle parole non dette, delle colpe mai confessate.
E ogni specchio è una porta. Ogni ombra, un compagno silenzioso.
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Testata: Buonasera
ISSN: 2531-4661 (Sito web)
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