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Mezzogiorno

Un milione di laureati in fuga dal Sud

Se c’è un record che l’Italia sembra mantenere, è quello della difficoltà dei suoi giovani laureati a trovare un’occupazione.

Un milione di laureati in fuga dal Sud

La fuga dei cervelli non è certo una novità. Sempre più giovani laureati italiani guardano oltre confine per cercare opportunità che il nostro Paese non sa offrire. Ogni anno, migliaia di talenti scelgono di costruirsi un futuro altrove, lasciando l’Italia ancora più povera di competenze e di prospettive.

Negli ultimi venti anni sono fuggiti dal Sud un milione di laureati. È il risultato dell’ultima ricerca Svimez, secondo cui la fuga dei giovani, unita alla progressiva chiusura delle aziende manifatturiere, hanno contribuito alla desertificazione di un pezzo del Mezzogiorno.

L’Istat ha rilevato nel suo rapporto sulle migrazioni interne e internazionali della popolazione residente, che i giovani italiani, tra i 25 e i 34 anni, rappresentano un terzo degli emigrati del nostro paese, per un totale di 31 mila individui, di cui oltre 14 mila vantano una laurea o un titolo superiore.

La maggior parte degli italiani che decidono di emigrare all’interno del nostro stesso paese proviene principalmente dalla Campania (30%), seguita dalla Sicilia (23%) e dalla Puglia (18%). Interessante notare che, in proporzione alla popolazione residente, la Calabria presenta il tasso di emigrazione più elevato, con circa 8 residenti che lasciano la regione ogni 1.000 abitanti.

Negli ultimi vent’anni, oltre 330mila giovani laureati tra i 25 e i 39 anni hanno abbandonato le aree interne per trasferirsi nei centri urbani, mentre circa 45mila hanno scelto l’estero. I dati delle fasce più giovani della popolazione (0-14 e 15-24) si equivalgono, indicando che si tratta in buona parte di bambini o ragazzi che seguono i genitori all’estero. Oltre il 20% delle partenze è composto da persone tra i 40 e i 64 anni, spesso nella parte più alta della propria carriera lavorativa. Marginale invece il contributo dei pensionati, che superano a malapena il 5% del totale. Le aree interne non perdono soltanto popolazione in generale. L’Istat ha infatti individuato un grosso movimento di competenze, sotto forma di persone laureate, dalle periferie d’Italia da tutto il Paese all’estero o verso i centri urbani. Non sempre, sottolinea l’istituto, questo processo è negativo. A volte infatti si tratta di brevi periodi di formazione, che portano poi il laureato a tornare sul territorio con maggiori competenze, arricchendo il tessuto economico. Spesso però si tratta di partenze senza ritorno.

L’elaborazione delle ultime informazioni disponibili, relative al 2023, ha rivelato un peggioramento del fenomeno che sta avendo conseguenze molto serie su tutto il territorio nazionale. I tassi di espatrio sono nettamente più alti in queste zone non solo rispetto ai centri urbani, ma anche ai poli intercomunali.. La situazione peggiore è nelle aree ultra periferiche, dove il dato è aumentato fino ad arrivare al raddoppio in meno di 20 anni. Il dato più preoccupante è quello dei tassi di espatrio, cioè il rapporto tra gli emigrati e la popolazione residente. Se il trend in queste zone è simile a quello nazionale, con un aumento cominciato nel 2010 e mai davvero rallentato, l’intensità mostra i seri problemi che queste zone del Paese hanno nel trattenere la popolazione attiva sul loro territorio.

Se c’è un record che l’Italia sembra mantenere, è quello della difficoltà dei suoi giovani laureati a trovare un’occupazione. L’ultimo rapporto di Eurostat conferma quello che ormai è diventato un copione noto: il nostro Paese è in fondo alla classifica per l’assorbimento dei neo-laureati nel mercato del lavoro. E non si tratta di uno scivolone momentaneo, ma di una tendenza che continua a ripetersi anno dopo anno. In una nazione che dovrebbe puntare su innovazione e capitale umano, la laurea sembra sempre più una strada verso la precarietà o, peggio, l’inoccupazione.

Il Paese soffre di una carenza cronica di laureati, ben al di sotto della media europea, e non riesce a trattenere o valorizzare quei pochi che decidono di investire anni nello studio. Ci troviamo così di fronte a un quadro di talenti inutilizzati e occasioni perse. E mentre altrove i giovani trovano impiego rapidamente, qui uno su tre resta a casa, a guardare le opportunità scivolare via. Anche per questo gli atenei del Sud sono alle prese con una crisi senza precedenti: negli ultimi vent’anni, il numero di iscrizioni è crollato in modo drammatico, mettendo a rischio la sopravvivenza di molte università. Questa situazione, unita alla chiusura di numerose aziende manifatturiere, con aree industriali ormai dismesse, rischia di impoverire ulteriormente il Sud, privandolo di un tessuto economico e sociale sempre più fragile.

La competitività internazionale non si costruisce solo con investimenti industriali, ma anche con un esercito di giovani qualificati pronti a fare la differenza. Ma se quei giovani sono costretti a fare i conti con un mercato del lavoro che sembra ignorarli, la strada verso la ripresa economica rischia di diventare sempre più lunga e accidentata.

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