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Netanyahu contro la tregua

Il prezzo pagato dai civili è inaccettabile

La proposta di uno stop di 21 giorni delle ostilità è stata respinta da Netanyahu, che ha ordinato di insistere con gli attacchi con un nuovo blitz mirato a Beirut

Il prezzo pagato dai civili è inaccettabile

“E' il momento di un accordo diplomatico ma la diplomazia non può avere successo fra l'escalation del conflitto. Per questo chiediamo un immediato cessate il fuoco di 21 giorni al confine fra Libano e Israele. Chiediamo a tutte le parti, inclusi i governi di Israele e Libano, di appoggiare questo cessate il fuoco temporaneo". Lo hanno chiesto con un appello Stati Uniti, Australia, Canada, Unione Europea, Francia, Germania, Italia, Giappone, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar.

La proposta di uno stop di 21 giorni delle ostilità è stata respinta da Benyamin Netanyahu, che ha ordinato di insistere con gli attacchi contro le postazioni di Hezbollah con l'ennesima ondata di raid ed un nuovo blitz mirato a Beirut.

Un fiume di persone, in preda al panico, cerca di fuggire dal Paese dei cedri. Il bilancio per l'intensità degli attacchi israeliani, dall’inizio dei raid, ha già superato le 600 vittime, tra questi ancora innocenti, bambini. Secondo le autorità il numero di sfollati in fuga ha già superato il mezzo milione. Lunghe colonne di auto e di ogni mezzo di trasporto intasano le principali arterie che da sud portano verso il centro e il nord del paese. Molti residenti si affannavano per organizzare il trasporto per i familiari più anziani, ancora intrappolati nelle città e nei paesi del sud. Tanti si incamminano a piedi sperando di salvarsi.

Seicento morti in gran parte civili libanesi dimostrano che Israele applica la stessa logica di Gaza: l’unica cosa che conta è uccidere il nemico. Un popolo smarrito e rassegnato al peggio prova a salvarsi dai terroristi che cinicamente li sta utilizzando come scudo e chi altrettanto cinicamente li bombarda.

L’escalation ha attirato l’attenzione dei leader del mondo riuniti all’Onu sulla crisi in corso che rischia di sfociare in un conflitto totale. Molti interventi esprimono rabbia e frustrazione per un’esplosione di violenza che l’Onu, lacerata dalle divisioni e dallo scontro tra potenze sembra incapace di arginare.

Alcuni, nei loro interventi hanno definito “inaccettabile” l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso in cui quasi 1200 israeliani sono stati uccisi. L’impressione generale è che con la sua rappresaglia, che ha causato finora la morte di almeno 41mila persone, Israele abbia oltrepassato ogni ragionevole limite.

Masoud Pezeshkian, il presidente iraniano ha descritto “l’inazione” delle Nazioni Unite nei confronti di Israele come “insensata e incomprensibile” e ha espresso a Guterres la sua preoccupazione per la diffusione del conflitto. “Sappiamo più di chiunque altro che se dovesse scoppiare una guerra più grande in Medio Oriente, non gioverebbe a nessuno nel mondo”, ribadendo che non è l’Iran ma Israele che “cerca di allargare questo conflitto”.

Abdallah II di Giordania non ha fatto mistero della sua rabbia nei confronti di Israele e i suoi alleati occidentali, il cui comportamento “mette in crisi di legittimità” l’Onu. “Non sorprende che sia dentro che fuori questa sala, la fiducia nei principi e negli ideali fondamentali dell’Onu stia crollando” ha detto Abdallah denunciando implicitamente i doppi standard criticati da così tanti paesi del Sud, “scioccati” dal fatto che la Striscia di Gaza non goda dello stesso sostegno riservato all’Ucraina dopo l’invasione russa: “La dura realtà che molti vedono oggi è che alcune nazioni sono al di sopra del diritto internazionale”.

Il copione finora ha ricalcato quanto è avvenuto a Gaza: il bombardamento prolungato delle postazioni nemiche per aprire la strada alle truppe di terra, la mobilitazione delle brigate di riservisti dispiegate nel nord e la richiesta ai civili di evacuare i villaggi di confine.

"Non ci fermeremo, colpiremo con tutta la nostra forza", ha assicurato Benyamin Netanyahu. Mentre l'Idf ha spiegato che l'operazione militare mira a "smantellare l'infrastruttura militare" che i miliziani sciiti hanno costruito negli ultimi vent'anni. "I vostri stivali entreranno nei villaggi che Hezbollah ha trasformato in una vasta postazione militare": queste parole, rivolte alle truppe dal capo dell'esercito israeliano, sono il segnale che la guerra nel sud del Libano potrebbe salire drammaticamente di livello da un momento all'altro.

Il rischio è alto, e la storia lo dimostra. L’euforia ha sempre tradito Israele, e non ha smesso di tradirla. La sensazione di onnipotenza assimilata dopo la straordinaria vittoria nella “Guerra dei Sei giorni” non è venuta meno nemmeno dopo lo spavento della “Guerra del Kippur”, sei anni dopo. Lo choc del 7 ottobre ha certamente traumatizzato gli israeliani, ma il controllo su tutta la terra dal fiume al mare stabilito nel 1967 continua a essere tossico per l’anima del Paese. Soprattutto ora che al governo c’è la parte più estremista, che non nasconde di volerla tutta e per sempre.

Netanyahu ha sovrapposto l’esigenza della propria personale sopravvivenza a quella del Paese che guida, fino a dare l’impressione che coincidano: non è così, e la finta equivalenza prima o poi verrà alla luce, ma per ora il premier riesce a far combaciare la voglia degli israeliani di farla finita una volta per tutte con la minaccia dal nord, con il proprio bisogno di allargare la guerra fino a quando non avrà recuperato consensi. Cosa che sta avvenendo.

Il cinico disegno di Netanyahu comincia a svelarsi. Gli israeliani tornano a vederlo come “Mister Sicurezza”. In realtà li tiene in ostaggio, esponendoli al rischio di nuovi 7 ottobre, mettendo nel conto il sacrificio degli ostaggi di Gaza per non arrivare alla tregua prima di quando gli convenga politicamente. Netanyahu sogna la Grande Israele.

Prendendo di mira il gruppo paramilitare sciita Netanyahu vorrebbe colpire indirettamente anche Teheran. Hezbollah, ha finora mostrato una forte reticenza nell’impegnarsi in una guerra regionale, consapevole del costante sostegno americano a Israele. Nel tentativo di uscire da questa impasse, Hassan Nasrallah ha ripetutamente dichiarato che il sostegno ad Hamas sarebbe cessato non appena fosse stato raggiunto un cessate il fuoco a Gaza.

Ma la violenza continua ad aumentare anche in Cisgiordania, dove Israele ha imposto una chiusura degli uffici di Al Jazeera per 45 giorni e dove i coloni che attaccano i villaggi palestinesi agiscono perseguendo un obiettivo sempre più chiaro: riprendere quanta più terra possibile e impedire la creazione di uno Stato palestinese. Approfittando dell’attenzione rivolta alla Striscia di Gaza e al Libano, Netanyahu ha le mani libere per realizzare il suo sogno: essere colui che ha realizzato la “Grande Israele”. Scommette solo sugli equilibri di potere, il futuro in Medio Oriente non è mai stato così cupo.

 Quello che stiamo vedendo in queste ore era evitabile. È il risultato di un fallimento internazionale, il prodotto di un anno di indugi e di linee rosse superate senza conseguenze. Una situazione mal gestita, lasciata peggiorare, senza riconoscere che quella tregua tanto cercata a Gaza non serviva solo alla Striscia, ma all’intera regione.

Il successo di un negoziato dipende dai valori morali di chi lo conduce. Il prezzo pagato dai civili è inaccettabile.

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